Tante le soddisfazioni ottenute insegnando calcio
Feb 5, 2025

Di poche parole, ma molto attento a dare risposte precise, Vincenzo Di Palma ha un carattere chiuso, ha sempre vissuto i suoi momenti migliori serenamente a Milazzo, là dove, quando libero dagli impegni come allenatore dei portieri,  pratica nuoto, corsa e camminate all’aria aperta. Non frequenta bar e locali pubblici, anche se ha tanti conoscenti. Non gli abbiamo mai sentito usare la parola – “amici” – probabilmente perché lui, il buon Enzo Di Palma, dà molto peso al significato e all’importanza delle parole e dei valori. Il suo vago accento napoletano, che non ha mai perso nonostante abbia girato il mondo in lungo e in largo per il suo lavoro di preparatore dei portieri di calcio, lo rende ancor più simpatico. È il suo modo di essere, preciso e poco incline a enfatizzare l’inutile, perché sa essere essenziale.

Mister Di Palma, lei è nato a Bacoli in provincia di Napoli, eppure di Milazzo ne ha fatto il suo luogo di vita. Qui c’è tanto che le appartiene. Perché?

“La città di Milazzo è diventata la mia prima casa perché tanti anni fa ho conosciuto l’amore, e cioè mia moglie che allora era appena quindicenne”.

De Palma in una formazione della  Nuova Igea negli anni Settanta

Nel 1985-‘86 lei ha conseguito una storica promozione con il Messina in Serie B con Franco Scoglio in panchina, dopo avere vestito le maglie del Milazzo e della Nuova Igea. Poi, sulla soglia dei trent’anni ha deciso di smettere di giocare. Che cosa ricorda di quel periodo?

“Ricordo che l’ultimo anno in cui ho giocato l’ho fatto alla Reggina, poi dovevo fare una scelta: o fare un anno ancora di C2 in Puglia, oppure fare un corso per allenatori a Catania. Così decisi di fare il corso di allenatore. A questo proposito posso dire che mi è andata bene perché subito dopo mi ha chiamato la Reggina e ho iniziato a lavorare con Nevio Scala come allenatore dei portieri in C1, la Serie B e l’ultimo anno con lo spareggio per la Serie A contro la Cremonese”.

Di Palma nel Messina

Una volta appese le scarpe al chiodo, lei che è stato un estremo difensore, ha intrapreso una brillantissima carriera di allenatore dei portieri. Ripercorrendo le tante soddisfazioni che ha avuto insegnando il vero ruolo del portiere di calcio, qual è il momento che ricorda maggiormente con orgoglio?

“Il momento più importante è stato il debutto di Gigi Buffon a Parma, in Serie A contro il Milan. Il quel caso dovevamo fare una scelta perché c’era Bucci infortunato, il secondo portiere Nista e un ragazzino che giocava nella squadra Primavera che era Gigi Buffon. Mi accorsi subito che proprio Gigi Buffon dava maggiori garanzie in quel ruolo di portiere, nonostante fosse il più giovane di tutti. Nevio Scala un giorno mi disse che dovevamo andare dal cavalier Tanzi, perché era arrivato il momento di comprare un portiere. A questo punto, il buon Nevio Scala, allenatore del Parma, mi disse di andare dal presidente, visto che ero l’allenatore dei portieri. Ricordo come fosse ieri, che consigliai quel ragazzino che si allenava con noi e aveva dato prova di grandi qualità tra i pali. Quella fu davvero una mia grande responsabilità che, peraltro, avevo condiviso con Nevio Scala. Ebbene, grazie a Dio quella partita andò bene, e Gigi Buffon partì per quella fantastica carriera che tutti conosciamo”.

Ma che cosa ha visto tecnicamente in Gigi Buffon che altri ancora non percepivano?

“Ho visto in primis il suo carattere allegro, rompi scatole e secondo me anche questo suo modo di agire e comportarsi è stata la sua forza. Infatti, da Nevio Scala a Cesare Maldini, alle Olimpiadi di Atlanta in cui il ruolo di portiere era coperto da Buffon, Pagliuca e Pagotto, mi raccomandavano di tenere a bada il ragazzino Buffon, se no non l’avrebbero portato più con noi. Così negli anni ho capito che proprio quel suo modo di fare e di essere è stata la sua forza. Poi, la sua differenza a livello tecnico tattico è stata quella di prevedere e quindi giocare sull’anticipazione. Infatti, mentre gli altri erano costretti a fare un intervento per rimediare ad un eventuale errore, lui, era già pronto, perché capiva le intenzioni degli avversari”.

E quindi, possiamo dire che era un predestinato?

“Sì, proprio così!”

Giovanni Galli, Ferron, Taffarel, Bucci, Frey, Storari. Tutti portieri che, grazie ai suoi insegnamenti, hanno raggiunto la vetta del successo professionale. Ma qual è stato il suo segreto nell’individuare la grandezza dei portieri che ha saputo preparare?

“Ho sempre lavorato sui particolari, sui dettagli, e tante volte sono capitati dei portieri che le società non avevano nessuna voglia di tenere. Io, invece, gli ho fatto cambiare idea perché sostenevo le loro grandi qualità, a patto di lavorare bene insieme. Così, per mia fortuna, ho sempre avuto ragione. Anche con Storari che ho fatto esordire a Perugia in Serie A e poi Bucci che aveva 18 anni a Parma, Frey che veniva dall’Inter a Verona e aveva 18 anni. Penso di essere stato non autorevole ma più autoritario. Sembra un paradosso, perché nel mondo del calcio è essenziale capire sempre chi hai di fronte”.

Un undici del Messina 1984-’85

E parliamo di Cesare Prandelli, un grande uomo e allenatore molto preparato. Qual è il rapporto che l’ha legato a lui in tanti anni?

“Prima di parlare di Prandelli vorrei ricordare il mio rapporto con Nevio Scala, con il quale ho lavorato per dodici anni. Un uomo eccezionale, un allenatore che oggi non esiste più. Un allenatore che diceva sempre di essere lo psicologo della squadra perché la squadra rispecchia me stesso. E quindi ho un magnifico ricordo di Nevio Scala. Cesare Prandelli, con il quale ho lavorato più di sedici anni, è un allenatore bravissimo tatticamente. Un uomo sempre riservato, sempre sulle sue, mai è andato fuori dalle righe, così come ha dimostrato di essere ai Mondiali quando siamo usciti e ha dato subito le dimissioni. Prandelli è un uomo di altri tempi”.

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