Sulle figurine difficilmente passava inosservato
Nov 3, 2023

“Occorre investire nei vivai, scovare giovanissimi talenti che ci sono e non devono andare perduti. Ma non bisogna far giocare solo chi può pagare le scuole calcio: manca gente che ha fame ed è disposta a fare sacrifici ed è su di loro che bisogna puntare. Per farlo, la Federcalcio deve sostenere di più i vivai delle società”: Rosolo Vailati, che giovanissimo lavorava e s’allenava già, arrivò a Varese, la Città Giardino, nel 1972, non ancora maggiorenne, in un mitico settore giovanile con compagni come Gentile, de Lorentiis, Ramella e tanti altri. Oggi ci racconta la sua idea di calcio, con un occhio amorevole ai al Varese di ieri, oggi e domani (“Montesano un funambolo, Fascetti un sergente capace di responsabilizzarci”): “Ogni lunedì cerco i risultati del Varese, come fanno in tantissimi ovunque. Tornerà in alto, ma deve farlo con il suo vivaio. Perché è il suo punto di forza, e la storia va sempre ascoltata”.

Facendo un balzo indietro negli anni, Vailati, centrocampista classe 1955 di Vaiano Cremasco, ricorda come, a differenza degli altri suoi compagni, non si fermava al collegio De Filippi, ma viaggiava in treno andando ad allenarsi a Venegono. Suo compagno di viaggio del tempo era il grande Egidio Calloni che, proprio in quel periodo, faceva il servizio militare in una caserma di Milano.

Nel 1974 Rosolo viene mandato in prestito in serie D alla Milanese (28 presenze), poi in C alla Pro Patria dove segna il suo primo gol contro il Venezia. Nella stagione 1976-‘77 nuovo prestito: stavolta va a farsi le ossa al Messina. A fine campionato ritorna a Varese dove rimarrà sino al 1980 (97 presenze, 10 gol). Sotto la guida del suo padre putativo Eugenio Fascetti, ottiene la promozione in serie B nel 1980, prima di passare al Palermo dove si ferma per due stagioni, sotto la guida di Fernando Veneranda. Nel 1982 è all’Avellino dove esordisce contro la Juventus.  Dal 1983 al 1985 gioca nella Triestina in serie B, prima di chiudere la sua brillante carriera ritornando dove aveva lasciato un pezzo di cuore, nel suo Varese, giocando in serie C dopo l’addio dei biancorossi ai cadetti dell’85. Resta poi nel mondo del calcio, allenando la Gradese, i ragazzi a Muggia, quindi il settore giovanile della Triestina.

Rosolo Vailati, è arrivato a Varese giovanissimo: come si è trovato?

“Molto bene. Varese aveva un fiorente settore giovanile, era una scuola di vita e di calcio. Mi servì tantissimo la mia esperienza fatta nella Milanese, alla Pro Patria e nel Messina: ero in prestito, ma volevo far bene per ritornare in biancorosso. A Varese ho trovato Eugenio Fascetti, un secondo padre che mi ha fatto crescere nel suo modello di gioco conosciuto da tutti come ‘casino organizzato’. Era un sergente, ci sottoponeva ad allenamenti duri, pretendeva disciplina e massima serietà, ma ci rendeva anche molto responsabili di noi stessi”.

Nella sua carriera, qual è il compagno di squadra più forte che ha trovato?

“Sicuramente il mio amico Giampaolo Montesano, detto ‘cinese’. A Palermo era adorato da tutti per le sue prodezze, faceva alzare in piedi i tifosi de ‘La Favorita’. Era un funambolo, un dribblatore dal talento naturale, ma era anche un mattacchione che sapeva fare gruppo. Ora lo seguo su Facebook: insegna calcio in Arabia Saudita e in Italia nella sua scuola calcio a Taino. È una persona che sa trasmettere tanto ai ragazzi”.

Parliamo dei settori giovanili, visto che lei ha parecchia esperienza in merito: qual è la situazione nel nostro Paese?

“In Italia, e questo lo dico da tanto tempo, bisogna investire nei vivai, scovare quei giovanissimi talenti che ci sono e non devono andare perduti. Non bisogna far giocare solo chi può pagare le scuole calcio, ma tutti. Perché nei ragazzi che magari non hanno condizioni economiche floride, e che la famiglia non può mantenere in un vivaio, ci cono quella voglia di riscatto e la volontà di arrivare che avevamo noi. C’è quella spinta in più che ti porta a fare sacrifici e a metterci volontà e impegno. Le società devono avere più coraggio, facendo giocare i giovani e dando loro fiducia: se sbagliano qualche partita, bisogna insistere non lasciali fuori. Certo i troppi stranieri in non aiutano i nostri ragazzi ad emergere. Se vogliamo uscire da questo modo di fare calcio, la Federazione deve dare più soldi ai club per i vivai”.

Contatti attuali con Varese?

“Venivo spesso a trovare i miei amici varesini fino a qualche anno fa, quando erano ancora in vita i miei genitori. Ora è tanto che manco. Abito a Muggia, in Friuli-Venezia Giulia, e non ho più occasione di venire nella Città Giardino ma mi sento spesso con Ernestino Ramella e con Vito de Lorentiis, oltre a seguire tramite Facebok tutte le rimpatriate dei miei amici cuori biancorossi, dove il mio amico Monte non manca mai”.

Nella “rosa” della Triestina 1984-’85

Tra i suoi tanti compagni biancorossi, ricorda in particolare qualcuno?

“Tutti hanno lasciato un pezzetto di loro nel mio cuore, che mi emoziona ancora oggi. Tra i tanti penso a Paolo Doto, che lassù starà insegnando la tecnica giusta per colpire la palla. Era un amico vero e ci frequentavamo con le nostre famiglie nei momenti liberi. A tal proposito vorrei ricordare una storia bella e romantica, per far capire chi era Paolo Doto. Per Natale la società ci regalò un bellissimo portasoldi che ancora oggi custodisco gelosamente: lui mi confidò il suo innamoramento verso Stella, che poi sarebbe diventata sua moglie. Una sera Stella vide il mio portasoldi e rimase sbalordita, chiedendo se poteva averlo in regalo: Paolo uscì di corsa in una serata di pioggia torrenziale, lo recuperò e glielo regalò. Per pura magia e tanto sentimento, nacque un grande e straordinario amore”.

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