Torino-Brescia, 7 Febbraio 1993. Sul finire del primo tempo, il difensore del Toro Pasquale Bruno entra duro, durissimo su Florin Raducioiu, guizzante punta delle Rondinelle. Il centravanti romeno viene portato fuori dagli spogliatoi a braccia, con un taglio profondo sino all’osso, dalla tibia al tallone. Una ferita poi suturata con 9 punti.
«Bruno ha mantenuto la promessa – racconta Raduciou nel dopo partita – prima di scendere in campo aveva promesso di rompermi una gamba. Bravo, c’è riuscito. Ci aveva già provato in precedenza. Comunque, ci incontreremo di nuovo».
Appreso delle dichiarazioni del romeno, Pasquale Bruno accetta di farsi intervistare davanti alle telecamere della Rai. Serio serio ammette di aver promesso al bresciano la frattura: «E’ vero». Sapiente pausa scenica, segue la precisazione: «Inoltre, avevo la lupara, la pistola magnum». Il difensore regala una larga risata e s’allontana. Ha un ripensamento, torna sui propri passi, dice al cronista tv: «Mi raccomando, è stata una battuta, spiegalo per bene, non vorrei fare la fine di Schillaci che per uno scherzo venne squalificato» (dopo un Bologna-Juve in cui Totò aveva minacciato un avversario «Ti faccio sparare»).
L’immagine, l’immagine: chi ne è sprovvisto va nudo per il mondo. Memore dell’ammonimento dei semiologi, Pasquale Bruno ha provveduto a crearsene addirittura due e ben caratterizzanti: in tempi violenti, quale scelta migliore del cattivo, dell’uomo da odiare? E, in un regno dell’ipocrisia qual è il calcio, perché non abbinarvi la figura del polemico?
Contro il Brescia, il terzino granata detto «‘O animale» è riuscito a combinare la doppia immagine: prima in campo, poi in televisione. Sul terreno di gioco, dopo 45’ ha mandato Raducioiu in barella negli spogliatoi. Nel dopo partita, davanti alle telecamere di Rai 1, e la sera, a Pressing, il Nostro ha ironizzato sulla pesante accusa del romeno («Aveva promesso di rompermi una gamba») dicendo che sì, Raducioiu aveva detto il vero, che sì io avevo pistole, bombe e lupare da usare contro di lui. E alle critiche di Sivori («Un fallo da reclusione»), ha risposto: «Il football non è per le signorine». Inoltre, novello censore dei colleghi, ha invitato gli arbitri di tutt’Europa a non fischiare più rigori sui ruzzoloni di Di Canio, «il più grande dei cascatori».
Cattiva maestra televisione
Così scrisse Curzio Maltese su La Stampa, il 10 febbraio 1993
Pasquale Bruno non è un animale. E’ che lo disegnano così. Anni e anni passati davanti alle telecamere a incarnare il personaggio del Duro, del giustiziere in mutanda che soffia sul tacchetto fumante e ripete «il calcio non è gioco da signorine», non possono non influire sulla psiche di un uomo. Pasquale Bruno l’ha ripetuto anche domenica in tv, dopo aver mandato all’ospedale Raducioiu, che il calcio non è gioco da signorine. Nemmeno da ergastolani, per la verità.
Ma non è questo il punto. E neanche stabilire chi dice la verità tra lui e Raducioiu, in questa piccola Rashomon da spogliatoio. Probabilmente, entrambi. Bruno avrà davvero minacciato, prima, il collega («ti spacco le gambe»), con la truculenza verbale che purtroppo ricorre perfino nelle partite tra scapoli e ammogliati. E poi, magari, in campo gli sarà scappato un intervento un po’ più rude, scorretto, per non dire carognesco. Se il tutto è premeditato, come sostiene Raducioiu, siamo in presenza di un pazzo criminale. E pare francamente esagerato. Altrimenti, la faccenda rimane grave ma, come dire?, nei limiti della triste norma.
Quel che sconvolge – come sottolinea Gianni Mura di Repubblica – è «l’atteggiamento scanzonato, tutto sorrisi e battute, tenuto in tv». Quella ilare rivendicazione: «Massi, l’ho minacciato, e avevo anche la lupara». Voleva essere una battuta. Ma Pasquale Bruno ha sfortunatamente il sense of humour di una carpa. Già esibito in altre occasioni. Dopo l’indegno tentativo di aggressione all’arbitro di un famoso derby, per esempio. E quando ha sfornato la battuta più idiota della recente storia del calcio: «Che mi frega a me se mi danno 4 in pagella, a me importa di avere quattro miliardi in banca».
Una volta Pasquale Bruno non era così. Era un bravo figlio, onesto lavoratore del pallone, arrivato a furia di allenamenti e sacrifici agonistici a vette professionali (Juve, Torino) inimmaginabili per uno dotato di mezzi tecnici decisamente scarsi. Un marcatore deciso, ma corretto. Poi le televisioni gli hanno cucito addosso questo personaggio da pistolero e lui ha finito per crederci. Capita.
La televisione, per uno che fa un altro mestiere, è una strada di non ritorno. Se la conosci, la eviti. Se la conosci, non ti uccide. Pasquale Bruno ha recitato un po’ la parte divertita di «O’ animale» a beneficio dell’audience e degli sponsor. Ma senza perdere il senso della realtà e soprattutto senza spaccare gambe a nessuno. Alla fine si è incasinato come succede a tutti quanti i Jekyll-Hyde prodotti dal tubo catodico. Non distingue più. Forse si è convinto che assalendo gli arbitri e gli avversari e recitando poi torve scemenze ai microfoni aumenteranno gli inviti tv e i voti nel Giudizio Universale .
Per il suo bene, più che la denuncia al sindacato o una squalifica, a Pasquale Bruno si dovrebbe proibire di apparire in video, almeno per qualche mese, finché non dà segnali di riadattamento alla realtà. Che poi, diciamolo, i silenzi stampa sono una manna per giornali e programmi sportivi. Una operazione ecologica nei confronti dello stupidario quotidiano. Avete notato com’è bello «90° Minuto» da quando hanno ridotto il bla bla del dopopartita?