Centrocampista, fisicamente forte e resistente. Con queste parole, alla voce “caratteristiche tecniche”, Wikipedia descrive Guido Gratton. Nome e cognome che agli appassionati di calcio oggi dicono poco, in altri casi proprio nulla. Eppure mai come in questo caso gli aggettivi utilizzati dalla più famosa e cliccata enciclopedia online sono perfetti, calzanti nel delineare non soltanto lo stile di gioco, i pregi e i difetti di un calciatore, ma l’indole stessa di un uomo.
Sì, perchè Gratton, come pochi altri calciatori hanno fatto nella storia, ha dimostrato di essere un lottatore vero non solamente in campo, – come sottolinea “Libero Pallone” – ha dimostrato una grinta leonina anche e soprattutto fuori dal rettangolo di gioco. Lo ha fatto suo malgrado: già, perchè probabilmente proprio quella voglia di lottare, di ruggire di fronte alle avversità, gli è costata la vita in una sera di novembre del 1996. Nato a Monfalcone, provincia di Gorizia, il 23 settembre 1932, Gratton, in un’Italia che provava a rialzarsi dopo gli stenti del secondo conflitto mondiale, cercò la sua strada inseguendo un pallone. È il Parma a dargli la prima chance tra i grandi, in Serie C, nella stagione 1949-‘50. Poi il giovane Guido si riavvicina alla terra natìa, firmando per il Vicenza: due stagioni in Veneto in Serie B, dal 1950 al 1951, poi la grande occasione, il treno da prendere ad ogni costo, quello che passa una volta nella vita, una volta nella carriera di un calciatore: è la chiamata del Como, il che significa Serie A.
Nel 1952 per Guido Gratton si aprono le porte del massimo campionato italiano: 30 presenze, 3 reti, il friulano si segnala come una delle migliori promesse del torneo. A soli 20 anni, Gratton mostra un repertorio da centrocampista completo: grande prestanza fisica, grande corsa, buone qualità tecniche, abilità in entrambe le fasi di gioco. Per salvare il Como dalla retrocessione non basta, ma le doti messe in evidenza da Gratton sono più che sufficienti per garantirgli un futuro tra i grandi. Nell’estate del 1953, così, Guido fa ancora le valigie, si va a Firenze, a vestirsi di viola, a giocare al fianco di campioni come Gunnar Gren, un terzo della mitica Gre-No-Li rossonera. A volere fortemente Gratton sulle rive dell’Arno è Fulvio Bernardini, il mitico “Fuffo”, un pezzo di storia del calcio italiano, che nel 1953 è l’allenatore della Fiorentina. Per Gratton inizia un periodo da sogno: nella prima stagione in viola conferma quanto di buono fatto intravedere l’anno prima, in riva al Lario, mettendo a segno ben dieci gol, score stratosferico per un centrocampista, e contribuendo al terzo posto finale dei gigliati. Il 13 novembre 1953 arriva anche l’esordio in nazionale, contro l’Egitto, in una gara valida per la qualificazione ai mondiali del 1954 (mondiali per cui Gratton verrà convocato, ma senza scendere mai in campo). Gratton è ormai una certezza del nostro calcio, e dopo l’interlocutoria stagione 1954-‘55, in cui la Fiorentina chiude quinta, per i viola e per il centrocampista friulano arriva la soddisfazione del primo scudetto.
È la Fiorentina dei miracoli, quella che vince il titolo con cinque giornate d’anticipo, quella che chiude con 12 punti di margine sul Milan secondo, un’enormità nell’era dei due punti a vittoria, quella di Julinho, di Montuori, quella che perde una sola gara, l’ultima contro il Genoa, a scudetto ormai ampiamente acquisito. È la Fiorentina di Gratton, che scende in campo in tutte le 34 gare giocate dai viola mettendo a segno 3 reti, segnalandosi come una delle colonne della compagine campione d’Italia. Dopo altre quattro stagioni in Toscana, al termine delle quali totalizzerà 193 presenze e 28 reti in campionato (ma da ricordare c’è anche la cavalcata nella Coppa dei Campioni ’56-’57, conclusa con la sconfitta in finale contro lo stellare Real Madrid) diventando una vera e propria bandiera viola, Gratton saluta Firenze nel 1960 trasferendosi a Napoli. Gli anni migliori, però, sono alle spalle: in azzurro il friulano parte bene, poi una serie di infortuni ne pregiudica il rendimento. Nel ’61 Guido passa all’Inter, senza lasciare traccia, a novembre dello stesso anno l’ultima tappa della carriera da professionista, alla Lazio, con la quale chiude con 5 presenze e una rete in Serie B. Nell’estate del ’62 Gratton fa rientro in Toscana: ultimi calci con i dilettanti dell’Impruneta, centro dell’area metropolitana di Firenze, poi il ritiro.
Dopo una carriera decisamente prolifica di soddisfazioni, Gratton si trova a fare i conti con una vita senza calcio. È dura, per chi ha sempre vissuto inseguendo un pallone, è dura per chi è arrivato a toccare la vetta dell’Olimpo, per chi ha vestito l’azzurro dell’Italia per undici volte partecipando anche ad una spedizione mondiale, per chi ha avuto ai propri piedi una città come Firenze, abituarsi ed adattarsi ad una vita “normale”. Gratton prova a restare aggrappato al mondo del pallone facendo l’allenatore, ma le sue esperienze alla guida di Salernitana, Foligno e Paganese sono decisamente dimenticabili. Per il friulano iniziano anni duri: Gratton resta solo, la moglie Anna Maria lo lascia, la figlia Paola cerca fortuna in Germania. E poi scelte sbagliate, investimenti finiti male, anche i soldi diventano un problema. Sono lontani i giorni felici, i giorni di gloria in cui Gratton era conosciuto come “Guido il Toro”, il guerriero del centrocampo viola, cuore pulsante di una Fiorentina stellare.
Guido finisce per vivere in solitudine, in una roulotte, dimenticato da un mondo crudele che lo aveva elevato a idolo, prima di sputarlo nel dimenticatoio. Poi, in suo soccorso, arriva ancora una volta lo sport. Non il calcio, lo sport a cui aveva dedicato una vita, ma il tennis. Nel 1988 Gratton apre un circolo a Bagno a Ripoli, pochi chilometri a est di Firenze, sulle rive dell’Arno. È qui, nella sua Club House, che Guido ritrova il sorriso, che “torna a vivere”, come lui stesso confessa agli amici. Allenatore federale dal 1975, Guido insegna tennis ai bambini, riprende il filo di una vita che sembrava essergli sfuggita di mano: i giorni di gloria tinti di viola restano lontani, ma ora Guido può guardarsi indietro con un sorriso, senza il sapore amaro del rimpianto e della nostalgia.
È qui, nel prefabbricato dove vive all’interno del circolo, che Guido si trova la sera del 16 novembre del 1996. Guido sta preparando la cena che consumerà come ogni sera da solo, nella quiete della sua Club House, quando viene allertato da alcuni strani rumori. Un’altra persona chiamerebbe le forze dell’ordine barricandosi tra le mura di casa. Non Guido. Guido è un lottatore, lo è stato in campo, lo è anche fuori: ha lottato contro le avversità della vita, rialzandosi quando sembrava ormai piegato da un triste destino, non ha paura di qualche rumore sospetto a pochi metri da lui. Prende una torcia, esce, vuole controllare di persona. Là fuori lo attendono almeno due persone, che lo sorprendono rompendogli letteralmente in testa una sedia. Ma, come riveleranno poi le indagini, Guido non molla, tenta di reagire, tenta di difendersi, venendo colpito un’altra volta.
Quella grinta che lo contraddistingueva in campo, ai bei tempi, è ancora viva e vegeta in lui. Questa volta, però, gli è fatale. I malviventi, probabilmente sorpresi e infastiditi dalla determinazione di quel sessantaquattrenne che non vuol saperne di arrendersi senza mollare, decidono di infierire. Lo seguono in casa, lo colpiscono alla testa con il manico di una racchetta da tennis, con calci e pugni, poi con la base di marmo di una coppa. Sono convinti di averlo finito, se ne vanno sicuri di aver lasciato senza vita quel “vecchietto terribile”. Ma Gratton, nei suoi giorni da calciatore, era soprannominato “Guido il Toro”, e di certo non è un caso. Incredibilmente, dopo un pestaggio di inaudita violenza, il friulano è ancora vivo. Con la forza della disperazione, quella di chi è riuscito a ricostruirsi una vita mattoncino dopo mattoncino e non vuol saperne di mollare, Gratton si trascina fino al bar del circolo, dove c’è un telefono fisso. Vuole chiamare i soccorsi, ma stavolta le energie vengono meno. Guido rimane lì, privo di conoscenza, in una pozza di sangue, sul pavimento del bar del suo circolo. Il giorno dopo è domenica, nessuno si allarma quando vede il circolo rimanere chiuso, in fondo la domenica non ci sono corsi di tennis in programma. Quando anche il lunedì le porte del circolo rimangono chiuse, però, gli amici si allarmano e decidono di entrare scavalcando la recinzione. La scena che si para loro davanti è spettrale, da film dell’orrore. Guido è steso al suolo, inerme, il sangue ha sporcato ogni cosa intorno a lui. Eppure respira. Non si sa come, ma grazie a forze pescate chissà dove Guido non è morto. Vuole lottare ancora, non è ancora il momento di mollare la presa lasciandosi sfuggire definitivamente di mano quella vita ricomposta con tanta fatica. Guido viene trasferito in ospedale, dove viene operato al cervello: c’è da ridurre un’ematoma vastissimo, i colpi inferti dai malviventi sono stati violentissimi e il ritardo nei soccorsi non fa che aggravare la situazione. Un individuo normale si sarebbe già arreso, ma Guido lotta ancora, resiste addirittura a tre arresti cardiaci. Ma dopo dieci giorni di strenua lotta per la vita, la mattina del 26 novembre 1996, alle ore 9,45, Guido molla la presa: i medici dichiarano la morte dell’ex centrocampista friulano, fatale il pestaggio subìto la sera del 16 novembre all’interno del suo circolo.
Complicatissime le indagini: i malviventi hanno avuto due giorni per far perdere le proprie tracce, le piste sono numerose, le certezze pochissime. Inizialmente si pensa ad una rapina finita male, ma i carnefici di Gratton hanno trafugato solo portafogli e cellulare della vittima, lasciando sul posto la televisione, altri oggetti di valore e altro denaro contante. Si fa poi spazio la pista del regolamento di conti: diverse bande criminali sono attive sul territorio fiorentino in quei mesi: che Gratton abbia pestato i piedi alle persone sbagliate? Le indagini, però, non portano alla luce alcuno scheletro nell’armadio dell’ex calciatore viola.
L’inaudita violenza lascia pensare alla premeditazione, ma il fatto che Gratton sia stato colpito solo con oggetti trovati sul posto finisce per fare intuire il contrario. Insomma, tanti indizi, altrettante ipotesi, nessuna certezza: l’omicidio di Guido Gratton rimane insoluto, senza colpevoli, il “Toro” viola resta senza giustizia. Una folla oceanica accorre in Santa Croce, a Firenze, per l’ultimo saluto. Amici, tifosi, ex compagni: sono loro, i ragazzi dello scudetto del ’56, a sostenere la bara di Guido, ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio terreno. Sarti, Cervato, Chiappella, Montuori, Prini, Orzano: compagni di giorni felici.
La felicità, Guido, dopo anni bui, aveva saputo ritrovarla, lottando contro un destino che, dopo anni gloriosi, gli aveva riservato delusioni e sofferenze. Quella felicità che uomini ancora senza volto gli hanno strappato via dalle mani in una sera di novembre del 1996. Quella sera in cui Guido ha lottato, come aveva sempre fatto nella vita, sia in campo che fuori, perdendo però l’ultima delle sue battaglie.