L’ultimo volo del Grande Torino: quando gli eroi diventano eterni
Mag 4, 2025

4 maggio 1949. Il cielo sopra la collina di Superga non fu solo grigio di pioggia. Fu il sipario che si abbassò su una leggenda.

Li chiamavano semplicemente così: il Grande Torino. Non servivano aggettivi, perché erano il calcio. Erano la squadra che faceva cantare gli stadi e battere i cuori, un’orchestra perfetta diretta dal destino, con il capitano Valentino Mazzola a dettare il tempo come un direttore d’altri tempi, le maniche rimboccate e il volto segnato dalla responsabilità e dall’orgoglio.

Foto di squadra del grande Torino nel 1943

Il Torino degli anni ’40 non era solo una squadra di calcio, era l’Italia che voleva rialzarsi, che cercava bellezza dopo le macerie della guerra. Cinque scudetti consecutivi, partite vinte con una superiorità che rasentava la poesia. La Nazionale italiana? Quasi tutta granata, tanto che si diceva: “Quando gioca il Torino, gioca l’Italia”.

Un’azione di gioco del 1943, la prima stagione in cui il Torino fa il salto di qualità con l’acquisto di giocatori importanti

Ma poi venne il 4 maggio 1949. L’aereo Fiat G.212 della compagnia ALI, con a bordo giocatori, tecnici, giornalisti e l’equipaggio, tornava da Lisbona, dopo un’amichevole giocata in onore del capitano del Benfica, Francisco Ferreira. Il volo avrebbe dovuto essere di routine. Ma a volte, la routine si spezza su un dettaglio, su una nuvola troppo fitta, su una collina che non si vede.

Valentino Mazzola durante un incontro dell’Italia contro l’Ungheria, nel 1947: ben dieci giocatori del Torino fanno parte della nazionale

Alle ore 17, 03, l’aereo si schiantò contro il muraglione posteriore della Basilica di Superga. Tutti i 31 occupanti morirono sul colpo. Nessuno si salvò. Il Grande Torino non c’era più.

Le campane di Torino iniziarono a suonare come per una Pasqua al contrario, un rintocco lungo e incredulo. Si fermarono i tram, si fermarono le partite, si fermò il respiro di un Paese intero. Il giorno dei funerali, oltre mezzo milione di persone invase le strade della città. Non c’erano solo tifosi. C’erano madri, bambini, operai, soldati. Tutti. Piangevano come si piange un fratello, un figlio, un sogno spezzato.

Il trimotore Fiat G.212, marche I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, dopo lo schianto contro il terrapieno posteriore della basilica di Superga (Immagine modificata con AI)

Valentino Mazzola, Ezio Loik, Gabetto, Bacigalupo, Ossola, Maroso… nomi scolpiti nel marmo e nella memoria. La leggenda racconta che, da quel giorno, quando il vento soffia tra le navate della Basilica di Superga, si senta il rumore di un pallone che rimbalza, un richiamo lontano, come se i campioni granata stessero ancora giocando tra le nuvole.

Oggi, a ogni 4 maggio, il Torino torna lì, in cima a quella collina, a leggere i nomi uno per uno. È il calcio che si inchina alla storia. È la memoria che resiste al tempo.

Perché il Grande Torino non è mai morto. È solo volato un po’ più in alto.

Mario Bocchio

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