Mentre mi trovo nel museo della DDR di Berlino, nella sezione dedicata allo sport ai tempi della Repubblica Democratica Tedesca, colpisce la mia attenzione un pannello con una foto che ritrae un momento di gioco di una partita della DDR-Oberliga. Mi avvicino lasciando tutti gli altri turisti radunati difronte alla teca contenente la maglia blu della nazionale che disputò i Mondiali del 1974, quelli dove ci fu la storica partita Germania Ovest – Germania Est a Amburgo, vinta dai tedeschi orientali con il gol di Sparwasser. Leggo che la foto è stata scattata durante un derby negli anni ‘70 tra le due squadre simbolo di Berlino Est: l’Union e la Dynamo.
Conosco la realtà dell’ Union Berlin, mentre della Dynamo quasi niente. È il mio amico Valerio che indicando il calciatore in maglia bordeaux mi dice che era la squadra della Stasi e che oggi, nonostante sia caduta in disgrazia, la sua tifoseria è una delle più temibili della Germania. Ha ragione, scrivendo “Dynamo Berlin” su Google si trovano solo foto di scontri tra tifosi e immagini di un derby del 2015 con la Union, terminato con 175 arresti e 112 poliziotti feriti. La storia m’incuriosisce e decido di approfondire subito. Internet mi viene in soccorso e scopro che è stata la squadra più titolata della Germania Est ma anche la più odiata. Un’antipatia che non nasce naturale come quella che spesso si portano dietro i vincenti, bensì alimentata dal fatto di essere la squadra della temuta polizia politica della DDR e per questo “favorita” anche negli arbitraggi.
La società nata nel 1953 come SV Dynamo, era stata rifondata nel 1966 con il nome attuale e controllata direttamente da Erich Mielke, il massimo dirigente della Stasi. Quello fu l’anno della riforma dei campionati calcistici e Mielke fece convergere sulla Dynamo alcuni dei più forti calciatori del paese “chiamati” a Berlino dal miglior club del paese, la Dynamo Dresda (in tutti paesi socialisti non esisteva il professionismo e quindi anche i calciatori erano dipendenti pubblici al pari degli altri lavoratori). Tra la fine degli anni ’70 e la riunificazione, la Dynamo vince consecutivamente dieci titoli, alcune coppe nazionali e riesce per due volte a raggiungere i quarti di finale della Coppa Campioni (nel 1984 è eliminata dalla Roma).
Come per quasi tutti i club della DDR, la riunificazione con l’avvento del professionismo segnò l’inizio della fine. La Germania Federale inquadrò e distribuì i club della massima serie orientale nelle sue tre categorie professionistiche in base alla classifica dell’ultimo campionato di DDR-Oberliga organizzato. Per la Dynamo Berlin, che aveva perso i suoi migliori giocatori andati a giocare nell’Ovest, tra cui Thomas Doll, fu un’annata molto deludente quella 1990-‘91.
Quindi, in base ai criteri prestabiliti, si trovò così a giocare la successiva stagione nella nuova Serie C unica tedesca. Il club più titolato della capitale, rinominatosi adesso F.C. Berlin per tagliare i ponti con l’ingombrante passato, non riesce più a emergere dalla terza serie e addirittura qualche anno dopo conosce il fallimento e l’onta di ripartire dalla quinta serie. I tifosi chiedono di tornare al vecchio nome e nel 1999 ecco di nuovo la denominazione tradizionale: Berliner Fussball Club Dynamo 1966. Solo lo stemma è cambiato, il nuovo logo prevede l’orso, il simbolo della città, al posto del vecchio emblema socialista con la D stilizzata e contornata dalle spighe di grano.
Gli anni Novanta, a fronte del declino della squadra sul campo, hanno visto per contro i tifosi mettersi in mostra. Il piccolo Dynamo Sportforum nel quartiere di Lichtenberg, periferia nord-est di Berlino, è diventato il covo degli hooligans più temuti di Germania con una forte infiltrazione di elementi neonazisti.
Su internet, oltre a queste informazioni, apprendo che il giorno seguente si gioca il secondo turno della stagione 2017-‘18 di Regionalliga (quarta serie tedesca) e la Dynamo ospita in casa il Wacker Nordhausen. Da alcune stagioni la Dynamo gioca le partite casalinghe al rinnovato stadio del centro sportivo di Mauerpark, nel centrale quartiere di Prenzlauer Berg, un paio di fermate di metro dal nostro alloggio.
Non ci pensiamo due volte, decidiamo di andare a vedere la partita. L’indomani, appena entrati nel viale alberato che dal parco porta allo stadio, i tifosi locali alla biglietteria ci hanno subito squadrato. “Più di venti anni di frequentazioni degli stadi e qui da loro sembriamo agenti della Digos!“, osservano i miei amici. Intorno a noi energumeni rasati e pieni di tatuaggi. Tutti sulla quarantina, in maglietta bordeaux con scritte o simboli della squadra. Io e i miei amici non siamo degli sprovveduti, ci conosciamo dai primi anni Novanta, quando da ragazzini frequentavamo gli ultras dell’Empoli, allora si faceva il tifo dalla curva nord ed eravamo una tifoseria seria pure noi.
Ma qui siamo evidentemente estranei e ci sentiamo a disagio. Anche la polizia sembra in tono e hanno facce più da ultras che da tutori dell’ordine. Però dentro lo stadio l’atmosfera cambia. Non ci sono solo figuri che sembrano usciti da un raduno neonazista. Anzi, guardandosi intorno vedo molti redskins, freaks, mods, ragazze e famiglie al completo. Ci sono padri e figli con la maglia della squadra, c’è il tizio vestito con la tuta da meccanico (oggi era un pomeriggio lavorativo), l’anziano signore con il cappellino e la spilla.
Pochissimi teenagers, gli ultras sugli spalti sono per lo più nostri coetanei sulla quarantina. Credo che, a giudicare dall’età, abbiano visto la Dynamo vincere l’ultimo titolo della DDR-Oberliga nel 1988 e la Coppa Campioni, Tutti di evidente estrazione popolare, questa è in ogni caso una tifoseria chiaramente working class. Ci sono due grandi stand che vendono wurstel e salcicce arrostite su grandi bracieri e più in là un altro gazebo che serve fiumi di birra, così ci mescoliamo tra loro per capire meglio di chi siamo ospiti, in questo clima più da festa paesana che pre partita. Notiamo dalle magliette e tatuaggi che va per la maggiore il vecchio simbolo del club nell’era socialista.
Anche quelli che sembrano elementi da movimento nazionalista sfoggiano un’araldica dal sapore di Ostalgie, la maglia vintage della Dynamo accomuna tutti. Sugli spalti arriva questa conferma di scelta identitaria, bandiere della DDR sventolano tra quelle bordeaux della squadra.
Come mi è capitato di leggere, nonostante alcune proposte di parlamentari della CDU di mettere al bando i simboli della vecchia Repubblica Democratica Tedesca, oggi l’esposizione della bandiera della DDR rappresenta un segno di protesta antisistema ma anche richiesta di rispetto per la propria cultura tedesco-orientale. Di fronte al diffuso sentimento tedesco-occidentale di associare all’Est quello che è obsoleto, si esterna una rivendicazione di valori in contrapposizione al consumismo e capitalismo della nuova Germania modernista-ottimista incompatibile con l’identità della classe popolare.
Nonostante sia una partita di quarta serie il merchandising del club va forte e anche l’impianto rimanda a serie più prestigiose. Viene distribuito un programma con notizie sulla squadra e interviste ai giocatori e il tabellone luminoso scandisce la formazione mostrando i volti dei giocatori come avviene nella nostra serie A. Il Jahn-Sportpark, con i suoi 19.000 posti, è un impianto spropositato per le esigenze del club che ha una media spettatori intorno alle 2.000 unità e penso che il trasferimento qui delle gare interne sia stata una scelta dettata da motivi di ordine pubblico. Ma ecco che dagli altoparlanti si annuncia che per la gara di Coppa di Germania del 14 agosto con lo Schalke 04 sono stati venduti 12.000 biglietti e parte uno spontaneo applauso generale. Forse la Dynamo Berlin ha più tifosi di quel che sembra.
La partita scivola via soporifera, dopo la vittoria esterna della prima di campionato oggi è uno scialbo 0-0 e anche il tifo ne risente, si accende solo nel finale quando gli ospiti sono schiacciati nella loro area a difendere il pareggio. Ma della partita a me e ai miei amici interessava poco, volevamo solo vedere da vicino questa realtà che era descritta in termini negativi e invece si presenta piuttosto come pittoresca e nostalgica di un passato glorioso. Prima di andarcene diamo un’occhiata dall’alto della tribuna al sottostante Mauerpark, il cui nome letteralmente significa “parco del muro”, ai tempi della divisione della città quest’area era terra di nessuno, parte della striscia sorvegliata che separava l’Ovest dal settore Est della città.
Con grande sorpresa ci accorgiamo che 300 metri di Muro di Berlino, sopravvissuti all’abbattimento e ricoperti da graffiti, oggi costituiscono parte del perimetro di recinzione tra lo stadio e il parco. Mentre ci incamminiamo all’uscita, ho la percezione che questa della Berliner F.C. Dynamo sia una di quelle realtà che si avvicina al mio ideale romantico di calcio e la lontananza dai riflettori della Bundesliga la rende per certi versi più vera e originale.
Francesco Sani
Fonte Minuto Settantotto