La Juve l’aveva preso dall’Avellino per sostituire Claudio Gentile, un compito tutt’altro che facile per Luciano Favero, detto Baffo per quei mustacchi imperiosi che ha portato per tutta una carriera partita da “operaio” del pallone e che l’avrebbe poi condotto a vincere con la maglia bianconera dal 1984 al 1989, uno scudetto, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa Uefa.
Origini contadine (sei fratelli in famiglia) e tanta voglia di lottare in campo, Favero rivelò a “Il Pallone racconta” che anziché la Juve il suo destino doveva essere la Lazio: “Ero a conoscenza delle trattative della Juventus per prelevarmi dall’Avellino e mandarmi alla Lazio, quale contropartita di alcuni giocatori; partii per le vacanze con la consapevolezza di vestire la maglia bianco-azzurra laziale.
Fu proprio in vacanza che ricevetti dalla società la notizia del mutamento di programma; la cosa mi lasciò letteralmente incredulo e la mia felicità esplose nel più vivo entusiasmo. Poi è sopraggiunta una fase all’insegna della paura di commettere errori; essere accanto a personaggi di fama mondiale, mi ha fatto scaturire un senso di inferiorità e di imbarazzo che ha creato delle difficoltà al mio rendimento iniziale.
Soprattutto, ero deluso dalla consapevolezza di vedere i tifosi juventini titubanti a un mio impiego nella squadra bianconera; molto mi giudicavano non da Juventus. È stato un periodo molto duro, poi, in una partita casalinga contro il Napoli, sono riuscito ad annullare Maradona e la gente ha cominciato a scoprire anche Luciano Favero, quale protagonista delle vittorie della Juventus”.
Che furono tante. La più bella la raccontò a Hurrà Juve: “Il più bel ricordo è quello della Coppa Intercontinentale, al di là del risultato era già una cosa grandissima essere là. Poi ci sono stati momenti neri ma neri davvero. La sera dell’Heysel e quell’altra maledetta, nella quale anche se io non ero più alla Juve, appresi della morte di Scirea, povero Gaetano. Sì, le pagine felici sono state molte di più ma quel paio di nere sono state così profonde da essere dolorosamente indimenticabili”.
Dopo cinque stagioni alla Juventus, nell’estate 1989, le strade di Luciano e della società bianconera si separarono.“Sono andato a Verona, nell’ultimo anno di Bagnoli. Una stagione sfortunata, culminata con la retrocessione, presto riscattata solo un campionato dopo con la promozione della squadra affidata a Fascetti. Poi ho smesso, ad altissimo livello”. Alla Juve era in stanza con Tacconi, con cui era stato compagno anche all’Avellino, ma nel 2003 la loro ventennale amicizia è finita in tribunale.
Favero ha fatto incriminare Tacconi per truffa e appropriazione indebita, e ha chiamato a dargli man forte contro l’ ex compagno altri grandi nomi del calcio di quegli anni: Paolo Rossi, Totò Schillaci, Ciccio Graziani, Sabino Nela, Franco Causio: avanzava un cachet totale di 27 milioni, mai ricevuti, per gare-evento organizzate da Tacconi.
“Effettivamente neanche io ho visto una lira”, dichiara per esempio Paolo Rossi. Ma l’ avvocato di Tacconi, riesce a convincere il giudice che non c’ è stata nessuna truffa, e che il contenzioso tra l’ ex portiere e i suoi compagni è roba che riguarda al massimo il giudice civile. Così per Tacconi arriva l’ assoluzione. Processo finito.
Amicizia, probabilmente, pure. I guai finanziari veri però arriveranno dopo per Favero. Al Corriere dello sport disse: “Ho perso un sacco di soldi… Quando giocavo avevo aperto con un socio un’autorivendita. Beh, è stato un fallimento, ci ho rimesso un miliardo, tutti i guadagni di una carriera. Poi ho lavoricchiato qua e là. Aiutando qualche amico con dei lavoretti, anche manuali. Ora faccio il caddie master (quello che nel golf porta le mazze). Sei ore al giorno in un golf club vicino a casa mia, dalle parti di Santa Maria di Sala, nel veneziano: sto all’aria aperta, me la spasso, non è male, dico sul serio. Non mi sono nemmeno fatto il patentino da allenatore. E poi per questo mondo ci vuole carattere, io sono troppo buono, non ho il pelo sullo stomaco, meglio lasciar perdere”.