Mario Facco. Un tributo all’atleta scomparso il 31 agosto 2018. Siamo andati a riscoprire una sua intervista rilasciata nel 2013. Ha giocato nell’Inter di Herrera, nella Lazio, con i biancocelesti ha collezionato centoventisei presenze, condite da sei reti. Ma ha soprattutto vestito la maglia biancoverde dell’Avellino dal 1974-‘75 al 1976-’77, tre stagioni con centoquattro presenze e due reti. Tre allenatori del calibro di Oronzo Pugliese, Tony Giammarinaro e Corrado Viciani. Alto 1.84 per 81 chilogrammi, fu un roccioso difensore che occupava la fascia destra. Ha realizzato gol sia di piede che di testa ma non gli chiedete altro, non se lo ricorda.
“Sinceramente ho una memoria abbastanza corta, so di aver segnato ma non ricordo quando e a chi. Essendo un difensore non è questo quello che conta ma altro”.
Ricorda la sua esperienza ad Avellino?
“Ma scherza? Come potrei mai dimenticarla. Tre anni bellissimi. Una tifoseria come poche in Italia. Fui anche premiato quando arrivai a cento presenze”.
Di questo parleremo in seguito, iniziamo con una curiosità. Lei ha giocato con Schicchi ma è arrivato l’anno dopo la partenza di un altro grande difensore e ci riferiamo a Fraccapani. “Ah, Piero. Siamo cresciuti assieme a Milano. Abbiamo iniziato all’oratorio, poi io sono finito all’Inter e lui al Milan. Quello era un altro calcio”.
Ricorda la difesa in quegli anni?
“Pinotti in porta, Schicchi a destra, io giocavo stopper, libero Onofri e Ripari a sinistra. Poi, l’anno dopo venne anche Reali”.
Ricordi laziali
Ci racconta della sua esperienza in una squadra del sud, l’unica nella sua carriera, c’è differenza?
“Certamente sì. Con questo non voglio dire che è negativa. Io che arrivavo dalla Lazio, dopo otto anni di serie A e andare in B ad Avellino, adesso la città rispetto ai miei tempi mi sembra New York per come è cresciuta, il calore del pubblico era particolare. Io, per esempio, non ho avvertito la mancanza di affetto delle grandi città. A Roma sentivi la pressione ad Avellino, principalmente, il calore della gente che è tutt’altra cosa. Calore in positivo quanto in negativo, se vincevi potevi andare tranquillo per strada ma se perdevi dovevi scendere al buio, non so se rendo l’idea”.
Sulle figurine “Panini” ai tempi della Lazio
Tre grandi allenatori, com’erano?
“Oronzo Pugliese è stato un mito, un allenatore pirotecnico. Viciani era più un teorico, Giammarinaro un vero fantasista. Tre ottime persone poi in quegli anni l’allenatore guadagnava davvero poco e con l’avvento di Herrera che anche i mister ebbero le copertine dei giornali, si parlava di vittorie ma i nomi degli allenatori nessuno li ricordava. Prima si parlava dell’inter di Sarti, Suarez, Burnich, Facchetti, Corso o di Mazzola, oggi è diverso è grazie al mago che guadagnano più dei giocatori”.
La solita domanda che facciamo a tutti. Ci racconta della legge del Partenio?
“Allora era molto diverso rispetto ad oggi. Lo stadio era più piccolo, venire ad Avellino non era facile e noi dovevamo salvarci in quegli anni: i punti li facevamo in casa. Spesso ci salvavamo alle ultime giornate ed i tifosi ci venivano a prendere al ritiro, ci facevano sentire il loro calore. Come le dicevo prima, uno che ha giocato ad Avellino non dimenticherà mai l’affetto ed il calore dei tifosi”.
È vera la storia della bistecca da mangiare prima delle gare importanti?
“Eh sì. I macellai ti davano la bistecca quando andavi bene, ma ti davano qualcos’altro quando non andavi bene”.
Parliamo di Sibilia, che presidente er
“Eccezionale. Le posso dire che io ho avuto con lui dei contrasti appena arrivato, in quanto pensava che fossi venuto in Irpinia per svernare, poi si affezionò a me tanto che quando uscii dal corso di Coverciano il primo lavoro l’ho avuto da lui. Venni per allenare la Primavera. Mi ricordo che Sibilia era uno che se ne intendeva di calcio, non era uno che cacciava solo i soldi ma era sempre presente. Di lui ho un grandissimo ricordo”.
Un parallelo tra i tifosi di allora e di oggi?
“Non posso farlo, io ho solo visto che la città è cresciuta rispetto ai miei tempi in quanto lo stadio era in periferia adesso, invece, è in pieno centro urbano ma non conosco i tifosi di oggi, ai miei tempi li conoscevo e bene. Però posso dire, visto che spesso sono venuto in Lega Pro, per commentare le gare dei Lupi, che il tifo è sempre caloroso come allora”.
Immagine di copertina: la Lazio 1971-’72. Vicino a Bob Lovati, Facco il primo in piedi da sinistra (foto LazioWiki)