Tra leggenda e mistero, un calciatore uruguaiano del Peñarol arrivò in un piroscafo al porto di Napoli nel 1947. Si chiamava Roberto Luis La Paz, classe 1919, era diretto a Frattamaggiore per giocare in serie C con la locale squadra della Frattese. Non ci è dato sapere come e perché fosse arrivato proprio all’ombra del Vesuvio ed addirittura in una squadra di serie C a campionato già iniziato. La Paz era un mulatto di bella presenza, alto 1,85 m, nato e cresciuto in Uruguay a Canelones, uno dei rari luoghi rioplatensi con una componente afro-americana di una certa consistenza. Giocava come centrocampista avanzato, aveva un fiuto tutto particolare per il dribbling più che per il goal.
A Frattamaggiore – come ricorda Eugenio Lorenzano – si distinse in due partite amichevoli che la Frattese vinse addirittura contro il Milan per 4-1 e contro la Juventus per 1-0. Fu ingaggiato dal Napoli nell’estate del 1947 su suggerimento del collega connazionale Michele Andreolo che già lo conosceva e militava proprio nella compagine partenopea. Così Roberto, da tutti chiamato Luis (che era il suo secondo nome anagrafico) fu il primo calciatore di colore ad esordire in serie A nel settembre 1947. La Paz arrotondava il suo stipendio di calciatore con quello di camionista, sembra che amasse proprio guidare, viaggiare, quasi scappare a conoscere il mondo.
Più di ogni altra cosa il calciatore uruguagio amava le belle donne, la birra ed aveva un’innata propensione al ballo ed alle frequentazioni per le balere. La Paz conduceva una vita sregolata a Napoli, spesso si avventurava nella Napoli del dopoguerra e veniva visto con belle donne nei locali della città. Veniva “coperto” dai tifosi napoletani per le sue marachelle ed i suoi eccessi nei locali in auge.
La dirigenza del Napoli addirittura ordinò al portiere dello stabile di rinchiuderlo nella camera che lo ospitava, al fine di ottenerne un rendimento più consono ad un calciatore di serie A. Ma… si dice che Roberto fosse esperto anche nelle fughe avvolgendo le lenzuola per scappare in città a ballare, bere birre e corteggiare le signorine napoletane.
Nei suoi due campionati giocati con la casacca partenopea in 33 presenze marcò sei goal, ma riusciva ad incantare il pubblico con i suoi dribbling, spesso leziosi ed inutili nello stadio “Collana” al Vomero. Divenne popolare il detto a Napoli “Se stà scartanno tutto o’ Vomero!”. Mitica fu la sua prestazione contro il Modena dove il Napoli vinse 5-1 con un suo goal ottenuto dopo ben undici dribbling, portiere incluso(!). Purtroppo non ci sono filmati a riguardo, ma almeno così dicevano i vecchi tifosi.
Le fughe avventurose d’amore furono tantissime e variegate, tanto che La Paz nel 1949 sparì da Napoli per riapparire dopo qualche mese a Marsiglia tra le file dell’Olympique; si disse che fosse scappato in Francia conquistato da una ballerina francese. Il genio e la sregolatezza dell’uruguagio caratterizzarono anche la sua permanenza a Marsiglia dove ottenne solo 8 presenze e due goal nel campionato 1949-‘50. L’Olympique lo cedette in prestito, per punizione, nei due campionati successivi al Montpellier (13 presenze e 9 goal) ed al Monaco (13 presenze e 3 goal) per poi tornare a Marsiglia nel 1952-‘53 dove non fu mai utilizzato in quel campionato.
Non si hanno più notizie certe di La Paz dopo il 1953. Si sa solo che per poco tempo lavorò come camionista e scaricatore al porto di Marsiglia. Tante voci, tanti pettegolezzi probabili ulteriori fughe, ma nessuna certezza. Il mulatto uruguagio, come Mandrake sparì nel nulla chissà come e chissà dove. Qualche voce di corridoio disse che si fosse preso una cotta per una brasiliana e forse si trasferì in Brasile; ma fu ed è solo una voce, un pettegolezzo verosimile ma non comprovato.
Ancora oggi negli almanacchi del calcio è rimarcata la sua data di nascita ma rimane un punto interrogativo la sua data di morte. Potrebbe essere ancora vivo, magari e lo speriamo, ed avrebbe ben 103 anni. La Paz diede l’onore al Napoli di essere la prima squadra di serie A ad ingaggiare un giocatore di colore ed alla Frattese di essere il primo club in Italia ad avere tra le sue file un mulatto.
L’uruguaiano sfatò definitivamente i canoni rigidamente nazionalisti del calcio italiano, purtroppo ancora intriso dalle leggi razziali che furono adottate dal regime fascista nel 1938. Per il Napoli fu una vera rivincita dopo che negli anni ’20 e ’30 la società fondata da un ebreo (Giorgio Ascarelli), allenata da un britannico (William Corbutt) ed esaltata dall’italo-paraguaiano Attila Sallustro e dagli istriani croatofoni Vojak e Mihalich fu velatamente osteggiata dalla federazione e dalle autorità di regime. Oggi La Paz è ricordato a Parma dove una squadra dilettantistica multietnica “La Paz Antiracist Football Club”, non a caso, ha scelto il suo cognome come simbolo di antirazzismo. Eppure rimangono pochissime foto del calciatore uruguaiano. Una vera leggenda metropolitana quella della vita di La Paz, un mistero irrisolto quello della sua fine. Qualche pettegolezzo lo vedrebbe oggigiorno scartare gli avversari, le belle donne, le bottiglie di birra ed i sogni nei campi e nelle balere delle nuvole.