In occasione dei mondiali del 1982 la Fifa allargò a 24 il numero delle squadre finaliste , riservando ben sei posti ad Asia, Africa, Oceania e Centro America . Le nazionali che staccarono il pass per Espana 82 furono Kuwait, Nuova Zelanda, Camerun, Algeria, El Salvador ed Honduras. Quest’ultima compagine in particolare aveva dovuto sudare le proverbiali sette camicie prima di accedere, per la prima volta nella sua storia, alla fase finale dei mondiali, superando ben due gironi di qualificazione. Eliminò dapprima Guatemala, Costarica e Panama e successivamente Messico, Canada ed Haiti.
Il team centroamericano venne inserito nel gruppo G, insieme ad Irlanda del Nord, Jugoslavia ed ai padroni di casa spagnoli. Il commissario tecnico honduregno, tale José de la Paz Herrera, presentando la propria nazionale ai giornalisti disse: “Siamo qui per diventare la squadra simpatia!”. E l’Honduras si dimostrò davvero in grado di “catturare” il gradimento del pubblico. Era una delle poche nazionali a non alloggiare in un albergo di lusso. Il governo honduregno aveva chiesto ed ottenuto una linea telefonica diretta tra il paese e l’hotel in cui i giocatori, tra un rito scaramantico e l’altro (tra cui quello della benedizione delle bevande) preparavano il loro debutto.
Ciò avvenne il 16 giugno 1982, a Valencia, davanti a 50.000 spettatori, proprio contro i padroni di casa spagnoli. Entrando in campo i calciatori centroamericani offrirono garofani al pubblico, poi sfoderarono una prestazione gagliarda tanto che le “furie rosse” riuscirono soltanto nella ripresa a riequilibrare (su rigore) le sorti dell’incontro. Con il medesimo risultato di 1-1 terminò anche la gara successiva, che si disputò cinque giorni dopo a Saragozza, contro l’Irlanda del Nord .
Nelle prime due partite l’Honduras dimostrò di possedere tecnica e qualità, mettendo in vetrina giocatori di sicuro rendimento quali l’attaccante Roberto Figueroa, il centrocampista Gilberto Yearwood (che venne successivamente eletto calciatore honduregno del secolo) e l’estremo difensore Julio Cesar Arzù. Quest’ultimo era un portiere ventiquattrenne, poco dotato fisicamente (alto soltanto 178 centimetri ) ma con doti di agilità e reattività fuori dal comune. Indossava la maglia numero 21. Anche nell’incontro decisivo per la qualificazione al turno successivo che si disputò sempre a Saragozza giovedì 24 giugno, Arzù sfoderò interventi di assoluto rilievo, ma alla squadra centroamericana mancò, oltre ad un po’ di fortuna, anche un pizzico di esperienza e di cinismo. Le numerose occasioni da goal create non furono infatti concretizzate e, a due minuti dal triplice fischio finale, la Jugoslavia passò in vantaggio su un calcio di rigore quantomeno dubbio. All’Honduras sarebbe bastato un pareggio per accedere alla seconda fase a gironi. Al termine dell’incontro Arzù rimase a lungo disteso sul terreno di gioco dello stadio “La Romareda” piangendo a dirotto. La vetrina mondiale gli permise tuttavia di ottenere un ingaggio per la stagione successiva proprio in Spagna, nel Racing Santander.
E quando qualche mese dopo venne organizzata, in favore dell’Unicef, a New York la sfida Europa – Resto del Mondo a difendere la porta della selezione mondiale furono convocati il camerunense Thomas N’Kono e proprio Josè Cesar Arzù. Quest’ultimo successivamente divenne il preparatore dei portieri della nazionale honduregna, prima di tornare a calcare i campi di gioco, nella “Lega dei veterani” nel ruolo di … centravanti! Già, perché quando giocava portiere c’erano partite in cui gli attaccanti non tiravano mai, e lui si annoiava. In attacco invece trovava sempre qualcosa da fare.