Igor Protti non può. Non può un uomo piccolo e gracile giocare così bene a pallone, non può essere così ascoltato e venerato tredici anni dopo la sua ultima partita, non può un giocatore di calcio essere così vicino alla gente comune. Non può mettere d’accordo tutti a Livorno, città in cui la passione ha la meglio su tutto e in cui si contesta sempre e comunque.
Protti arriva nella città dei Quattro Mori quando è ancora minorenne, nel 1985, lasciando la natia Rimini con cui aveva esordito in serie B. Sono anni bui per il Livorno, che naviga nei meandri della serie C senza grandissimi risultati. Il giovane Igor ci mette poco ad colpire nel segno e se si pensa al colpo di fulmine si torna ad un derby primavera con il Pisa. Giocano dei ragazzini ma la rivalità tra le due città ha radici secolari e il pubblico è addirittura assiepato sui tetti vicini al campo per assistere all’incontro. Protti segna il gol decisivo, facendo impazzire di gioia il pubblico amaranto. La situazione economica del club di Enrico Fernandez Africano è però disastrosa, tanto che nel 1988 la società viene posta in liquidazione e assume il nome di Pro Livorno. Protti è uno dei pochi ad avere mercato, vista la giovane età. Con le lacrime agli occhi è costretto a lasciare Livorno. Finisce ad Alzano, poi a Messina e sullo Stretto realizza 31 gol in tre stagioni in serie B.
Protti a Messina
Dio non ha dato a Protti eccelse qualità fisiche ma una spiccata rapidità e velocità di esecuzione. Ha inoltre un’intelligenza calcistica sopra la media e una tale potenza nelle gambe che gli permette di prendere il tempo a difensori molto più grossi di lui per realizzare incredibili gol di testa. Nel 1992 è tempo di un nuovo trasloco, questa volta a Bari. Nel capoluogo pugliese Protti riceve la definitiva consacrazione e nel 1994-’95 disputa con i pugliesi la prima stagione in serie A. Il bomber riminese ci mette un po’ ad ingranare nella massima serie, in campionato realizza 7 gol ma si dimostra un’ottima spalla per il più quotato compagno d’attacco, l’esperto Sandro Tovalieri detto “Il Cobra”. Il Bari ottiene una salvezza tranquilla e fa divertire per aspetti non solo calcistici, come il trenino vicino alla bandierina del calcio d’angolo con cui viene festeggiato ogni gol. L’anno successivo Tovalieri emigra verso altri lidi e il peso dell’attacco è tutto su Protti. La risposta del bomber riminese è stratosferica, con 24 gol e la conquista del titolo di capocannoniere della serie A a pari merito con Giuseppe Signori. Ciò che risulta incredibile è il fatto che i suoi gol non servano a salvare dalla retrocessione la propria squadra. Igor Protti diventa così l’unico giocatore nella storia ad aver conquistato il titolo di miglior marcatore della Serie A pur facendo parte di una squadra che non è riuscita a mantenere la categoria.. sarà solo il primo primato di una lunga serie.
Se c’è un’immagine che descrive nel migliore dei modi il rapporto con il tifo barese è l’ultima giornata di campionato in cui al San Nicola arriva la Juventus, con i pugliesi già retrocessi. Il pubblico si presenta in massa allo stadio per spingere il proprio beniamino verso il titolo di capocannoniere. Protti ripaga con una doppietta e saluta così la Puglia. Nell’estate del 1996 l’attaccante riminese è a tutti gli effetti una star del calcio italiano, malgrado la stagione strabiliante non gli sia valsa la convocazione in nazionale per gli Europei. Lo vorrebbe l’Inter, disposta addirittura a rinunciare a Zamorano, ma alla fine la spunta la Lazio. Nella squadra di Zeman dovrebbe incastrarsi perfettamente nel tridente d’attacco con Signori e Casiraghi. Qualcosa però va storto, Protti si trova per la prima volta in carriera in una grande squadra che lotta per il titolo. Il rapporto con il tecnico boemo non è idilliaco e fa fatica a legare con la curva, che ha come idolo Signori e dalla quale si differenzia per le idee politiche. Le cose vanno un po’ meglio quando Zoff subentra a Zeman, Protti riesce a farsi amare per un gol nel derby alla Roma ma a fine anno viene spedito a Napoli.
Anche nel capoluogo campano le cose non vanno per il meglio, c’è un clima di smobilitazione che porta a fine anno alla retrocessione, Protti torna alla Lazio, viene mandato alla Reggiana in serie B ma anche lì le prestazioni sono tutt’altro che indimenticabili. Siamo al 1999, l’attaccante riminese ha ormai 32 anni e i giorni migliori sembrano ormai alle spalle. La sua carriera sembra avere il peso di una luminosa meteora, durata giusto il tempo di un anno. Potrebbe comunque strappare l’ultimo ingaggio importante, di fatto sono passati solo tre anni da quando si è laureato capocannoniere. Protti però colpisce tutti e sceglie di tornare a Livorno, nello stesso periodo in cui l’ex presidente del Genoa Aldo Spinelli sta acquisendo la società. I labronici sono una squadra di metà classifica in serie C, che ovviamente non può offrire molto in termini economici. Nell’incredulità generale Protti sceglie però di mantener fede alla promessa fatta nell’estate del 1988 compiendo una scelta viene giudicata folle dal suo stesso procuratore. Nella prima stagione deve togliersi un po’ di ruggine e realizza solo 11 gol, tra cui uno nel derby contro il Pisa in trasferta. L’anno successivo arriva in panchina Osvaldo Jaconi e con lui si crea un connubio straordinario. Livorno è infatti una piazza molto esigente, con la tendenza alla critica e alla perenne lamentela. Allo stesso tempo, come dirà lo stesso Jaconi “Livorno è una piazza che non vuole campioni, ma uomini veri, disposti a sposare una causa, ad amare un popolo”. Protti ha scelto di guadagnare un quinto rispetto a prima nella città più rossa d’Italia e ci mette un attimo a diventare l’idolo dei tifosi. Nel suo secondo anno in terra labronica segna 20 gol che gli valgono il titolo di capocannoniere del girone A della serie C1 ma il sogno promozione viene smorzato nella sconfitta della finale dei play off a Como.
Nel Napoli
L’attesa dura però solo un anno: la stagione seguente Protti fa ancora meglio, segna 27 gol al pari di Cristian Riganò e ottiene ancora il titolo di capocannoniere. Il campionato è una lotta a due con lo Spezia, in uno scontro aspro anche per motivi campanilistici. Alla penultima giornata il Livorno è avanti di un solo punto e va a giocare a Treviso. A due minuti dalla fine, sull’1-1, Mezzanotti lancia lungo, Alfieri la tocca di testa e la palla arriva a Protti al limite dell’area di rigore..E’ nel suo regno, è il suo pane.. inutile dire che la palla va in rete, nella porta sottostante la curva dei tifosi amaranto. Il numero dieci corre verso di loro, passa in mezzo a due carabinieri e si arrampica sulla recinzione seguito da diversi compagni di squadra. E’ una gioia del popolo, che va condivisa, è un istante di pura adrenalina. Con la vittoria casalinga contro l’Alzano la domenica successiva Il Livorno torna in serie B. Per il primo anno in serie cadetta la squadra viene affidata a Roberto Donadoni. Il campionato è ovviamente più insidioso, il Livorno inizia bene e sembra addirittura competere per andare in serie A ma nella seconda metà della stagione subisce un calo e conclude più che dignitosamente a metà classifica.
Accade però un episodio singolare a novembre di quell’anno: il Livorno affronta il Messina, ex quadra del numero 10 amaranto. Protti è uno che per rendere al meglio ha bisogno di essere circondato da amici e nella gran parte delle città in cui è andato ha creato un rapporto particolare con i tifosi. Ad inizio partita va a salutare i tifosi del Messina e questo viene visto come un tradimento da parte di alcuni tifosi livornesi, gelosi come se non si potesse accettare che il “compagno Igor” andasse a salutare una tifoseria di destra. A fine incontro una quarantina di suppoter, con cui peraltro era andato a cena poche sere prima, lo aggrediscono verbalmente. Per Protti è un duro colpo, è abituato ad essere circondato dall’amore dei tifosi e si trova davanti ad un atto stupido e senza senso. Cosa c’entra la politica, con il fatto che a Messina è stato bene ed è entrato nel cuore di tante persone? Pochi giorni dopo si presenta in sala stampa e annuncia di voler dare l’addio al calcio, si sente senza stimoli, svuotato e deluso. La città si mobilita, i tifosi che lo avevano aggredito vengono ghettizzati nella disapprovazione generale, tutta Livorno lo implora di rimanere. Protti capisce e torna indietro sulla propria decisione e dopo questo episodio, paradossalmente, il rapporto con Livorno e con la città diventa ancora più stretto. A fine anno realizza 23 reti che gli valgono per la terza stagione in fila il titolo di capocannoniere. Protti diventa così l’unico giocatore ad essere stato miglior marcatore in serie A, B e C1 (traguardo raggiunto in seguito anche da Dario Hubner).
A fine stagione è però seriamente intenzionato a smettere, oramai ha 36 anni e si sente di aver ottenuto tutto quello che poteva ottenere. Il colpo di scena dell’estate livornese arriva però con l’acquisto del figliol prodigo Cristiano Lucarelli che si dimezza l’ingaggio pur di aiutare la squadra della propria città a tornare in Serie A. La città si mobilita nuovamente e Protti si convince a giocare un altro anno. Il campionato di serie B 2003-’04 è altamente competitivo e vede ai nastri di partenza nobili decadute come Palermo, Napoli, Cagliari, Fiorentina e Torino. La coppia d’attacco livornese è devastante: Lucarelli segna 29 gol, Protti ne aggiunge 21 e il terzo posto a fine anno vale la promozione in Serie A. Protti dice di voler smettere ma legittimamente non gli crede più nessuno. Non si può non chiudere il cerchio, un’altra, ultima stagione è dovuta. Il primo campionato in A del Livorno dopo 55 anni può essere raccontato con diverse immagini: l’esordio a San Siro contro il Milan, terminato 2-2 con doppietta di Lucarelli. Ottomila tifosi livornesi arrivano a sostenere la squadra con una bandana in testa per prendere in giro il presidente Berlusconi che si era fatto così ritrarre in compagnia di Tony Blair quell’estate. Tipico sfottò livornese, tipico gusto goliardico, come il giorno della sconfitta casalinga contro il Chievo Verona in cui in tribuna d’onore è presente l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, livornese doc. Protti segna per i suoi, dedica il gol al presidente e in curva compare uno striscione “Ciampi capo ultrà”.
La degna conclusione della stagione livornese è l’ultima giornata di campionato e c’è ancora la Juventus a segnare un addio di Protti. Il Livorno è già salvo, mentre i bianconeri sono già campioni d’Italia, la partita si trasforma in una festa in onore di Re Igor, che lascia il calcio nel migliore dei modi, con un gol di testa a Buffon. Al momento della sostituzione con Danilevicius sarebbe riduttivo parlare di standing ovation. Applaudono tutti, compresi i giocatori della Juventus. Ora è davvero finita, Igor Protti smette veramente e ha le lacrime agli occhi come quel giorno di fine anni ’80 in cui se n’era andato e in cui non poteva immaginare cosa sarebbe diventato per Livorno. Sugli spalti c’è chi piange, chi si dispera, ci sono coppie che si stringono con tutta la forza che hanno in corpo nella maglia numero 10 del Livorno, tutti i presenti sanno di essere fortunati per aver visto giocare Igor Protti e per esserci stati quel giorno.
E’ difficile scegliere di essere leggende. Si può essere idoli per i tifosi, per un breve lasso di tempo, si può essere ottimi giocatori ma essere leggende è un’altra cosa ed essere dei campioni è solo una delle componenti. Qualcuno pensava che Lucarelli avrebbe potuto sostituirlo nel cuore dei tifosi amaranto ma poi ha scelto i soldi degli ucraini dello Shaktar Donekts e quando è tornato a Livorno con la maglia del Parma in uno scontro salvezza si è preso bordate di fischi ad ogni tocco di palla. Livorno è così, è una piazza che non perdona, viscerale in tutto e per tutto e con la tendenza all’esagerazione. Protti è stato unico in campo ma soprattutto fuori quando ha saputo mettere davanti la propria dignità ad atteggiamenti insulsi come dopo la partita con il Messina. La città l’ha capito e da lì ha iniziato ad amarlo ancora di più. E’ facile a un certo punto della propria vita contraddire i propri valori e diventare la parodia di sé stessi per qualche dollaro in più. E’ facile e terribilmente umano visto che questo avviene in tantissimi ambiti e non ci si stupisce più quando si viene delusi da un personaggio pubblico al quale ci siamo affezionati. Ma la leggenda, appunto, è un’altra cosa.
Igor Protti a più di cinquant’anni affianca all’attività di team manager del Livorno la gestione di un agriturismo, luogo in cui dice di trovare la propria pace.
Quando era ancora in attività è stato nominato ambasciatore dell’Unicef e nel 2009 si è reinventato attore con la Compagnia teatrale Mayor Von Frinzius, composta per la metà da persone con disagio psichico. Cose assolutamente normali, che possono apparire senza significato ma che contribuiscono a mantenere lo status di leggenda. Può essere una grande illusione, può essere che davvero le leggende non esistano, è purtroppo vero che è impossibile conoscere realmente una persona dall’ immagine pubblica.. C’è però quella parte che ci fa rimanere un po’ bambini, che ci porta ad affezionarci ad alcuni personaggi, come accadeva una volta per i miti o per i grandi eroi e ad amarli in tutto e per tutto, anche quando sbagliano. Gol del Livorno, lo stadio esplode di gioia, “ha segnato il numero 10 Igor…” e migliaia di persone “Prottiii”.. non può essere solo una partita di calcio, è pura vita..
Valerio Zoppellaro