Una rosa di ventidue giocatori per vincere il Mondiale del 1978, in casa. Ma in quell’Argentina del Ct César Luis Menotti non tutti giocarono. Oppure ci fu chi giocò veramente poco. Héctor Rodolfo Baley, ruolo portiere: all’epoca il titolare dei guantoni della nazionale biancoceleste era Ubaldo Fillol, Baley perciò non trovò mai molto spazio e in quel Mundial non scese mai una volta in campo. Stessa sorte per il terzo estremo difensore, Ricardo Antonio La Volpe Guarchoni.
Américo Rubén Galván – da no confondersi con l’altro Galván, Luis – ruolo centrocampista, trascorse la maggior parte della sua carriera nell’ Independiente, con cui vinse quattro Coppe Libertadores consecutive, tra il 1972 ed il 1975, e due campionati Nacional, 1977 e 1978. Il difensore Pedro Daniel Killer Diez vestiva la maglia numero 11; al momento della rassegna iridata giocava nel Racing di Avellaneda. Norberto Osvaldo Alonso, soprannominato Beto Alonso, giocava a centrocampo. Ha disputato la maggior parte delle partite della sua carriera nel River Plate, risultando uno dei calciatori più rappresentativi del club, venne anche riconosciuto in varie stagioni come uno dei migliori giocatori sudamericani al mondo negli anni 70. Inizialmente Alonso non era stato selezionato da Menotti nella Nazionale argentina per i Mondiali del 1978, ma fu fatto comunque convocare sotto pressione dell’ammiraglio Carlos Lacoste, uno dei più influenti uomini del governo militare al tempo al potere in Argentina. Per via della numerazione dei calciatori in ordine alfabetico allora in vigore, Alonso indossò la maglia numero 1 (solitamente riservata al portiere titolare). Durante il Mondiale Menotti fece scendere in campo Alonso soltanto per pochi minuti, ma fu decisivo per la Selección nel finale del match con l’Ungheria.
Omar Ruben Larrosa, centrocampista, al tempo militava anche lui nell’Independiente. G iocò solo nella finale contro l’IOlanda, entrando al 65 al posto di Osvaldo Ardiles. Miguel Ángel Oviedo proveniva dal Talleres, giocò solo quattro minuti contro il Perù.
José Daniel Valencia del Talleres, partì titolare, per cedere il posto dopo quattro partite a causa dell’arretramento di Mario Kempes. Oscar Ortiz, del River Plate, funambolo della fascia sinistra. soprannominato El mago fa-fa, per la capacità di fare qualunque cosa col pallone, giocò da titolare la finale del torneo vinta contro l’Olanda, venendo sostituito al 74’ minuto da René Houseman, El Loco, che Menotti aveva convocato al posto di un giovanissimo Maradona.
Al centro, sempre da sinistra: Alberto Tarantini, Héctor Baley, Ricardo Villa, Ricardo La Volpe, Mario Kempes, Ubaldo Fillol. Daniel Killer.
Seduti Américo Gallego, Rubén Galván, Omar Larrosa, Luis Galván, Oscar Ortiz, Osvaldo Ardiles, René Houseman, José Daniel Valencia
Ruben Pagnanini, difensore, El Gato, pure lui dei Diablos Rojos di Avellaneda,non scese in campi nemmeno un minuto. Come gli altri quattro giocatori che non assaporarono il prato (Baley, La Volpe, Killer e Rubén Galván è rimasto con quella piccola spina di insoddisfazione, ma “Ho incoraggiato, aiutato i compagni e sono orgoglioso di aver fatto parte di quel gruppo, è stato un regalo dal cielo”. Compagno di Larrosa nei duelli di ping-pong nei ritiri, ha vissuto le partite con grande nervosismo e ritiene che “la più difficile è stata contro la Polonia, non so cosa sarebbe successo se Fillol non avesse parato il rigore”. Come tutti, ricorda con affetto la vecchina all’angolo. Migliaia di tifosi si sono accalcati davanti all’albergo prima del debutto contro l’Ungheria. Poi il pullman ha preso una strada laterale. In un angolo c’era una donna anziana con una Vergine di Luján. L’Argentina vinse. I giocatori non la videro contro l’Italia e persero. Poi dopo aver giocato nella sede di Rosario e aver superato il turno, ritornarono a José Clemente Paz per la finale. Sulla strada verso il Monumental, tutti ricordarono la vecchina. La nonna è lì ?, si chiedevano con una certa angoscia. “Quando il pullman arrivò all’angolo e l’abbiamo vista con la Vergine, abbiamo dato vita ad una sorta di carnevale barbaro. Quattro ore dopo, abbiamo fatto il giro olimpico. Eravamo campioni del mondo” ricorda Pagnanini. L’uomo che sapeva caricare il gruppo.
Mario Bocchio