Il giorno in cui il Torino smise di avere paura
Dic 11, 2025

Lo scudetto di Gigi Radice: una parentesi luminosa che sospese, per un attimo, il doloroso tremendismo granata

Il Torino del 1975-’76 non vinse solo un campionato: vinse un sentimento. Perché Gigi Radice portò in città qualcosa che non apparteneva alla tradizione granata, fatta di sconfitte epiche, fatalità, ferite non rimarginate. Portò la leggerezza. La normalità di sentirsi forti senza doversi chiedere perché. La convinzione che, almeno per una volta, il destino potesse essere alleato.

Fu una squadra costruita a misura d’uomo e di campo: la furia elegante di Pulici e Graziani, il cervello fine di Sala, la cerniera difensiva di Mozzini e Zaccarelli, il lavoro silenzioso di Pecci. E poi Radice, che aveva la bravura rara di rendere semplici le cose difficili. Il suo Torino correva come nessuno, pressava alto, giocava corto, avanzava in blocco. Un calcio moderno in un’epoca che moderno non era.

Fu anche una immensa gioia per il presidente Orfeo Pianelli

La lotta con la Juventus trasformò Torino in un derby lungo un anno. Da una parte la potenza industriale, dall’altra la squadra che portava ancora nel nome l’eco del Grande Torino. A primavera i bianconeri sembravano scappati via, ma il Toro rimase appeso alla propria fame. Fu capace di ribaltare tutto. Lo scudetto arrivò con una naturalezza che nessuno aveva mai più visto dalle parti del Filadelfia.

Pulici esulta dopo la rete al Cesena che consegnò il titolo al Toro

Quella primavera del ’76 sospese il tremendismo: per una volta il popolo granata non temeva il colpo alle spalle, la beffa annunciata, la solita curva discendente del destino. Era tutto abbondante, solido, meritato. Una gioia piena.

Gigi Radice portato in trionfo. Partendo da sinistra, si riconoscono i calciatori Romano Cazzaniga, Claudio Sala e Francesco Graziani

Poi il tempo, come sempre, riprese a fare il suo mestiere. Le stagioni successive non replicarono il miracolo; la città tornò a convivere con la propria malinconia calcistica. Ma lo scudetto di Radice restò lì, incastonato come una pietra lucida in un racconto spesso troppo duro.

Un anno breve, un lampo intenso. Il giorno in cui il Torino, almeno per una volta, non dovette credere ai fantasmi. Solo a se stesso.

Mario Bocchio

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