
Dai trionfi della Dinamo Kiev alla rivoluzione tattica di Lobanovskyi: come il calcio ucraino ha forgiato l’identità e la gloria dell’URSS
Sebbene i risultati dell’Ucraina come nazione indipendente siano stati modesti, è impossibile negare il ruolo centrale che i suoi calciatori ebbero nella storia del calcio sovietico, soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta.
Tra la fine della Seconda guerra mondiale e il 1991, le squadre ucraine conquistarono 16 dei 48 campionati dell’Unione Sovietica: tredici di questi andarono alla Dinamo Kiev. Solo la Russia fece meglio, con 28 titoli. L’Ucraina era celebre per il talento dei suoi giocatori, capaci di unire disciplina e spirito collettivo a estro, tecnica e improvvisazione.

A incarnare questa filosofia fu soprattutto Valeriy Lobanovskyi, nato a Kiev nel 1939 e destinato a diventare una delle menti più influenti del calcio europeo. Con la Dinamo vinse 13 campionati, 9 coppe nazionali e due Coppe delle Coppe; con l’URSS arrivò fino alla finale degli Europei del 1988. Il suo “calcio di sistema”, basato su pressing e organizzazione, anticipò di anni le tendenze moderne e influenzò persino Rinus Michels, il padre del “calcio totale”.
Sotto la sua guida emersero tre Palloni d’Oro ucraini: Oleg Blokhin, Igor Belanov e, in tempi più recenti, Andriy Shevchenko. Blokhin vinse il trofeo nel 1975, dopo aver trascinato la Dinamo Kiev alla vittoria europea contro il Ferencváros con un calcio spettacolare che gli valse il soprannome di “Cruyff delle steppe”.

Anatoliy Byshovets è una figura chiave del calcio sovietico e post-sovietico: attaccante elegante della Dinamo Kiev negli anni d’oro e poi allenatore capace di portare l’URSS all’oro olimpico di Seul nel 1988. Tecnico di grande carisma e intelligenza tattica, ha guidato tre nazionali – URSS, Russia e Corea del Sud – segnando un ponte simbolico tra epoche e culture calcistiche diverse.
Negli anni Settanta, la presenza ucraina nella nazionale sovietica crebbe in modo decisivo: nel 1972, undici dei convocati agli Europei erano nati in Ucraina. Nel 1982 furono nove, e nel 1986 addirittura quindici, molti dei quali provenienti dalla Dinamo Kiev, che proprio quell’anno conquistò un’altra Coppa delle Coppe battendo l’Atlético Madrid 3-0 a Lione.

Quel periodo rappresentò l’apice del calcio sovietico, ma anche l’ultima grande stagione prima del declino. Con la dissoluzione dell’URSS nel 1991, i club delle repubbliche scelsero di entrare nei propri campionati nazionali. In Ucraina, come altrove, la transizione portò difficoltà economiche e disgregazione sociale, ma anche la consapevolezza di un’identità calcistica autonoma e orgogliosa.
Oggi, ricordare quella stagione gloriosa significa riconoscere quanto il calcio ucraino abbia alimentato la potenza sportiva dell’Unione Sovietica. Senza Kiev e i suoi maestri, il calcio rosso non avrebbe avuto la stessa anima. C’erano tempi in cui russi e ucraini correvano insieme verso la stessa porta: ora, purtroppo, corrono in direzioni opposte.
Mario Bocchio
