Lechia Danzica, la coppa della libertà
Giu 15, 2025

Nella Polonia del 1983 la paura aveva odore di carta velina e di timbri rossi. I telefoni tacevano più per autocensura che per rispetto. Le saracinesche si abbassavano presto. In fondo al mar Baltico, a Danzica, il vento portava odore di ferro e carbone. E nel cuore della città, tra i moli e le officine del Cantiere Navale Lenin, qualcosa bruciava ancora.

Il Lechia che vinse la Coppa nel 1983



Due anni prima, nell’agosto 1980, da quelle banchine era salito un urlo nuovo: “Solidarność”. Uno sciopero spontaneo, un leader elettricista di nome Lech Wałęsa, e milioni di operai che chiesero pane, dignità e libertà. Il primo sindacato libero del blocco sovietico, non controllato dal Partito. Una rivoluzione silenziosa che metteva in crisi il cuore stesso del sistema comunista. Per tutta risposta, il 13 dicembre 1981, il generale Wojciech Jaruzelski aveva imposto la legge marziale: carri armati nelle strade, coprifuoco, arresti di massa. Solidarność venne messa fuorilegge, i suoi leader incarcerati, tra cui Wałęsa stesso.

I cantieri di Danzica ai tempi di Solidarność



Nel 1983, quando la legge marziale venne formalmente sospesa, la repressione era ancora nell’aria. Ufficialmente, il Paese era “calmo”. Ma sotto, come in una caldaia, ribollivano le speranze. E in quel clima sospeso, incredibilmente, emerse una squadra di calcio: il Lechia Gdańsk.

Era una squadra di terza divisione. Nessuno se l’aspettava, nemmeno loro. Ma in pochi mesi, il Lechia iniziò una marcia trionfale verso la Coppa di Polonia. Una squadra di provincia, senza un soldo, senza fuoriclasse. Ma con una tifoseria appassionata e un simbolismo potente: Danzica era la città di Solidarność, e ogni vittoria del Lechia sembrava un piccolo riscatto collettivo. Il calcio divenne specchio del sociale: non più oppio del popolo, ma rifugio e bandiera.

Lech Wałęsa allo stadio di Danzica



Il 22 giugno 1983, a Piotrków Trybunalski, il Lechia batté il Piast Gliwice 2-1. Fu la prima (e unica) volta in cui una squadra di terza serie vinse il trofeo. Górski e Kowalski, con i loro gol, sugli scudi, ma fu la vittoria dell’intera squadra allenata dal giovane Jerzy Jastrzębowski.

E fu una delle poche volte in cui i cantieri navali di Danzica si fermarono per una festa e non per uno sciopero. Sugli spalti, tra le sciarpe biancoverdi, comparivano fazzoletti di Solidarność, cuciti a mano.

Stadio esaurito per vedere la Juventus



Il Lechia, da regolamento, si guadagnò l’accesso alla Coppa delle Coppe 1983-’84. E il destino volle che, al primo turno, affrontasse niente meno che la Juventus. Una Juventus straripante: Platini, Boniek (che tra l’altro era polacco), Rossi, Tardelli. All’andata a Torino, il 14 settembre, finì 7-0. Al ritorno a Danzica, tra la nebbia e il fango, il Lechia perse “solo” 3-2 e segnò due gol che fecero piangere lo stadio. Era una sconfitta, sì. Ma anche la consacrazione: quei ragazzi, partiti dalle officine, avevano affrontato i giganti d’Europa. Ed erano usciti a testa alta.

Il ritorno di Boniek, juventino, in Polonia per affrontare il Lechia Danzica



Nel frattempo, Lech Wałęsa veniva insignito del Premio Nobel per la Pace. Il regime gli vietò di andare a Oslo a ritirarlo, temendo che non sarebbe tornato. La moglie Danuta andò al suo posto. E il popolo polacco, per qualche giorno, ricordò che la libertà era ancora possibile. Che poteva arrivare da un discorso a Stoccolma, o da un gol in scivolata.



Il Lechia Danzica non era ufficialmente la squadra di Solidarność. Ma nella memoria collettiva della città, lo è ancora oggi. Quella Coppa di Polonia del 1983 non è solo un trofeo, ma una metafora: il riscatto degli ultimi, la vittoria di chi non si arrende, la dignità, ma soprattutto la libertà che prendono la forma di un pallone.

Mario Bocchio


Condividi su: