A lui, gli è stato dedicato anche un asteroide, il 3442 Yashin. Se fosse ancora in vita, avrebbe 90 anni, ma il “ragno nero” russo, è morto nel 1990, a 60 anni, a causa di un cancro allo stomaco.
La mitologia attorno alla figura di Lev Ivanovič Jašin (o Yashin per comodità e popolarità occidentale) è ampia perché tanto ha dato lui al calcio sia in Russia che su scala globale.
Unico portiere a vincere il Pallone d’oro, nel 1963, a 34 anni e dopo aver annunciato (poi ritrattato) il suo ritiro.
Dietro di lui, quell’anno, tutti in fila per levarsi il cappello c’erano Rivera, Eusebio, Schnellinger, Suarez, Trapattoni e Bobby Charlton. Un’intera carriera a difendere i pali della Dinamo Mosca, 326 partite in 20 anni di militanza nel club, e l’Urss con 74 gettoni tra il 1954 e 1967.
Tanti, bellissimi, sono gli aneddoti, ma ai giorni d’oggi l’icona più visiva e immediata rimane il suo talento e il suo vestirsi completamente di nero, al punto da ricevere quel soprannome lì.
Intere generazioni di ragazzini sono cresciuti con il suo mito e, alcuni, l’hanno dimostrato recentemente: durante l’ultimo turno di Prem’er-Liga russa, Andrey Klimovich, portiere bielorusso dell’Orenburg, e Anton Šunin, omologo della Dinamo Mosca, l’hanno omaggiato scendendo in campo con un’uniforme speciale, una divisa d’altri tempi total black e con cappello modello Brixton brood.
Giovanni Sgobba