Tutto quello che accade, dalle più grandi alle più piccole cose, accade necessariamente.
(Arthur Schopenhauer)
Attenzione che non si parla di Allegri allenatore né, questa, è l’occasione per criticare le scelte tecniche e tattiche di quando era mister bianconero. Anche se la Juve l’ha affondata per davvero. E accadde poco meno di ventisei anni: Max Allegri e compagni la condannarono, a Pescara, a una clamorosa sconfitta, per 5-1.
I bianconeri del Trap, quel 30 maggio del 1993, arrivarono all’Adriatico sazi e convinti che ci vorrà poco a regolare la pratica pescarese. Gli abruzzesi sono ultimissimi in classifica, la gente allo stadio è scontenta e contesta la retrocessione. Il Pescara è disperato e la Juve ha appena vinto la Coppa Uefa battendo in finale il Borussia Dortmund. Per di più, la gara si mette subito sui binari previsti e Ravanelli, dopo appena due minuti, porta in vantaggio gli ospiti.
È in quel momento che i padroni di casa hanno un moto d’orgoglio. Si può perdere, sì. Si può retrocedere, vero. Ma bisogna sempre combattere. Così il Pescara si riversa in attacco e su un fallo di mano in area di Kohler, scatta il rigore per i biancazzurri. La responsabilità se la piglia Allegri che spezza le mani a Tyson Peruzzi con una botta secca. Gol, pareggio e non esulta. È nervoso.
Il secondo tempo si apre così come s’era concluso il primo. Pescara in avanti e Juve in debito d’ossigeno e motivazioni. Fino al 49esimo, quando Allegri pennella un corner che la classe cristallina del compianto Stefano Borgonovo trasforma in una splendida rovesciata che si insacca. Finisce qui? Manco per sogno. Passano dieci minuti e dai trenta metri è ancora il trequartista livornese che lascia partire un bolide che impatta su Massimo Carrera, si impenna e sfonda, letteralmente, la rete. Il pallone entra in porta ma esce dal sacco, l’arbitro, attento, convalida il tre a uno.
Ci sarà ancora spazio. La Juve in avanti per tentare quantomeno di limitare i danni finisce per subire d’infilata altre due reti che porteranno le firme di Martorella e di Ottavio Palladini.
Giovanni Vasso