Claudio Ranieri da Testaccio potrebbe essere un viaggiatore, un novello Marco Polo alla scoperta dell’universo calcistico. Uno di quelli che potresti trovare al bar, anziano e un po’ in disparte, e ti verrebbe voglia di chiedergli qualcosa della sua vita. E allora lui ti narrerebbe realtà e retroscena delle più importanti città italiane, narrando poi le bellezze di Valencia, Madrid, Londra, la Grecia, la Bretagna e quanto può essere difficile essere profeti in patria. Vedresti i suoi occhi che si inumidiscono alla parola “Leicester”, un’anonima città di trecentomila abitanti nella regione delle Midlands Orientali. Perché un uomo può vedere qualsiasi posto nel mondo ma racconterà sempre del luogo della propria redenzione, come un grande amatore che racconta sempre il giorno del primo appuntamento. Gli uomini provano però nostalgia per la propria gioventù mentre Claudio Ranieri da Testaccio si è innamorato ed è stato tradito da anziano. Ha così capito che l’esperienza non serve a nulla, nel momento in cui la passione è travolgente. Il suo bagaglio umano e le sue esperienze gli hanno consentito di provarci un’altra volta, per mille volte nella sua vita, prima del nuovo innamoramento, prima della nuova disillusione. Prima di tornare a casa, in un bar di Testaccio, a raccontare la sua vita con la consapevolezza di essere uno dei pochi a poter alzare la testa davanti al sole.
Nell’età della forza Claudio Ranieri da Testaccio lega la sua carriera da calciatore soprattutto al Catanzaro con il quale, tra il 1976 e il 1982 diventa il capitano e il giocatore con più presenze in Serie A. Ranieri è un terzino arcigno e roccioso, non velocissimo ma capace di comandare la difesa. Non un fenomeno ma un elemento utile, un giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero avere. Dopo le parentesi con Catania e Palermo nel 1986 appende le scarpette al chiodo e intraprende la carriera da allenatore prima nel Vigor Lamezia e poi nel Campania Puteolana.
La prima tappa importante è Cagliari, una nobile decaduta che dopo i fasti di Gigi Riva si trova ad arrabattarsi nell’inferno della Serie C. Ranieri prende in mano la squadra del capoluogo sardo e nel giro di tre anni la riporta in Serie A, ottenendo al primo anno un’insperata salvezza dopo una partenza disastrosa. E’ tempo di piazze più importanti e Ferlaino lo sceglie nel 1991 come guida per la prima stagione del Napoli post- Maradona. E’ una squadra più che valida con elementi come Ferrara, Zola e Careca ma intorno c’è un aria di smobilitazione e di lento ed inesorabile declino. Ranieri ottiene un più che dignitoso quarto posto in un’epoca in cui il campionato italiano è di livello altissimo, ma complice una partenza fallimentare nella stagione successiva per la prima volta viene sollevato dall’incarico.
Ranieri ha l’umiltà di ripartire, di sposare un nuovo progetto e sembra l’uomo adatto per città prestigiose che si devono risollevare. Eccolo quindi alla guida della Fiorentina, neo retrocessa in Serie B dopo il disastro della stagione precedente, con la diatriba Cecchi Gori-Radice e la gestione Agroppi che fa sprofondare i gigliati dalla quarta posizione alla retrocessione in pochi mesi. Batistuta guida l’attacco di una squadra che ha ben poco a che vedere con la serie cadetta e la promozione è poco più di una formalità. Nelle tre stagioni successive in viola Ranieri ottiene rispettivamente un decimo, un quarto ed un nono posto, vincendo una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana in casa del Milan con il famoso “Te Amo Irina” gridato da Batistuta alla moglie dopo uno straordinario gol su punizione. Il punto più alto raggiunto dall’allenatore di Testaccio in riva all’Arno è la semifinale di Coppa delle Coppe del 1996-’97 persa contro il Barcellona, con l’orgoglio di aver riportato la Fiorentina in palcoscenici che le competono partendo dalla Serie B.
Nel 1997 Ranieri lascia Firenze per far posto a Malesani ma a settembre viene richiamato, manco a dirlo, per risollevare le sorti di una nobile decaduta, il Valencia, ultimo in classifica dopo le prime tre partite della Liga. Come un David Copperfield delle panchine o un esperto Geppetto del mestiere, il tecnico romano realizza il suo piccolo miracolo e in due stagioni porta la squadra della Communidad a conquistare la Coppa del Re e l’accesso alla Champions League per la stagione 1999-2000, che vedrà la squadra allenata da Hector Cuper arrivare fino in finale.
Nel frattempo però Ranieri però è già partito per altri lidi e dopo una sfortunata parentesi all’Atletico Madrid viene chiamato sulla panchina del Chelsea, in cerca di riscatto dopo le gestioni di Gullit e Vialli e le spese folli di fine anni novanta. In Inghilterra Sor Claudio si distingue per eleganza nei modi ma le prese in giro da parte della stampa britannica per il suo inglese maccheronico si sprecano e in un amen si crea il soprannome di “Thinkerman”, ovvero un uomo che lavora senza troppo costrutto, senza essere mai decisivo. Il bilancio al Chelsea non è da buttare, 107 vittorie su 199 partite, un secondo posto in Premier e una semifinale di Champions League. Troppo poco, specie per il nuovo patron Abramovich che ha bisogno di una guida più trendy e nel 2004 lo licenzia preferendogli Mourinho, fresco vincitore della Champions con il Porto. La carriera di Ranieri inizia ad avere una definizione piuttosto netta: è un allenatore incompiuto, molto bravo a plasmare e a costruire ma incapace di portare a termine il proprio lavoro e di vincere qualcosa di importante. Ci riprova a Valencia ma questa volta va male, riesce a conquistare una Super coppa Europea ma a febbraio viene sollevato dall’incarico.
Per due anni il tecnico testaccino resta disoccupato fino a quando, nel 2007, arriva la chiamata del Parma. Inutile a dirsi che si tratti dell’ennesima situazione disperata, i ducali sono in piena crisi post crac Tanzi e sono ad un passo dalla retrocessione. Ranieri arriva a febbraio e sfruttando al meglio l’esplosione del giovane Giuseppe Rossi e il talento del genio incompreso Morfeo riesce a salvare la squadra.
Altro giro, altro regalo, altro trasferimento: l’anno successivo infatti la Juventus ritorna in serie A, dopo la retrocessione post Calciopoli. Serve un tecnico capace di ricostruire per ripartire e Ranieri è l’”aggiustatore” perfetto, forse proprio per una questione di karma, come da lui stesso dichiarato. E’ una Juve in pieno divenire con campioni come Buffon, Chiellini, Trezeguet e Del Piero ma anche con i vari Tiago, Andrade, Grygera e Nocerino. I risultati del primo anno sono ottimi, la Juve finisce terza, ritornando in Champions League con Del Piero e Trezeguet capocannonieri del campionato. Anche la stagione successiva inizia bene, con i bianconeri che si tolgono lo sfizio di battere il Real Madrid a domicilio ma una flessione nella seconda parte di stagione costa cara al tecnico che, pur avendo un altro anno di contratto, paga alcune incomprensioni con la società e con i giocatori per un modo di vedere il calcio troppo diverso da quello della Juve. Il suo lavoro è però sotto gli occhi di tutti e, per i campionato 2009-’10, arriva la sfida più significativa e difficile: essere profeta in patria, vincere a casa propria, allenare la Roma, la squadra per cui ha sempre fatto il tifo. Arriva dopo due sconfitte nelle prime due partite subentrando al dimissionario Spalletti e l’impatto è più che ottimo: la Roma torna subito in carreggiata, diventa immediatamente l’alternativa più credibile all’Inter di Mourinho nell’anno del Triplete. Ranieri mantiene la sua fama di conquistatore di derby (non ne ha mai perso uno, in tutta la sua carriera) vincendoli entrambi tenendo fuori nel match di ritorno i romani Totti e De Rossi. Nella volata scudetto però un sanguinoso pareggio casalingo con il quasi retrocesso Livorno e la sconfitta con la Sampdoria sono decisivi per la perdita dello scudetto. Anche in finale di Coppa Italia un gol di Milito condanna i giallorossi ad una stagione da “zero tituli”, per dirla alla Mourinho. In questa stagione si moltiplicano le schermaglie con il tecnico portoghese, che lo prende in giro per il suo scarso inglese e lo accusa di essere vecchio. Ranieri non cade nelle provocazioni dialettiche, non lo accusa mai sul personale ma in un mondo in cui contano solo i risultati per l’ennesima volta si dimostra un perdente di lusso. Come un canovaccio già scritto, la stagione successiva non è all’altezza e a febbraio per l’ennesima volta rassegna le dimissioni.
Passano altri sei mesi ed è l’Inter a dare un’occasione di riscatto a Ranieri: la rosa è ancora all’altezza ma i fasti del Triplete sono lontanissimi, con Benitez, Leonardo e Gasperini che si sono alternati in poco più di un anno sulla panchina. La parentesi nerazzurra sembra sotto molti aspetti una metafora della carriera di Sor Claudio: un’ottima partenza, una flessione e il licenziamento, dopo soli sei mesi. A questo punto Ranieri sembra davvero ad un punto morto, ha allenato praticamente ovunque, non ha mai vinto da nessuna parte e inizia ad essere considerato un allenatore piuttosto antiquato. Subisce la condanna di essere eternamente nel posto sbagliato, ma se i posti sono sempre sbagliati può essere che a non essere giusto sia l’allenatore? Ranieri poi paga il fatto di non essere per nulla mediatico, è il cibo perfetto in un mondo di squali, l’emblema del perdente con garbo, un Chiappucci che viene sempre sconfitto dall’Indurain di turno.
Sor Claudio però è uno che si sperimenta e si mette alla prova e dopo Italia, Spagna e Inghilterra tenta l’avventura nel campionato francese con il Monaco, appena retrocesso in Ligue 2, una sorta di Fiorentina vent’anno anni dopo. Promozione immediata il primo anno, secondo posto il Ligue 1 alle spalle di uno stellare Paris Saint Germain l’annata successiva, ma al club francese non basta: non scatta l’opzione e Ranieri vene sollevato dall’incarico per far posto a Leonardo Jardim. La tappa successiva porta alla nazionale Greca ma è un disastro vero: tre partite, un punto, sconfitta casalinga con le Isole Far Oer (!!) e licenziamento immediato.
Ranieri ha 64 anni e la sua fine sembra una certezza. All’inizio della stagione 2015 arriva però la proposta che non ti aspetti: il Leicester lo chiama per raggiungere una salvezza tranquilla per la Premier League 2015-’16. E’ una squadra con diversi giocatori di sicuro potenziale come Vardy, Mahrez, Kantè ma le perplessità sono soprattutto sul tecnico, specie dopo il disastro alla guida della nazionale greca. I bookmakers considerano il nome di Ranieri come uno dei più papabili per l’immediato esonero e la vittoria della Premier del Leicester viene considerata meno probabile della scoperta del mostro di Loch Ness o dello sbarco degli alieni.
Contro ogni pronostico il Leicester parte subito forte e incredibilmente dopo tredici giornate è al primo posto in classifica. Ranieri gestisce tutto questo con la calma dell’allenatore navigato, dell’uomo esperto che sa quanto gli entusiasmi possano essere pericolosi. Paragona la propria squadra a Forrest Gump e se si sta correndo così bene, perché smettere? La stampa inglese che tanto l’aveva criticato ai tempi del Chelsea si ravvede e Tinkerman diventa immediatamente Thinker man, “il pensatore”. L’ambiente non subisce contraccolpi, il Leicester colleziona vittorie su vittorie e ad aprile il miracolo è fatto. I Foxes sono i campioni della Premier League, probabilmente una delle più grandi imprese sportive della storia del calcio. Il mondo è ai piedi del tecnico testaccino che diventa ora “King Claudio” e vince il premio Fifa come miglior allenatore dell’anno 2016. Non male per un perdente, per uno considerato bollito e finito, per un giocatore senza costrutto.
La carriera di Ranieri è però pur sempre una metafora e anche i fasti sono sempre piuttosto brevi. King Claudio dopo un’ impresa irripetibile avrebbe dovuto lasciare perché era impossibile ottenere di più a Leicester. Ma il cuore ha il sopravvento e sceglie di rimanere per giocare la Champions con il la squadra da lui plasmata. L’ambiente è però saturo, molti giocatori si sono montati la testa e a febbraio i Foxes, pur avendo ottenuto la qualificazione agli ottavi nella massima competizione europea, sono a un passo dalla zona retrocessione. Se ci fosse gratitudine in questo mondo probabilmente il Leicester avrebbe avuto il coraggio di rimanere con Ranieri fino alla fine, assumendosi anche il rischio di un’eventuale retrocessione. Non è così e probabilmente anche a causa del tradimento di alcuni giocatori l’allenatore viene sollevato dall’incarico. La decisione suscita ovviamente scalpore, con molti colleghi, primo tra tutti Mourinho che in passato l’aveva aspramente criticato, che si schierano dalla sua parte. Ranieri è afflitto ma lascia con la consueta signorilità, tifando fino in fondo quel suo piccolo gioiello così potente e capriccioso. Neanche quest’esperienza così intensa riesce però a farlo smettere. A 67 anni ottiene una deroga dalla federazione francese e riparte da Nantes, con la stessa voglia di un ragazzino. “Il calcio è come una droga, ti entra nel sangue, ti rende sereno” e Ranieri non ha nessuna intenzione di disintossicarsi. Una stagione senza infamia ne lode in Francia e quando la pensione sembra imminente rieccolo ancora in pista in Premier League, tentando di salvare il disastrato Fulham, prima del commuovente ritorno a Roma e dell’esperienza alla Sampdoria.
Alla fine di questa storia forse il nobile Claudio Ranieri da Testaccio non finirà mai in un circolo di Testaccio a raccontare le sue avventure. La sua è una vita in eterno divenire, in perenne cambiamento, forse per placare un’eterna inquietudine, forse semplicemente per indole. Ralph Waldo Emersono diceva “Non andare dove il sentiero ti può portare; va invece dove il sentiero non c’è ancora e lascia dietro di te una traccia”. Il mondo è ancora abbastanza grande per le scoperte di King Claudio.
Valerio Zoppellaro