Pisa in Serie A con Pippo Inzaghi e il fantasma buono di Anconetani
Mag 6, 2025

C’è un momento, nel tardo pomeriggio, in cui la luce di Pisa si fa dorata, carezzando i tetti rossi e il marmo della Torre con la delicatezza di un ricordo. In quella luce, in quello spazio sospeso tra sogno e memoria, ieri è rinato un miracolo: il Pisa Sporting Club è tornato in Serie A.

È un viaggio attraverso il tempo, un anello che si chiude. Perché a guidare questa squadra, a sedere in panchina mentre il popolo nerazzurro esplode in lacrime e cori, c’è Filippo Inzaghi. Sì, proprio lui. Pippo. L’attaccante instancabile, il rapace d’area. Adesso, da allenatore, Inzaghi ha riportato il Pisa dove l’aveva lasciato Romeo Anconetani: tra i grandi.

Con la camicia sbottonata sul collo, le mani nervose sulle ginocchia, gli occhi che leggono ogni dettaglio del gioco. Non più centravanti, ma stratega.

Pippo Inzaghi riporta il Pisa in Serie A dopo 34 anni

Nessuno immaginava che Pippo Inzaghi avrebbe portato il Pisa in Serie A in meno di due anni. Eppure lo ha fatto. Come sempre: zittendo i dubbi, esaltando il gruppo, vivendo ogni minuto come fosse l’ultimo.

L’Arena Garibaldi, oggi “Stadio Romeo Anconetani”, è di nuovo prontaìi a esplodere. Tribune gonfie di voci, bandiere ovunque. Anziani che si stringono mani tremanti, bambini sulle spalle dei padri, lacrime che non chiedono permesso.

Si sente la presenza di Romeo. Qualcuno giura di aver visto nel corso di questo campionato un uomo anziano, in impermeabile chiaro, alzare le braccia verso il cielo, lì dove la tribuna centrale incontra il tramonto.

Il calciatore danese Klaus Berggreen in azione al Pisa nella stagione 1983-’84

Anconetani non c’è più, ma Pisa non ha mai smesso di appartenergli. Come un dio minore del calcio italiano, continua a vegliare sulle sue creature. E il destino, con la sua penna poetica, ha voluto che proprio Inzaghi, fosse il condottiero del nuovo miracolo.

È impossibile non ricordare. Gli anni Ottanta erano il tempo delle radio accese e dei gol di Incocciati, del talento lunare di Klaus Berggreen, della grinta elegante di Dunga, sì, proprio lui, il futuro capitano del Brasile. Era il tempo in cui Pisa vinceva la Mitropa Cup, giocava a viso aperto contro Milan e Napoli, e costruiva la sua mitologia con ogni salvezza conquistata.

C’erano Paolo Baldieri, un giovane Diego Simeone e Wim Kieft. E le urla di Anconetani, le conferenze stampa infuocate, il sale gettato sul campo. Era spettacolo, sì, ma era anche cuore. Pisa era diversa da tutto.

Oggi i nuovi eroi si chiamano Idrissa Touré, Stefano Moreo, Samuele Angori e Giovanni Bonfanti, e sono cresciuti a pane e sudore. Non hanno il carisma teatrale dei loro predecessori, ma hanno qualcosa che conta anche di più: l’umiltà di chi non dimentica da dove viene.

17 novembre 1985. La squadra del Pisa in posa con il trofeo della Coppa Mitropa 1985-’86 al termine della vittoriosa finale contro gli ungheresi del Debrecen (2-0); per il club nerazzurro si trattò del primo successo internazionale della sua storia

Pisa non è una piazza semplice. Ti ama, ma ti giudica. Ti applaude, ma ti interroga. Ha lo spirito dei marinai e la testa dei filosofi. Ma non ha mai smesso di sperare.

Negli anni bui, quelli della C, dei fallimenti, dei tribunali e delle cordate misteriose, la curva non ha mai taciuto. Le bandiere, magari strappate, erano sempre al vento. I cori, anche con 300 spettatori, non hanno mai smesso di cantare “Forza vecchio cuore nerazzurro”.

E oggi, quella costanza è diventata festa. Una festa che sa di riscatto, di ritorno a casa. Se Romeo potesse parlare, probabilmente sbotterebbe: “Io l’avevo detto che Pisa era da Serie A!” Poi riderebbe, magari imprecherebbe, e tirerebbe fuori una bottiglia di vino per brindare.

Ma forse non serve che lo dica. Il suo spirito è tutto intorno. Sta nei muri dello stadio, negli occhi di chi lo ha conosciuto, nel piede teso di Inzaghi in ogni allenamento.

È un destino scritto nella pietra, come le lapidi antiche di Piazza dei Miracoli. Pisa è tornata. Non per caso. Ma per volontà. Per storia. Perché alcune squadre possono scendere mille volte, ma non smettono mai di essere grandi.

Ora inizia un nuovo capitolo. Con Pippo Inzaghi al timone, l’ambizione non è solo restare. È sognare. Di nuovo. Sempre. E mentre le luci della città si spengono, una scritta resta accesa, nel cuore di chi c’era ieri e c’è oggi: Pisa non muore mai.

Mario Bocchio

Condividi su: