Molti giocatori vicentini negli anni Sessanta militarono in squadre del Sud. Di alcuni ne conosciamo la storia sportiva perché hanno raggiunto la massima Serie. Di qualche altro il ricordo della loro carriera rimane impresso nella memoria di pochi sportivi; magari dei soli amici e parenti. Nella stragrande maggioranza la reminescenza rimane avvolta nell’oblio degli archivi societari delle squadre in cui e hanno militato in gioventù nei diversi borghi del Mezzogiorno. Sono storie memorie di giocatori di provincia vissute in campi lontani da casa, arsi dal sole, ma proprio per questo ricche di suggestione e d’avventura. Storie spesso di confine come quella di Mirvano Pertile, già capitano rossonero dell’AC Thiene nei primi anni 60, originario del quartiere Conca, del quale ho ritrovato le tracce tra i Sassi di Matera in una narrazione magistrale scritta da un accademico di Brera, Gianni Mura e che riporto in sintesi in questa suggestiva pagina nostalgica sportiva.
La Gazzetta dello Sport, 3 febbraio 1968 : “Professionisti di Quarta Serie”
“Del Matera squadra di calcio ha parlato la TV: è l’unica squadra, fra tutte quelle di A, B, C e D, ad essere ancora imbattuta. Ha segnato 31 gol subendone 4. Ha la difesa meno perforata d’Italia, un gol in media ogni 405’, ha l’attacco terzo in Italia, dopo Milan e Pisa. Milita nel girone G della Serie D, e non è prima in classifica. È seconda, a un punto dal Savoia, che ha perso due partite, ma ha pareggiato di meno, cioè ha vinto di più. L’allenatore è Ruggero Salar, triestino di Montefalcone. Lo chiamano «il Rocco dei poveri». Ha cinquant’anni. Cominciò a giocare a 16 anni nel Taranto, poi passò alla Triestina, otto anni di A, poi alla Roma, alla Lucchese, al Prato. Alt nel campionato ’49-’50. Diventa allenatore. Alla Miranese, al Foligno – promozione in C -, al Chioggia, al Carpi, al Vittorio Veneto – promozione in C –, al Treviso, alla Mestrina, alla Lucchese, al Matera. Una lunga gavetta. Salar non è in sede, lo vediamo solo in fotografia: un metro e novanta, un buon quintale, faccia da burbero. I giocatori, quando parlano tra di loro, lo chiamano Bubù, in tono affettuoso.
Bubù è un grosso orso, protagonista di cartoni animati. Il presidente è l’avvocato Francesco Salerno (Don Ciccio). È segretario provinciale della DC e presidente del consorzio per l’industrializzazione della valle del Basento. Uomo ancor prestante, mascella decisa. Ci riceve nel suo ufficio al – Lei è venuto per la squadra, vero? Meno male che si parla ogni tanto di Matera, sia pure per il tramite della squadra. No, io non penso alla promozione, ma siamo in gioco e dobbiamo stare al gioco. Gli sportivi se la sentono già in tasca, io preferisco andarci piano. – Ma la Serie C potreste permettervela? – Sì, senz’altro. Svendendo giocatori, ricaveremmo almeno 100 milioni. Non abbiamo debiti nei confronti della federazione, né di consorelle.
Solo qualche cambialetta, succede nelle migliori famiglie. – Quanto costa un campionato di Serie D?– Non molto meno di uno di C. Diciamo un centinaio di milioni.– E come vi reggete?– In media negli incontri casalinghi abbiamo quattromila persone. Una trentina di milioni ci vengono dal pubblico, sei dalla Provincia, cinque dal Comune, per gli altri si provvede. Mi piace sottolineare che siamo a posto, che tutti i giocatori hanno preso fino all’ultimo soldo, che nessuno economicamente può lamentarsi del Matera. Sì, sarebbe bello guadagnarsi la promozione. Potenza ha una squadra in B, e non può contare sull’afflusso di paesi vicini. Noi abbiamo Altamura, Gravina, Montescaglioso Ginosa…Alla vigilia di questo campionato – continua il presidente – abbiamo deciso di fare un buon campionato, il nostro pubblico lo meritava. Il pubblico materano è ardente (l’anno scorso un’invasione di campo e un’aggressione all’arbitro) ma buono.
Di calcio non capisce molto – sostengono alcuni giocatori – però è continuo nell’incitamento. Qui non sono avvezzi ai grandi spettacoli calcistici, non hanno avuto modo, come si dice, di farsi il palato. Ma se il Matera vince, van tutti a casa contenti. – Abbiamo preso Quadrello e Carella dal Bari – continua il presidente Salerno –, Chiricallo dalla Liberty, Castelletti in comproprietà dal Torino – undici milioni –, Mayer dallo Jesolo, Busilacchi dal Lecce. A novembre, visto che le cose andavano bene, Buccione dal Bari – dodici milioni – e Toschi, libero da impegni. Era alla Lucchese con Salar, ricorda il Toschi della Sampdoria? Ricordiamo il Toschi della Sampdoria, e il Chiricallo della Lazio. Al lunedì, leggendo con attenzione le formazioni della Serie D, si trovano fior di nomi. Un cimitero degli elefanti? No, non tanto. C’è convenienza economica. Piuttosto, chiediamo, com’è che ci son tanti giocatori settentrionali, al sud, e così pochi meridionali al nord? – Una questione di pubbliche relazioni. Questo è il regno di Allodi e Passalacqua. In una settimana al sud, cosa non venderebbero? Quest’anno il Milan mi aveva offerto sei giocatori. Non li ho voluti. Preferiamo i veneti, qui. Veri professionisti. Non abbiamo mai avuto delusioni, dai veneti. C’è Zanollo che ce li segnala (Giovanni Zanollo, vicentino, carriera da centrocampista negli anni ’30-’50). Mayer l’ha portato Salar. Un libero stupendo, da Serie B. Giocava nella rappresentativa del Trofeo Zanetti. Una mentalità da professionisti, già. Nei gironi del nord, si può ancora parlare di semiprofessionismo, qui no. Dei giocatori del Matera, nessuno ha un lavoro. Cioè, ce l’hanno tutti: calciatore. Quindicimila per punto nelle partite esterne, varie forme di premio speciale, stipendi in media sulle duecentomila, vitto e alloggio a carico della società. I soldi da mandare a casa, o da metter via, sono abbastanza. La cosa non ci stupisce né ci scandalizza, anzi la troviamo giustissima. Un ragazzo che lavora non può fare quattro, anche cinque sedute di allenamento alla settimana, non gli si può chiedere di andare a giocare a mille chilometri da casa. Allora, va bene tutto, con una unica contropartita: i soldi. – Sono ragazzi meravigliosi – dice don Ciccio – vedrà.
Usciamo all’ora dell’aperitivo. Allo stadio XXI Settembre c’è ancora Di Santo, una vita per il calcio. Ha fatto allestire una palestra sotto le tribune, ha fatto venire strani aggeggi da Firenze, per irrobustire i muscoli addominali, dorsali, per rendere più elastici gli arti. – Abbiamo più di duecento ragazzi, abbiamo un vivaio. Se tutte le società, la Salernitana, il Catanzaro, il Cosenza, facessero come noi, i frutti si vedrebbero, di qui a qualche anno. Allora, il Matera avrà in casa i suoi giocatori, senza andarli a cercare fuori. Il problema della povertà del calcio meridionale sta qui, nella trascuratezza delle società, che sono cieche e pensano solo alla prima squadra. Al nord c’è più attenzione per il vivaio, possono permettersi il lusso di riempire l’Italia, con quel che gli avanza. È anche questione di mentalità: i ragazzi vengono qui e subito mi chiedono un pallone, e si mettono un po’ di qua un po’ di là, per fare la partita. Piano, dico io. Prima della palla, dovete passare tutti per quella stanza, la palestra. Il calcio è un fatto atletico. Qui, molti ragazzi toccano divinamente la palla, ma dopo mezzora non stanno in piedi. E allora occorre impostarli atleticamente. Ci occupiamo anche di loro per quanto concerne le vitamine. Non tutti sono figli di professionisti, lei capisce. Vitamine C, belle bistecche…Il Matera gioca un 4-3-3 elastico. Il centrocampo molto forte spiega le poche reti al passivo e le molte all’attivo. Ma anche la difesa e l’attacco – spiega Di Santo – presi in sé, valgono molto. Busilacchi ha segnato quattordici gol, la coppia centrale Giannattasio-Mayer è troppo forte per la D… I giocatori del Matera sono come ha detto don Ciccio. Bravi ragazzi. Quattro sono sposati, Chiricallo, Demenia, Mayer e Rosa. Rosa è veneziano, a quindici anni era a Bari, ora ha vent’anni, moglie e un figlio. Si è sposato a Matera (già). Demenia è triestino, ventisette anni: dalla Triestina al Fanfulla al Maglie al Nardò. Mayer ha ventidue anni, una moglie e un figlio a Jesolo. Chiricallo ha trentacinque anni, il più anziano. Demenia e Rosa vivono in famiglia, a Matera. Tutti gli altri stanno in un grande appartamento, in via Lupo Protospata (sublime nome, da pronunciare sdrucciolo: ma chi era?)”.
“Andiamo in questo appartamento che non è ancora cominciato Carosello. Giannattasio e De Palma, il barese ricco di sense of humor, sono già in pigiama. Gli altri attorno al televisore. Ruggero Salar dorme con loro, in una stanzetta singola. Gli altri dodici, in quattro camere, tre brande per una. Nella sede sociale stanno Di Santo e Buccione. Buccione è laureando in legge, era conteso da Matera e Reggina. È venuto qui per stare più tranquillo, a preparare i pochi esami che gli mancano. – Sto proprio bene, è una città senza divertimenti, brava gente, è un piacere fare il calciatore qui – dice il termolese Buccione. – C’è più soddisfazione qui che nel Fanfulla – dice Demenia -: facciamo la vita dei calciatori di Serie A. E facendo questa vita ritirata, siamo molto amici. Demenia va decisamente contro la nostra idea, troppo romantica forse, anzi senz’altro, del settentrionale deraciné: – È un buon lavoro – dice Demenia –: non importa dove lo si svolge. E così la pensa Mirvano Pertile, il capitano (Thiene, Locri, Andria, Matera): – Si può emergere anche al sud, non è vero che sia un limbo. Guardi Salvemini… ce ne sono molti altri. Ce ne sono molti altri, dice Pertile, però oltre a Salvemini non gli vengono in mente altri nomi. Noi sosteniamo che il calcio, sport principe e praticamente unico, nel meridione, non fornisce frutti proporzionali al numero dei praticanti. – Mancano gli impianti – dice Buccione – manca l’organizzazione, forse manca anche la voglia, si scelgono altre vie. – E poi – dice Mayer – io credo che convenga alle società del sud servirsi di elementi del nord.
Questi sono gironi di ferro, bisogna essere duri, robusti, correre per novanta minuti. – Qui è come dappertutto – dice Toschi – C o D che differenza fa? Basta sapersi adattare, e col nostro mestiere chi non si adatta è finito. Si fanno sacrifici; però c’è il tornaconto. E Busilacchi, romano: – Meglio titolare in quarta serie che riserva nel Lecce, nemmeno se ne parla. – Ma qui si sta bene – dice De Palma –: io a Bisceglie dormivo in una cantina. La vita dei calciatori del Matera è ordinata su un ritmo ultraprofessionistico. Si potrebbe fare altrimenti? Crediamo di no. Divieto di usare la macchina, tranne il lunedì. E la macchina diventa simbolo di evasione erotica. In effetti, un lato negativo è questo della repressione. Lo si capisce entrando nelle stanze. In mezzo alle foto di quelle certe riviste, beninteso artistiche, c’è posto solo per quella di Rivera (il Gianni dovrebbe esserne lusingato). – Qui – dice uno – non puoi parlare due minuti con una ragazza, a mezzogiorno (non parliamo di offrirle un aperitivo!), che già il giorno dopo vanno a raccontare al presidente che ci vai a letto. Il lunedì, la macchina. Bari.
Qui, a volte, una scappata dietro il cimitero, strano accostamento, la vita così vicino la morte, la morte così vicino la vita; e in queste storie che vengono fuori spontanee, all’ora di Carosello, mentre si sbucciano arance, noi riconosciamo il fratello italico, che alla triade mazziniana ne ha sostituita una più circoscritta, e non interamente citabile.– Che fa Mora – ci chiede Toschi dell’ex compagno – fa sempre la bella vita? (si tratta di Bruno Mora, ala destra che raggiunse una buona fama con le casacche della Juve, del Milan e della Nazionale, e che aveva militato con Toschi nella Samp tra il 1958 e il ’60, anno del suo passaggio alla Juve. È scomparso prematuramente nel 1986; Carlo Petrini, il grande pentito del doping e delle scommesse che negli ultimi anni della sua vita ha denunciato quei mali, lo inserisce nel lungo elenco di calciatori che potrebbero essere deceduti per patologie collegate alle pratiche di doping selvaggio degli anni ’60-’70, n.d.r.) E Diego Giannattasio, lo stopper bello – così gli dicono – s’informa sulle cento lire di San Siro (il riferimento è alla partita Inter-Cagliari del 14 gennaio ’68, in cui il libero del Cagliari, Longo, fu colpito da una monetina lanciata dagli spalti: il Giudice Sportivo ribaltò il 3-0 del campo assegnando al Cagliari la vittoria a tavolino per 2-0, n.d.r.). E in breve c’è un crocchio attorno a noi e si discute fino a tardi. Una faccia nuova.– Noi – dice uno – alle nove di sera siamo sempre qui. Vediamo la televisione o giochiamo a carte. Anche il lunedì, magari, tanto siamo abituati a questo ritmo. Quando si torna su, si cambia. Al mattino sveglia alle nove. Anche prima, perché il mister, unica sua cattiva abitudine, si alza alle sei con la radio al massimo, e tanti saluti al sonno. Poi si esce, quattro passi, si va al mercato della frutta, poi al ristorante, poi qui, al campo. Benedetti gli allenamenti, così passa il tempo. Il brutto è quando piove, non si sa dove andare.– Ma andate al bar – diciamo – giocate al flipper.– Siamo la squadra migliore del girone – dice Pertile – quella che merita di vincere.– Quelli che meritano di vincere non vincono mai – dice De Palma.– A proposito, il presidente ha parlato di premio di promozione? – dice uno. Toschi sbadiglia stirando la faccia volpina. Tre gol in una partita, poi uno strappo inguinale. I quattro gol subiti? Nemmeno uno su azione. Due su calcio di punizione, uno su calcio d’angolo e uno su rigore. Ma a che serve dirlo. Pertile va a prendere una bottiglia di grappa del Piave. Mayer faceva il meccanico e gli piaceva fare il meccanico. Voleva mettersi in proprio.– Se trovavo il terreno, non sarei qui – dice senza rimpianto nella voce – ma non sarei nemmeno allo Jesolo, perché avrei smesso col calcio. A fare il meccanico in proprio si guadagna più che a fare il calciatore. C’è mia moglie che sta sempre poco bene, ogni mese torno su. Ho chiesto al presidente di lasciarmi lavorare a mezza giornata. Io sono un buon meccanico, sa? Ma non mi ha lasciato. Del resto, io lo capisco. Mi ha fatto venire qui per fare il calciatore, non il calciatore-meccanico. Il guaio è che io vorrei lavorare per essere a posto con i sindacati e le mutue, perché mia moglie sta sempre male. Danilo Mayer assomiglia al fratello di Gianni Motta, anche nella voce. È l’ultimo arrivo, di lui parlano benissimo, mai visto un libero così, di testa non perde una palla.– Cosa facciamo domani? – dice Giannattasio.– L’allenamento è alle tre – dice Toschi.– E dopodomani torna Bubù – dice De Palma.– Vinceremo senza beccare gol – dice Pertile – vinceremo sicuramente cinque partite di fila senza prender gol, siamo i più forti (il ‘veggente’ Pertile avrebbe poi avuto ragione quasi su tutto: dopo l’uscita di questo articolo il Matera inanellò un filotto di sei vittorie consecutive, dalla 19a alla 24a giornata, incassando soltanto due gol nel 3-2 rifilato alla Sessana, alla 22a; la striscia positiva si interruppe al 25o turno con la sconfitta 1-0 in casa del Savoia, che riaprì il testa-a-testa in classifica ma alla fine non pregiudicò la promozione del Matera in Serie C: n.d.r., segnalazione di Nicola Salerno). Diciamo che è tardi e che andiamo via. Non vuole fermarsi ancora un po’? No, grazie. Andiamo via con dentro una strana cosa che si muove, non compassione, no di certo, questa è gente libera e piglia soldi in misura non disprezzabile. Solidarietà, forse, vicinanza umana fermata in una sera qualunque, solo che era piena di stelle, e che buona la grappa, chi si ricorda la marca, e problemi di routine appena accennati, da parte dei ragazzi molte cose non dette, i sogni forse, e la quasi certezza di non saper poi più nulla di loro, la ragazza di De Palma, la moglie di Mayer che sta poco bene, la radio accesa di Bubù, la quasi certezza di dimenticare e la voglia forte improvvisa di non dimenticare” Gianni Mura
Ricordare Mirvano Pertile, ex capitano rossonero dell’AC Thiene sceso nel profondo Sud per rincorrere il suo sogno, era doveroso. E’stato per me un vero piacere farlo, riscoprendo questo articolo de “La Gazzetta dello Sport” redatto da un grande giornalista qual è Gianni Mura che apprezzo sia per lo stile di penna sia per la sensibilità con la quale riesce a coinvolgere il lettore nella narrazione.
Giuseppe (Joe) Bonato