Mi mancano, ci mancano tanto le notti magiche del 1990. Perché eravamo più giovani, perché c’erravamo lasciati da poco alle spalle quei fantastici anni Ottanta che tanto, tantissimo ci avevano fatto sognare. Che errano stati testimoni dei nostri primi successi, quelli amorosi prima di tutto. Formidabile quell’anno 1990, l’estate dei Mondiali di calcio italiani. «Notti magiche / inseguendo un gol» – cantavano Bennato e la Nannini – e fermo immagine indelebile sugli occhi spiritati della “tigre” del Cep di Palermo, Totò Schillaci. La vita di un campione, tra povertà e successo. Schillaci, insomma. Come sottolinea Bennato: «Totò bambino è arrivato lontano, in quelle notti magiche, sotto il cielo di un’ estate italiana».
Ricordate Forrest Gump seduto sulla panchina? «Mamma diceva sempre che i miracoli succedono tutti i giorni», una delle sue frasi che un’altra mamma, Giovanna, ripeteva trent’ anni prima ad un esserino povero e neppure tanto bello, almeno al primo impatto, settimino, di nome Totò, già uomo però con il cuore di bambino che immaginava tutto il possibile, che non stimava i pericoli di un quartiere a rischio perché non li vedeva, lontano da calcoli, libero dalle pressioni del suo sogno di diventare un calciatore.
Vivere e respirare per un pallone, ogni goccia di sudore l’occasione per vincere la partita. Tra una serie di coincidenze favorevoli, diretto testimone e poi protagonista di importanti avvenimenti della narrazione calcistica. Quel Mondiale resta forse anche uno dei nostri più grandi rimpianti sportivi.
Arrivare solo terzi da imbattuti, con appena un gol subito da Zenga fino alla semifinale, ed essere buttati fuori ai rigori dall’Argentina, dopo aver bloccato Maradona… Sono cose che anche a distanza di tanto tempo ci ripensi e sì, fanno un po’ male. Ma è andata così, fa parte del gioco. Il bilancio della carriera di Schillaci è comunque positivo È stato molto fortunato. Ha cominciato a giocare sull’asfalto nella strada del suo quartiere a Palermo, circondato da gente che ha conosciuto la fame e la galera. Lui ce l’ha fatta superando continuamente tutte le sfide che si sono presentate e afferrando al momento giusto l’occasione che gli è stata data. Prima però c’è stato un settennale di gavetta al Messina con allenatore il “Professore” Franco Scoglio come guida. Uno dei tecnici più bravi e forse dimenticati del nostro calcio.
La lezione più importante del Professore? Scoglio gli diceva sempre: «Totò vai in campo e gioca come sai, vedrai che il gol arriverà. Aveva ragione». Nell’89 cade il Muro di Berlino e Totò diventa il nuovo bomber della Juventus. Un passaggio facilitato dall’incontro di amici veri in campo e fuori, come Tacconi, il terzino Napoli e il più grande campione che abbia mai espresso il nostro calcio negli ultimi trent’anni, Roberto Baggio. Roby è stato il nostro Maradona e l’ha dimostrato ancora di più quando ha chiuso la sua carriera in provincia, al Brescia. Alla Juve con Trapattoni ci furono momenti di grande tensione quando il giorno della strage di Capaci disse proprio a Schillaci: «Avete ucciso anche Falcone».
Quella sera si presentò a tavola con la squadra ignorando la notizia… Il Trap si voltò verso di lui e disse quella frase, ma non lo fece con cattiveria, era soltanto addolorato e sconvolto per l’accaduto. E Totò più di lui: lì per lì se la prese, oggi sa bene che la morte dei giudici Falcone e Borsellino e di tutte le vittime di mafia non è certo imputabile al popolo siciliano, il quale è composto da gente che vive del proprio lavoro e non ha niente a che fare con la malavita. È poi sbarcato in Giappone.
Veniva da una stagione all’Inter piena di infortuni, aveva ventinove anni ma già si sentiva a fine carriera, così accettò l’offerta molto vantaggiosa del Júbilo Iwata. All’epoca il calcio giapponese non aveva il seguito di adesso e le cose negli ultimi vent’anni sono nettamente migliorate in tutta l’Asia. Adesso è il momento della Cina e la “rivoluzione” che stanno facendo, a partire dalle scuole calcio fino all’acquisto dell’Inter, ci fa pensare che non sono lontani i tempi in cui anche i cinesi avranno una nazionale competitiva. Oggi gli ultrà se la prendono con i calciatori di colore, ieri invece si accanivano contro quelli meridionali e a lui gridavano «Schillaci ruba le gomme». Sono cose che danno molto fastidio, anche perché da sempre è un costume tipicamente italiano.
Ma Schillaci non si è mai arrabbiato più di tanto e ha capito che un calciatore l’unica risposta agli ignoranti può darla solo in campo, giocando al meglio e divertendo la maggior parte della gente che va allo stadio per assistere a uno spettacolo e non per insultare il meridionale o il ragazzo di colore. Il suo calcio aveva al massimo tre stranieri, oggi ci sono squadre che quando va bene schierano tre italiani. E infatti le conseguenze le stiamo vivendo e pagando sulla nostra pelle. Conte l’ultima volta ha fatto una fatica enorme a trovare ventitré giocatori da portare agli Europei. Prendete uno come Zaza, è un ottimo attaccante, ma alla Juventus nel suo ruolo aveva davanti altri quattro stranieri e gli è toccato andare puntualmente in panchina. E poi addirittura andarese via. Occhi spiritati da macho del Sud, sangue caliente. Eppure diventato anche “cornuto”. Le vene iniziano a gonfiare, le narici si allargano, le labbra si distorcono, nel viso appare tutto lo splendore del tecnicolor e dalla bocca iniziano ad uscire parole indecifrabili che non risparmiano le prime, le seconde e le terze generazioni di chi ti ha offeso.
Ebbene si, la parola “cornuto” per il siciliano è una grande offesa. Poi per Schillaci la rinascita con una nuova donna. Anche questo lato della vita serve a comprendere Totò. Che ha avuto il coraggio anche di voler insegnare calcio nel bronx di Palermo, ai quali ha insegnato che se fai sport e ti allontani dai pericoli della strada prima o poi si presenterà la buona chance. L’importante è saper trovare una passione, e che sia per un pallone da calcio, da pallavolo o da rugby, per un paio di scarpette di danza o per uno strumento musicale, l’importante è che tu segua la tua passione e la tua vita diventerà più facile e sicuramente migliore. Lui questo ho fatto, ha solo assecondato la sua passione di bambino ed è arrivato al grande calcio.
Ai nostri aspiranti campioni mancano però la strada e le pietre. Papà e mamme portano le borse, ai tempi di Schillaci, lui aiutava i compagni più famosi. Andò a Messina, a diciassette anni, con una borsa che pesava più di lui. I giovani di oggi hanno in testa telefonini, computer, internet, amici, amiche. Ma senza passione, non si va da nessuna parte. Anche per questo ci mancano quelle notti magiche di un calcio che purtroppo non c’è più.