Il calciatore imprigionato e torturato
Ott 12, 2023

In occidente di norma i calciatori finiscono nei guai con la polizia per guida pericolosa in stato di ebrezza, rapporti sessuali con prostitute minorenni o risse in costosi locali notturni. Mahmoud Sarsak, al contrario, è stato arrestato solo perché era un calciatore palestinese. L’arresto, portato a termine dai servizi segreti israeliani, risale a luglio del 2009, mentre Mahmoud attraversava il confine tra Gaza e la West Bank. Mahmoud non è stato rilasciato fino a luglio 2012, in seguito a uno sciopero della fame di 96 giorni. Israele l’ha accusato di essere membro del Movimento per il Jihad Islamico in Palestina, nonché di avere partecipato a un attacco dinamitardo in cui era rimasto coinvolto un soldato israeliano. Ma non avendo prove a loro disposizione, in tre anni di tortura e galera, non sono riusciti ad estorcere una confessione. Molti palestinesi sospettano che Mahmoud sia stato arrestato solo perché gli israeliani temevano che il ragazzo- il più giovane giocatore nella Lega palestinese, entratovi a soli 14 anni – potesse arrivare un giorno a segnare gol per una squadra famosa, levandosi la maglietta e mostrando un messaggio pro-palestinese invece di semplici battute o sponsor.

La controversia è riemersa a giugno, quando gli Europei under 21 si sono tenuti in Israele sollevando il disappunto degli attivisti pro-Palestina. Per il torneo si è anche usato lo stadio del Beitar Gerusalemme, una squadra con una tifoseria apertamente razzista che non accetta giocatori musulmani.

Mahmud Sarsak in azione

Mahmoud dopo la sua liberazione si era recato in Inghilterra, l’aveva incontrato Simon Childs per conoscere la storia della sua permanenza nelle carceri israeliane.

Cosa facevi prima dell’arresto?

“Sono cresciuto in un campo profughi nella striscia di Gaza. C’era una squadra di calcio, e mi allenavo molto. Ho cominciato da lì e sono entrato nella nazionale giovanile palestinese, poi nella nazionale maggiore e nella squadra olimpica. Ero centravanti e ala destra”.

Chi erano i tuoi idoli?

“Del Piero, Zidane e Mohamed Aboutrika, uno dei più famosi calciatori egiziani”.

Che ruolo ha il calcio nella vita di tutti i giorni a Gaza?

“Il calcio è una parte importante della cultura palestinese, in particolare nel caso dei profughi. Vivere in un campo profughi non significa non poter praticare sport”.

Il giorno della scarcerazione

Come funziona la Lega?

“Non mi viene in mente un altro paese con due leghe separate. Ne abbiamo una per la striscia di Gaza e una per i territori occupati, a causa della lontananza geografica. Quella dei territori occupati è più organizzata e più regolare, visto che c’è più stabilità. A Gaza siamo fortunati se organizziamo un campionato ogni quattro anni. Continuiamo ad essere interrotti da attacchi, incursioni, raid aerei e quant’altro”.

Ci sono state situazioni in cui non hai potuto giocare per via di attacchi?

“Nel 2009 e nel 2012 Israele ha distrutto gli stadi. Immagino sia accaduto anche per impedire alla Palestina di mostrare un volto più positivo e di integrarsi con la comunità internazionale”.

Il calcio è uno sport con un grande seguito in Palestina?

“Le risorse sono scarse e ovviamente può essere pericoloso ritrovarsi tutti nello stesso punto, specialmente a Gaza. In ogni caso, i palestinesi sono tifosi devoti-vanno allo stadio, il resto non importa. C’è un grande club a Rafah, nel campo profughi di al-Shati, e uno a Shejaya. Ma si tifa molto anche per la Liga spagnola, tanto per il Barcellona quanto per il Real”.

Quindi pensi che Israele ti abbia preso di mira proprio perché eri un calciatore?

“È stata una vicenda piuttosto singolare, sai? Avevo un contratto per andare a giocare da professionista con la nazionale della West Bank. Ho chiesto a Israele i documenti per viaggiare e mi sono stati garantiti. Ero all’ultimo checkpoint, Erez, nel nord della Striscia di Gaza. Mi hanno convocato per un incontro di intelligence. Dopo l’incontro, hanno deciso di trasferirmi alla prigione di Ashkelon per ulteriori indagini”.

Cosa è successo una volta lì?

“Sono stato trattenuto per 45 giorni senza accuse, umiliato e torturato. Non hanno potuto estorcermi nulla. Alla fine è uscito fuori che ero dentro in quanto combattente illegale”.

Che cosa significa?

“La cosa strana è che di solito l’accusa di essere un combattente illegale si applica solo ai non palestinesi. Ad esempio, libanesi che vengono sorpresi in Israele o vicino alla frontiera”.

Come è possibile?

“È strano. Credo non riuscissero ad inventarsi altro”.

A favore della scarcerazione di di Sarsak

Quindi quale pensi sia la ragione?

“Non so. In prigione ero scioccato dal vedere così tante persone con un dottorato e calciatori professionisti. Credo sia una strategia israeliana, impedire ai talenti arabi di brillare e mostrare un volto civile al mondo”.

Credo che un Pirlo palestinese sarebbe d’aiuto per la causa. Mi spiace farti rivivere quei momenti, mi diresti che tipo di torture hai subito?

“Le tecniche variano di persona in persona. Nel mio caso, mi interrogavano per giorni senza lasciarmi dormire. Una sessione è andata avanti per 14 ore, senza pause, poi mi hanno legato a una sedia per un paio d’ore, in una stanza con musica ad alto volume, in modo che non potessi addormentarmi. Poi hanno cominciato di nuovo”.

Cavolo.

“Qualche volta, quando mi mettevano sulla sedia, hanno anche abbassato la temperatura così che scendesse sotto i 12-15 gradi. Quando sono quasi svenuto, mi hanno portato in ospedale per farmi riprendere per poi interrogarmi di nuovo”.

Che tipo di domande ti facevano?

“Volevano che ammettessi qualcosa che non avevo fatto, per giustificare l’intera cosa a livello nazionale e internazionale”.

Eric Cantona si schiera per la causa palestinese

Ho sentito che l’accusa ti è stata fatta più volte, da quando sei stato rilasciato.

Mahmoud si mostra visibilmente frustrato. “Ero in galera senza alcuna accusa. Sono uscito e non c’era alcuna pena da scontare, nessuna accusa, nulla. Le lobby sioniste cercano sempre di ritrarre Israele come un paese civilizzato che rispetta i diritti umani, un paese che ama la pace e così via. Israele ha anche chiesto ad alcuni paesi europei di non lasciarmi entrare, vista la mia identità di ‘terrorista’. Provano a screditare e mettere a tacere ogni palestinese che emerge nei media occidentali”.

Come si sono sviluppate le cose nei tre anni della tua detenzione?

“I primi 45 giorni sono stati i più duri, era tortura fisica, psicologica e verbale. Poi mi hanno trasferito in una cella con altri prigionieri per otto mesi. Dopodiché, mi hanno trasferito di nuovo per 12 giorni di tortura e interrogatorio. È accaduto tre o quattro volte durante la mia prigionia”.

Quando hai cominciato a pensare di poter fare qualcosa?

“C’era un uomo, Zakariya Issa. Era nella sua cella. Aveva il cancro e non è stato aiutato. È morto lì. Quello è stato il punto di svolta. Ho cominciato a pensare, ‘Devo ingegnarmi da me, perché nessuno ha intenzione di aiutarmi’. Prendi la FIFA, non mi stava aiutando in nessun modo”.

Quindi cosa hai fatto?

“Ho iniziato uno sciopero della fame durato 96 giorni, per mostrare al mondo che in galera ci sono persone di cui ci si è dimenticati”.

Sarsak oggi

Da atleta non deve essere stato un bene per il tuo corpo.

“Ho perso metà del mio peso e i muscoli ne sono usciti danneggiati”.

E dopo quei 96 giorni di sciopero della fame sei stato rilasciato. È strano che sia accaduto così, improvvisamente. Il tuo fermo sembrava essere abbastanza arbitrario.

“Lo sciopero della fame ha fatto immediatamente notizia. La FIFA e la UEFA hanno cominciato a fare pressione. Personalità calcistiche come Eric Cantona, Abou Diaby, Frédéric Kanouté e Lilian Thuram sono stati coinvolti in una campagna internazionale di raccolta firme per il mio rilascio”.

Come ti sei sentito una volta fuori?

“Durante lo sciopero della fame sono arrivato vicino alla morte. Quando sono stato rilasciato mi sentivo rinato. Ero così contento di riavere la mia liberà e di poter rivedere la mia famiglia… Ma ero anche estremamente amareggiato per aver lasciato i miei fratelli a soffrire in galera”.

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