Si dice sempre più frequentemente col passare degli anni che, nel calcio attuale, mancano le cosiddette “bandiere”, ovverosia uomini che incarnano alla perfezione lo spirito di una squadra tanto da rimanerne un simbolo in eterno. Ebbene, alla vigilia di un Natale che ripropone un duello al vertice fra le due facce della capitale industriale, ne vogliamo ricordare una coi fiocchi.
Oggi è un signore che tutti gli amanti del calcio fanno fatica, come si addice ad ogni eroe da fumetto, a vedere imbiancato in testa e imbolsito in viso, giacché nella mente di tutti rimarrà sempre alto e slanciato, imbrillantinato e con un ciuffo degno delle migliori copertine di Vogue, ma soprattutto resterà sempre impressa quella sua falcata ampia, rotonda e inesauribile, con la quale copriva tutte le zone del campo di San Siro. Nicola Berti non immaginava già adolescente di poter fare una professione così divertente e intrisa di tale dinamismo: il papà lo aveva avviato, come si soleva dire un tempo, a bottega, per fargli portare avanti il suo negozio ambulante di generi alimentari che con molta fatica aveva messo in piedi.
E lì, dietro al bancone, Nicola passava le sue giornate, inframezzate dal pallone, che lo vedeva sbocciare nelle giovanili del Parma e lì approdare nella prima squadra militante in serie C1: del resto la distanza esigua dalla sua città natale rendeva possibile questo sdoppiamento professionale, fosse stato mai che si paventasse un insuccesso nella sua carriera. Ma siccome il ragazzo cresceva, tanto e bene, nel 1985 passò alla Fiorentina, dove Agroppi lo lanciò senza remore, forse perché istintivo e ribelle come lui, e dove Nicola ricambiò con due gol pesanti più di sei etti di crudo di Parma, a Inter e Juventus. Fu quasi scontato che sarebbe passato a una grande, proprio una delle due cui rifilò una delle sue prodezze, meno scontato fu il prezzo del suo cartellino: Pellegrini sborsò sette miliardi e mezzo di lire, un cifrone per l’epoca, se consideriamo che il futuro Pallone d’Oro Lothar Matthäus fu pagato due miliardi in meno.
Essendo il 1988, Milano era talmente la città del benessere e del rilancio consumistico italiano, che addirittura ne divenne ispiratrice per un celebre spot di un noto amaro, a tal punto da essere ancora oggi quello spot iconico, e quel suo slogan stampato nella corteccia cerebrale di ognuno: “Milano da bere”. Questo destò un po’di preoccupazioni nell’ambiente nerazzurro, consapevole della generosità con cui il ventunenne Nicola Berti, dall’alto del suo portamento da indossatore, viveva la vita notturna già a Firenze. Ma fin quando avesse mostrato altrettanta generosità in campo svolazzando da un’area all’altra, nessuno lo avrebbe rimbrottato: questo gli promise lo Zio, che intuendone la debordante personalità, con doti da chiaroveggente lo investì del ruolo di cavalier servente nerazzurro.
E la luna di miele non tardò a consumarsi, come da tradizione in un viaggio estero, nella fredda Monaco di Baviera, con una galoppata degna di un puledro di razza: ottanta metri di sgroppata imperiosa e tocco chirurgico a scavalcare Aumann. Poco importa se due settimane dopo i tedeschi si ripresero la qualificazione con gli interessi a San Siro… Nicolino era già leggenda. La sua cifra stilistica era paragonabile a quella dei centrocampisti olandesi anni settanta, un giocatore moderno che spaziava ovunque, magari non seguendo alla perfezione i dettami tattici, ma in compenso con un repertorio atletico che gli permetteva sberle dal limite e stacchi imperiosi. Proprio con quest’arma è assurto alla gloria eterna nelle sfide che ogni meneghino sente più di ogni altra, più delle sfide con la Juve, più di quelle che valgono un titolo… i derby de la Madunina: il salumiere da Salsomaggiore ha rappresentato per anni lo spauracchio dei rossoneri, segnando nel corso degli anni nerazzurri per ben tre volte gol pesanti come il macigno sospinto da Sìsifo; gol pesanti a tal punto che anche il tifoso milanista Teo Teocoli, alias Peo Pericoli, nei suoi sketch lo evocava in preda a crisi isteriche dopo le sue capocciate gol, e quando le capocciate non erano le sue, la palla in testa la spedì con un bolide dopo un rimbalzo sulla traversa a Sebastiano Rossi, per giustiziare ancora una volta i cugini mai tanto amati. Neanche a parole.
Sì, perché Nicola, grazie alla sua estroversione emiliana con tanto di erre moscia e mascella da duro, ma sempre col sorriso guascone di chi la sa lunga, non ha mai negato il suo astio nei confronti dei suoi compagni milanisti in nazionale, tanto da dichiarare una volta che “Baresi lanciò la moda del braccio alzato e tutti gli arbitri gli davano retta più che a un guardalinee”; ma ciò nonostante, è riuscito a partecipare da protagonista a due edizioni dei mondiali, in Italia e negli Stati Uniti. Quegli Stati Uniti dove fu titolare in campo a Pasadena con lo stesso Baresi, Costacurta, Donadoni & co., e nei quali è ancora ricordato fra le passerelle modaiole, dove una giovane Naomi Campbell lo adocchiò con la stessa attenzione di un direttore sportivo al calciomercato, e sopra le quali gli è capitato, col suo bel passo lungo, di sfilare senza mai cadere. Come dietro al bancone, come in campo, naturalmente…. sempre in piedi.
Marco Murri