Nel 1920 i soldati italiani disputarono a Turriaco una partita di calcio “fanti contro artiglieri” in un campo ricavato alla fine dell’attuale viale Gramsci. I ragazzi del paese, come sempre accade dopo i grandi eventi dei quali sono stati entusiasti spettatori, per imitazione iniziarono a creare pure loro i primi campetti di gioco nei prati e sulle strade.
La palla non poteva che essere di stracci, ma si conoscevano già le regole del calcio moderno che iniziò subito ad appassionare i giovani. In un’intervista registrata nel 1990, Leonardo Caneva ricordava: “All’inizio zugavisi tuti discolsi, de marzo fin a la Cunziziòn co i ne conprava i zocui novi” (all’inizio si giocava tutti scalzi da marzo fino alla Concezione quando ci compravano gli zoccoli nuovi).
Poi arrivarono le “papuze”, qualche zoccolo e infine le scarpe militari con le suole rinforzate da stringhe.
Nel paese si formarono le prime squadrette e si organizzarono i primi incontri “rionali” fra le squadre del “Santonego”, degli “Spangari” e quella della “Cossara” che era la squadra dei contadini e dei cestai, la quale aveva come portiere un ragazzo gigantesco di San Piero, soprannominato “King Kong”. Probabilmente le squadre nacquero all’interno di gruppi o bande preesistenti: la Piazza, via Aquileia, i Casoni, le Marcite, i Mureti, al borgo de Dodo, quello de le Tartare e al logo Vec’, che spostarono il campo della competizione-scontro dalle guerre a sassate alle partite di calcio.
A sinistra: Cesare Clemente, centravanti della Triestina in serie A, anni Cinquanta. A destra: Ugo Gregorin in serie A. Centravanti della Fiorentina, sempre negli anni ’40
Gli uomini solevano trovarsi la sera sotto il “bobolar” per raccontarsela mentre i ragazzi di tutte le età giocavano attorno alla chiesa o facevano capannello sugli scalini della porta del campanile. Naturalmente le discussioni cadevano sul nuovo gioco e, allora come oggi, dal calcio parlato si passava a quello litigato. Una sera che la discussione stava degenerando, il parroco don Eugenio, che stava ad ascoltare, credette opportuno intervenire e dire la sua: “Mi piace che facciate dello sport invece di andare in giro a fare malegrazie”.
Rassicurati nel cuore e nell’animo dall’insperata approvazione del parroco nei confronti del nuovo gioco nel quale invece molti genitori vedevano una perdita di tempo e un allontanamento dal lavoro nei campi, sotto il campanile della chiesa venne presa la decisione di fondare una società di calcio.
Nel giugno 1922 si decise all’unanimità di battezzare la neo costituita società con il nome di Unione Sportiva Isonzo Turriaco. Includendo la parola Isonzo attribuito alla società, i fondatori vollero sottolineare l’intensità del rapporto affettivo che da sempre ha congiunto al fiume la “nostra” gente.
Raccolte le adesioni, la prima assemblea dei soci venne fatta sotto il campanile i primi giorni di luglio del 1922. Si procedette all’elezione delle cariche tramite votazione palese con il seguente esito: all’unanimità venne eletto primo presidente dell’USIT Anselmo Gregorin, consiglieri Marino Perco, Giuseppe Taddeo, Ottavio Spanghero, Ferrante Mulattieri e Massimo Masat. Il direttivo era composto da ragazzi giovanissimi, basti pensare che Anselmo, il presidente, aveva sedici anni. Al momento della fondazione della società nel luglio del 1922, Nicolò Tomasella, detto “Coleto”, oste di Turriaco, lasciò in eredità alla società 1.000 lire.
La prima spesa fatta con i contributi volontari, due lire al mese, fu quella di procurarsi le maglie e il pallone con la “spigheta”, che furono comperati a Gradisca: grande emporio della zona dove si trovava di tutto. Il colore delle maglie prescelto fu bianco-azzurro a strisce verticali, ovvero i colori del Comune. L’allenamento veniva fatto senza ginnastica preparatoria. Si chiedeva il pallone ad Anselmo e si tirava subito in porta. All’inizio le partite venivano disputate dai giocatori della stessa squadra alla sera, allo scopo di divertirsi dopo la fine del lavoro. Non esisteva la figura dell’allenatore e all’inizio la tattica di gioco era solo una: i terzini facevano rimandi lunghissimi e tutti correvano là.
Si iniziarono a giocare partite amichevoli contro i paesi vicini, perché non esistevano ancora i campionati minori. Alla fine degli anni Venti, quando la squadra riportava una vittoria, calciatori e ragazzi per le strade cantavano: “Turriaco è forte davvero, batte il San Piero per due a zero e batte il Pieris per tre a uno come il Turriaco non c’è nessuno”.
Nel 1922 non esistevano ancora campionati dilettanti organizzati in categorie, ma gli incontri di calcio si svolgevano solo all’interno di festeggiamenti di tipo locale o di beneficenza. I primi gironi organizzati, se così si possono definire, portano la data 1926 e sono: il girone monfalconese, composto da quattro squadre (Audax Monfalcone, Cantiere, Ronchi dei Legionari e Turriaco); il girone cervignanese, composto da sei squadre: Cervignano, San Vito al Torre, Aiello, Aquileia, Grado e Fiumicello.
Nel 1928 la società di calcio turriachese era formata da 50 soci, di cui 12 donne. Ma durante il fascismo tutte le forme associative preesistenti vengono sciolte di forza, snaturate nella loro identità a statuto e i loro nomi cambiati. La USIT subisce la stessa sorte, passando a quella più generica di Dopo Lavoro Turriaco. Anselmo Gregorin, primo presidente del calcio turriachese, dal carattere buono e semplice, viene sostituito d’ufficio dal veterinario Mario Malagutti, originario di Ferrara. La radio diffonde i suoi programmi e la gente ascolta i discorsi del Duce e le cronache sportive.
In questo clima lo sport in genere e il calcio in particolare vivono un momento di particolare euforia. Le vittorie dei campionati mondiali di calcio del 1934, la vittoria olimpica del 1936 e la vittoria dei campionati mondiali del 1938 coincidono con il periodo di massimo splendore dell’idea fascista. Sotto la presidenza Malagutti tutte le cariche cessarono il loro mandato istituzionale passando sotto il controllo del Partito Nazionale Fascista.
La squadra negli anni Trenta partecipa a moltissime partite nei vari tornei e gironi dove vengono realizzate una infinità di reti di cui si sono persi ormai gli autori e le trame. Alla fine di quel decennio la canzone cantata in caso di vittoria sull’aria di “macchinista, macchinista daghe oio…” era: “E la mamma, e la mamma mi ha detto chi ha vinto al pallone è Turriaco lo squadrone che nessuno batterà…”.
Il 10 giugno del 1940 scoppia la Seconda guerra mondiale che di fatto mette fine alla generale euforia imperial-proletaria. Nuove parole entrano nei discorsi della gente: carta annonaria, mercato nero, rifugio antiaereo, rastrellamento, deportazione, campo di concentramento. Appena scende il buio e le strade sono deserte per il coprifuoco, milioni di italiani smarriti ascoltano alla radio il “ta-ta-ta-ta” dell’immortale Quinta di Beethoven, conosciuta come la “Sinfonia del destino”: è il segnale di Radio Londra. Nell’estate del 1944 l’USIT aveva una squadra composta da Francesco Cergoli, Ugo Gregorin, Ottavio Dreossi, Antonio Nonis, Lino Clama, Orlando Fabbro, Angelo Spanghero, Mario Furioso e Marino Minin che militò con il Siena in Serie B e che morì come partigiano nella Guerra di Liberazione.
L’angoscia dell’attesa dura, per la gente bisiaca, fino al 1 maggio del 1945 con l’arrivo nel territorio di Monfalcone delle truppe Anglo-Americane. Alla fine degli anni Quaranta venne eletto presidente dell’USIT Giovanni Reatti. Con segretario Lino Farfoglia e Angelo Tomasella tesoriere, che rimasero in carica per più di vent’anni.
Da allora l’USIT è stata per Turriaco un punto di riferimento per intere generazioni di giovani, ma soprattutto ha regalato una intensa vita sportiva fatta non solo da grandi gioie, ma anche da cocenti delusioni.
L’USIT inoltre è stata una fucina di talenti sportivi che per un secolo ha sfornato calciatori che hanno militato nelle serie nazionali di A, B e C dando lustro, conoscenza e onore a tutta la comunità turriachese in generale e quella bianco celeste in particolare.
In tutto questo, molti meriti e un sincero ringraziamento deve essere reso pubblicamente non solo ai dirigenti attuali ma anche a quelli del passato che sacrificarono affetti e risorse personali, offrendo “un raro esempio di passione sportiva, di oculata gestione economica, di generosa abnegazione, di ricchezza di sentimenti semplici, forse ai nostri giorni non facilmente ripetibili”.
Questa breve ricerca è stata resa possibile grazie ai contributi di Mario Furioso, Livio Tonca e Raffaele Zorzi.