Era in assoluto il più biondo della squadra bianconera. Quando andava via in velocità tra il solito nugolo di avversari che cercavano in tutti i modi di fermarlo, ci si poteva rendere conto che quel ragazzino, che prometteva bene, non poteva che essere lui, Giovanni Koetting, detto Gianni, forse per addolcire, almeno in parte, quel cognome così duro e difficile da pronunciare. Già nelle primissime stagioni nel settore giovanile bianconero, dove era approdato nel 1972 a soli dieci anni, il “tedesco” nato ad Ivrea (di origini fiamminghe, il nonno emigrò nel Canavese dal Belgio) emergeva per tecnica, sagacia tattica e progressione.
I suoi allenatori, da Pedrale a Grosso passando per Sentimenti IV e Bussone, non facevano fatica ad intravedere in quel centrocampista, che veniva preferibilmente impiegato sulla fascia, il giusto mix di tutte le doti che fanno di un giovane promettente un potenziale campioncino.
«Nel vivaio della Juventus ho fatto tutta la trafila sino alla “Primavera”, dove ho giocato con Pin, Storgato e Galderisi. A sedici anni ho iniziato ad entrare nel giro delle Nazionali giovanili: soltanto allora mi sono reso conto che forse sarei potuto diventare qualcuno».
Così infatti è stato. Dopo una stagione da riserva in A con l’Udinese a soli 18 anni ed il successivo torneo in B con la Spal, nel 1982 Koetting ritorna alla base, dove diventa il pupillo di Trapattoni.
«Purtroppo non è andata proprio così, altrimenti avrei giocato ben di più. In ogni caso durante le tre stagioni in bianconero mi sono tolto le mie soddisfazioni: nel 1984-‘85, ad esempio, realizzai, contro l’Udinese, la rete decisiva quando ero entrato da appena dieci minuti. Dopo quella partita ho pensato che fosse finalmente giunto il mio momento e difatti, nel prosieguo della stagione, ho fatto piuttosto bene. Ma, purtroppo, nel calcio ci vuole sempre un po’ di fortuna. Nella prima stagione con la Juventus, ad esempio, pur di giocare una volta sono sceso in campo con 38 e mezzo di febbre tenendo il medico all’oscuro di tutto. Ed, ovviamente, in quel frangente non ho certo dato il meglio di me. La verità è che quando si è impiegati con il contagocce, come mi capitava in quella compagine ricca di grandissimi campioni, risulta assai difficile dimostrare quello che si vale davvero».
In ogni caso, pur assommando soltanto 17 gettoni di presenza, tra campionato e Coppe, Koetting è a tutti gli effetti da considerarsi un giocatore pluridecorato.
«In un triennio abbiamo vinto uno scudetto, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e la Coppa dei Campioni. Certo, io ho giocato poco, ma non mi trovavo lì per caso: se ho dato poco in campo, nel gruppo ho sicuramente fatto la mia parte mantenendo un atteggiamento sempre positivo. In una squadra non tutti giocano e possono quindi ritenersi soddisfatti al 100%; io lo ero al 20%, ma non ho mai creato alcun problema».
Nell’estate del 1985, Koetting venne ceduto per una cifra record all’Ancona in serie C. Poteva essere l’anno della svolta e della definitiva consacrazione, invece…
«Andò diversamente: lo dicevo che nel calcio ci vuole fortuna. Ma andiamo con ordine. Nella Juventus ero chiuso e, pur avendo ancora tre anni di contratto, preferii andar via per giocare. All’inizio sembravo destinato al Bologna in B, poi invece fui venduto all’Ancona. In conseguenza di quanto era stato pagato, tutti si aspettavano da me sfracelli. Ma in quella stagione, se cadeva un sasso, non poteva che beccare me. Sono stato fermo per due mesi e poi ho accusato diversi altri problemi fisici: ed il pubblico si sentiva in dovere di fischiare “mister miliardo”. Il secondo anno invece è andato molto meglio, ma alla fine ho avuto un grave problema familiare che mi ha spinto a chiedere di riavvicinarmi a casa. Così sono stato contattato dalla Pro Vercelli che mi voleva ad ogni costo ed a me quella sistemazione andava benissimo; purtroppo però mi sono scontrato con le esigenze della società, che, per recuperare il più possibile dalla cessione del sottoscritto, voleva vendermi in una serie superiore. Allora mi sono impuntato e, pur di stare vicino a Torino, sono andato a giocare tra i dilettanti dell’Ivrea. L’anno successivo l’Ancona, che voleva girarmi in C1 al La Spezia, dove mi offrivano un contratto annuale, mi ha richiamato: a quel punto, avendo già una famiglia sulle spalle, ho preferito chiudere con il professionismo».
Ma non con il calcio, in ogni caso. Per diversi anni Koetting ha infatti calcato ancora i campi piemontesi proprio con l’Ivrea ed in seguito con la Rivarolese.
«Grazie al cielo, avevo conseguito il diploma di ragioniere, cosicché, pur continuando a giocare, sono riuscito a trovare un posto in banca ad Ivrea dopo aver superato un concorso. Se mi sono mai pentito della scelta fatta a soli 26 anni ? Assolutamente; continuando in serie C avrei forse guadagnato di più, ma poi avrei fatto fatica a sistemarmi per la vita. L’unico rimpianto consiste nel fatto che, pur avendo buone potenzialità, ho raccolto meno del dovuto nonostante le 26 partite nelle rappresentative azzurre. Tutto il resto appartiene ormai al passato».
In collaborazione con www.tuttojuve.com