
Dal sogno alla delusione in novanta minuti fatali, mentre i bianconeri approfittavano di ogni passo falso
Aprile 1986: l’Olimpico è un mare di entusiasmo. La Roma, con il suo organico stellare guidato da Viola, Eriksson e Sormani sembra destinata a sollevare lo scudetto. In campo ci sono i bomber Pruzzo e Graziani, il dinamismo di Cerezo e Ancelotti, e la classe di Boniek. Dopo una stagione all’insegna della rivalità con la Juventus di Trapattoni, battere il Lecce retrocesso appare solo una formalità.

La partita inizia nel migliore dei modi: Graziani porta subito in vantaggio i giallorossi e i tifosi iniziano a sognare. Ma la sicurezza si trasforma in leggerezza. Il Lecce, privo di pressioni, approfitta di ogni disattenzione. Di Chiara pareggia, poi Barbas firma il 2-1 su rigore prima dell’intervallo. Lo stadio, incredulo, percepisce che qualcosa sta andando storto.


Nel secondo tempo la situazione peggiora rapidamente: Barbas firma il terzo gol e la Roma appare paralizzata dalla frustrazione. Anche quando Pruzzo accorcia nel finale, il gap è troppo ampio e la Juventus, vincendo contro il Milan grazie a un gol di Laudrup, balza in testa. L’Olimpico è incredulo, il sogno dello scudetto sfuma in pochi minuti.

Sette giorni dopo, la Juventus consolida il titolo vincendo ancora contro il Lecce, mentre la Roma chiude la stagione con la delusione cocente.
L’unica nota positiva per i tifosi resta Pruzzo, capocannoniere del campionato, a testimonianza del talento individuale in una stagione collettiva che finirà negli annali come una delle più amare della storia giallorossa.
Mario Bocchio
