
C’è una frase che si sussurra ancora tra i corridoi del Santiago Bernabéu: “Noventa minuti en el Bernabéu son muy largos”. Non è solo un modo di dire: è un avvertimento, un mantra, un pezzo di DNA madridista. E prima ancora dei gol di Benzema o delle magie di Modrić, questa leggenda si è forgiata negli anni Ottanta, in quel periodo infuocato in cui il Bernabéu divenne un luogo dove i sogni degli avversari andavano a morire, consumati dalla furia bianca di Juanito, Butragueño e soci.
Il Bernabéu ha visto tante notti europee indimenticabili, ma poche sono epiche quanto quelle vissute nei mitici anni ‘80. In quel periodo nacque davvero il concetto di “remontada blanca”, con una serie di partite che ancora oggi fanno parte del patrimonio emotivo del calcio europeo.

Real Madrid – Borussia Mönchengladbach (1985): all’andata, un disastroso 5-1 in Germania sembra chiudere i giochi. Ma al ritorno, il Bernabéu si trasforma. Una squadra trascinata da Santillana e Valdano ribalta tutto con un 4-0 incredibile. È la notte in cui il mito della remuntada prende forma.
Real Madrid – Inter (1986): semifinale di Coppa UEFA. All’andata è 3-1 per i nerazzurri. Al ritorno, il Real si impone 5-1 dopo i supplementari. Juanito, con la sua garra e il carisma che ancora oggi è venerato dai tifosi, domina la scena. La sua celebre frase “con coraje y corazón, lo remontamos” diventa iconica.
Real Madrid – Anderlecht (1984): sconfitta per 3-0 all’andata. Ma il ritorno è un’esplosione: 6-1 al Bernabéu, con Butragueño assoluto protagonista. È la consacrazione della “Quinta del Buitre”, il nucleo di giovani talenti che avrebbe segnato un’epoca.
Quelle notti non erano solo partite. Erano battaglie emotive, in cui il Bernabéu diventava un calderone di energia, alimentato dalla fede cieca dei tifosi e dalla grinta selvaggia di uomini come Juanito, che oggi è un’icona più spirituale che sportiva. I suoi occhi, il suo temperamento, la sua frase scolpita nella memoria collettiva: “El espíritu de Juanito!” è ancora oggi il grido che incendia la rimonta.

Il “miedo escénico” nasce lì. Fu in quelle notti che il termine “miedo escénico” cominciò a diventare realtà. Avversari forti, sicuri di sé, crollavano sotto il peso di uno stadio che ruggiva con una voce sola. Il Bernabéu non era solo uno stadio: era una prova di nervi. E il Real Madrid, anche sotto di tre gol, non era mai finito.
C’è una forza invisibile che aleggia sopra il Santiago Bernabéu quando le notti sono europee, i minuti scorrono e tutto sembra perduto. È il momento in cui il Real Madrid, squadra che si è fatta club mitologico, tira fuori l’anima, il carattere e quella misteriosa capacità di ribaltare l’impossibile. Il “miedo” èuna paura scenica che non nasce negli spalti, ma si riflette negli occhi degli avversari, sempre più piccoli man mano che il Madrid cresce, spinto da una città, una storia e uno stadio che diventa tempio.
Negli ultimi anni, le “remuntade” del Real Madrid sono diventate uno dei simboli più riconoscibili della Champions League. Chi può dimenticare la cavalcata del 2021-‘22, quando i blancos eliminarono PSG, Chelsea e Manchester City in una sequenza di partite in cui la logica è stata messa in panchina? Ogni volta con lo stesso copione: primi minuti di confusione, segnali di cedimento, poi la rimonta, la resurrezione. Una scarica di energia che trasforma un 0-1 in un 3-1 in pochi minuti, sotto gli occhi attoniti del mondo.

Carlo Ancelotti lo ha definito “magnetismo del Bernabéu”, ma non è solo questione di campo. È psicologia, mito, pressione. È il Real Madrid che non accetta la sconfitta.
Fu Jorge Valdano a coniare il termine “miedo escenico”, spiegando che per molti avversari entrare al Bernabéu non è solo giocare una partita, ma entrare in un teatro di fantasmi. “Vedi la camiseta blanca e senti il peso della storia”, raccontano alcuni ex giocatori. E non è difficile crederlo: 15 Champions League, i nomi di Di Stéfano, Zidane, Cristiano Ronaldo, Modrić, Ramos… ogni angolo dello stadio racconta un’impresa.
Se le rimonte moderne di Ancelotti e Zidane hanno fatto la storia recente, è giusto ricordare che tutto è iniziato molto prima. Con una camiseta blanca sudata fino all’ultima cucitura, con le urla di Juanito in campo, con i colpi di genio di Butragueño, e con un pubblico che sapeva già di essere parte di qualcosa di più grande.
Perché al Bernabéu, da 40 anni a questa parte, i minuti finali non sono solo tempo. Sono leggenda in attesa di accadere.
Mario Bocchio