Le grandi le ha conosciute tutte o quasi in una carriera infinita, iniziata tra i dilettanti da minorenne e chiusa a 40 anni nel Piacenza quando ci volle tutta la diplomazia del compianto Gigi Simoni a convincerlo ad appendere le scarpette al chiodo per limiti di età. Pietro Vierchowod per tutti era lo zar, perché il padre Ivan Luchianovic Vierchowod era stato un soldato ucraino dell’armata sovietica prigioniero in Italia. Finita la guerra si rifiutò di tornare in Ucraina, nella fonderia di Ricovo, periferia di Kiev. Si sposò a Spirano, nel Bergamasco.
Nel dopoguerra l’ex soldato fece il facchino, l’ortolano e poi il meccanico nella fabbrica delle motociclette Rumi. Pietro era un bambino di ferro. Il padre lo mandò subito a imparare un mestiere e diventò manovale ed aiutante idraulico. Iniziò come calciatore nel tempo libero. Ma non si fermò più. Esploso nel Como divenne un big nella Fiorentina, tornato alla Samp che ne deteneva il cartellino, fu girato in prestito alla Roma per un favore del club blucerchiato ai giallorossi. Il favore lo fece anche la Roma a lui: insieme vinsero lo scudetto. A Repubblica Vierchowod ricordò: “Arrivato in ritiro, a Brunico, trovai una tavolata con wurstel, salsicce, birra. Una pacchia. Liedholm lasciava fare. A lui bastava che in allenamento e in campo facessimo il nostro dovere. Al primo allenamento il Barone non mi disse nulla. Mi mise in mezzo tra Nappi e Nela, dietro a Di Bartolomei. Pronti-via e in difesa non ci rimane più nessuno. Quell’anno non superai mai la metà campo. A Roma vissi una stagione indimenticabile, un campionato bellissimo, quello della mia consacrazione. Vincemmo lo Scudetto, che mancava da 40 anni. Fu magnifico vedere l’intera città dipinta di giallorosso, perfino le strisce pedonali”.
Poi Mantovani lo rivolle alla Samp e lì rimase dall’83 al ’95, vincendo ancora uno storico scudetto. Era la Samp di Vialli e Mancini, allenata dal vecchio volpone Boskov che lui ricorda così: “Boskov io non l’ho mai visto arrabbiato. In più, era una persona intelligente e furba. Sapeva ascoltare, ma decideva di testa sua: una volta ci fece capire che voleva tenere fuori Cerezo per far giocare Katanec. Allora con Mancini e Vialli ci organizziamo per fargli cambiare idea. Si decide che debba parlarci io. Vado, gli dico cosa pensiamo, lui fa finta di accogliere la nostra proposta, ma poi la domenica mette Katanec. Che segna il goal-partita. Io mi sarei sotterrato”.
“Ha un hobby abbastanza singolare, colleziona minisaponette, di quelle degli alberghi”, raccontò Gianni Mura di lui. In campo però era Hulk per tutti e soprattutto per Maradona: “Una volta gli ero addosso. L’avevo, come si dice adesso, ingabbiato. Si è girato con una piroetta, un tunnel ed è volato via. Io allora sono scattato e l’ho raggiunto e chiuso in angolo e lui si è messo ridere: ‘Hanno ragione a dire che sei Hulk: ti manca solo il colore verde’..”. Meno divertente il ricordo di Careca, che lo chiamava “faccia di lucertola”. Passò alla Juve nel ’96 in tempo per vincere la Champions, si tolse lo sfizio di giocare anche col Milan. Lasciò a 41 anni dopo 562 partite e un grande rimpianto: la Nazionale dove non fu mai amato nè da Bearzot, nè da Vicini nè dalla fortuna che lo tolse di mezzo per un infortunio in Spagna nell’82.
Da allenatore la sua stagione è stata breve, Catania, Firenze, Triestina. Nel 2012 si è candidato a sindaco nelle elezioni comunali di Como, alla guida di una lista civica. “Mi piaceva Pertini, che avevo conosciuto sull’ aereo dopo il trionfo al Mundial 1982. Mi aveva colpito per la sua umanità”. Ottenne 1.017 voti (2,53% delle preferenze). Poi è emigrato prima alla Honved Budapest, dopo nove anni di stop al posto dell’ex compagno Marco Rossi, e poi in Albania, al Kamza, ma in un’altra situazione precaria e di estrema difficoltà: lasciò subito senza rimpianti. È supervisore tecnico degli Academy Junior Camp del Milan assieme, tra gli altri, a Pierino Prati, Filippo Galli e Stefano Eranio. Oggi si gode la famiglia, i figli e la moglie Carmen Gaiani, a Como in una bella casa sul lago. Silenzio, verde, idrovolanti ed un barboncino, Rod.