Sei anni fa, nella notte tra il 3 e il 4 marzo, in un albergo di Udine se ne andava Davide Astori. Firenze non lo dimentica mai, con tanto di applauso al minuto 13 (il suo numero di maglia) del primo e secondo tempo, piccoli-grandi gesti doverosoìi per omaggiarne la memoria. Ai microfoni del Corriere dello Sport negli anni scorsi avevano parlato i due fratelli di Davide, Marco e Bruno: dalle loro dichiarazioni emerge un filo di nostalgia per quei tempi che, purtroppo, non torneranno più.”La sua morte è lo spartiacque tra due vite: c’è un prima del 4 marzo 2018 e c’è un dopo, è come se quel giorno fossi morto anch’io, non una parte di me. Adesso so, sappiamo che non potremo più ambire alla felicità piena della vita precedente. Nostra madre sintetizza tutto con una sola parola: altro. Superato un dolore simile, gli imprevisti, i problemi, le tensioni quotidiane sono idiozie vissute come tali. La morte come spartiacque, è così. Io ho una moglie, un figlio, gli amici, il lavoro e un pensiero che si ripresenta costantemente nel cervello e che mi rappresenta: l’assenza”.
La carriera di Astori è stata quella di un ottimo calciatore, un campione sotto l’aspetto dei valori umani. “Davide è stato un ottimo calciatore, non un campione di rilevanza mondiale, ma trasmetteva valori e questo la gente, anche i tanti che non l’avevano mai incontrato, l’ha percepito. Probabilmente ha colmato un vuoto emotivo. Era il Maradona o il Pelé dei valori umani. Davide era fortemente empatico”.
Il popolo fiorentino resterà sempre nel cuore della famiglia Astori per il trattamento che ha saputo riservare a Davide nel corso degli anni. “I fiorentini sono pieni di passione, speciali, vivono di pancia ogni cosa, ogni rapporto. Davide era rimasto quando tutti gli altri erano fuggiti, su di lui la Fiorentina impostò la ricostruzione. Da quel momento Firenze l’ha adottato, l’ha sentito suo”.