E chi l’avrebbe mai detto? Soltanto dodici mesi prima, nell’estate del 1997, si concludeva per Roby la seconda e sfortunata annata in rossonero che lo aveva visto spesso lontano dai campi. Tra i soliti problemi alle ginocchia e le altrettante consuete divergenze con i vari allenatori, non era di certo riuscito ad incidere come avrebbe voluto-potuto: il Diavolo terminò il proprio cammino nella parte destra della classifica. A trent’anni e con l’elenco delle operazioni fatte sempre in continuo aggiornamento, erano in pochi a scommettere che sarebbe ritornato a grandi livelli e – pura utopia – a disputare persino un’altra massima competizione iridata con la maglia azzurra. Un calciatore normodotato avrebbe già iniziato a visitare la ferramenta più vicina per reperire il famigerato chiodo su cui appendere gli strumenti del mestiere; già, uno qualsiasi, ma nello spirito di Roberto da Caldogno non è contemplato l’ordinario.
Quindi firma con il Bologna (dopo il rifiuto parmense di Ancelotti che preferì non violentare il proprio 4-4-2) ed arrivano ben ventidue centri stagionali – record personale – in appena trenta gare. Mister Cesare Maldini non attende molto per tirar su la cornetta e fare il numero del Divin Codino: Baggio va al Mondiale! Tra i fantasmi in parte allontanati (vedi il rigore messo a segno contro il Cile) e le amarezze scaturite da un passaggio del turno mancato “tanto così” (vedi la gara con i “cugini” francesi), per il talento è tempo di tornare a vestire la maglia di un’altra big (non me ne vogliano i felsinei). Il telefono di Baggio squilla nuovamente e dall’altra parte dell’apparecchio filtra un tono di voce molto simpatico: “Pronto, Roby? Ciao, sono Massimo… e l’Inter ti aspetta!”.
I nerazzurri sognano in grande e sperano di neutralizzare i veleni del post Juve-Inter (della stagione precedente) con l’antidoto a fabbricazione nazionale: lo scudetto ’98-’99 da verificare, per l’efficacia, nel corso di trentaquattro giornate. In realtà ne bastarono una decina per assodarne l’inutilità.
Pazienza, con la stagione buttata alle ortiche, ci pensò il ritorno nerazzurro nell’Europa che conta a lenire, in parte, le sofferenze dei tifosi. Dopo otto lunghi anni la Beneamata riabbraccia la Champions League (l’ultima volta conservava ancora la vecchia denominazione di Coppa dei Campioni) e lo fa passando attraverso l’unica porta accessibile per chi, come l’Inter, aveva terminato la Serie A al secondo posto, ossia quella dei preliminari. È il 12 agosto del 1998 quando la compagine guidata da Gigi Simoni scende in campo, sul neutro di Pisa, contro i lettoni dello Skonto Riga. All’Arena Garibaldi non sono soltanto in “mille” ad incitare l’undici milanese, che domina la gara già dalle prime battute ed archivia il discorso qualificazione nel giro di venti minuti.
Con il Meazza indisponibile per il rifacimento del terreno di gioco, la città toscana rappresentò una buona occasione per sollecitare i tifosi nerazzurri, andati al mare, a raggiungere lo stadio. La risposta non tardò ad arrivare: tutto esaurito (circa ventimila spettatori). La parte pisana, inoltre, ebbe modo di riabbracciare i suoi due ex, El Cholo Simeone e – soprattutto – il tecnico Simoni che a Pisa aveva ottenuto due promozioni in A, nel 1985 e nel 1987. L’Inter si presenta con un’ossatura di prim’ordine; Pagliuca è piazzato tra i pali, lo zio Bergomi è chiamato a dirigere la retroguardia mentre l’attacco fa capo ad un tridente di tutto rispetto con Zamorano, Ventola e Roby Baggio. Per la prima volta la divisa sfoggia il nuovo sponsor tecnico Nike (l’arrivo del Fenomeno accelerò, in tal senso, la separazione con il vecchio marchio Umbro). Come sempre la parola viene lasciata al campo che si dimostra alquanto eloquente. Zamorano apre le marcature, Simeone pensa al raddoppio e Ventola cala il tris: tutto questo quando il cronometro segna appena il ventunesimo. Il comune denominatore dei sigilli?
Ovvio, gli assist di Roberto. Nel secondo tempo viene meno il monologo nerazzurro che lascia spazio anche a qualche battuta ospite, ma i pali e Pagliuca dicono di no. Allora sale in cattedra, di nuovo, il talento ex Bologna che appone la firma d’autore sulla quarta rete. Nella notte pisana, l’Inter schianta lo Skonto Riga con un 4 a 0 che non ammette remuntade. Le notti (magiche) europee di Roby non finirono con la gara dell’Arena Garibaldi. In una fredda serata al Meazza riscaldò, infatti, il cuore dei suoi tifosi – e degli amanti del calcio in generale – con una doppietta rifilata al Real Madrid che capovolse il risultato e l’esito del girone di Champions.
Questa, tuttavia, è un’altra, sublime quanto romantica, storia redatta con i piedi… e stavolta il significato è ben distante dall’accezione dispregiativa. Il match in terra pisana vedrà, in aggiunta, l’esordio europeo di un fuoriclasse che, dopo anni di fatiche e sogni infranti, alzerà – da capitano – quelle meravigliose orecchie argentate, ossia Javier Adelmar Zanetti (nel 2010). Quella del ’98-’99, invece, non vide il successo del team nerazzurro che, ad ogni modo, si rese protagonista di una notevole cavalcata arrestata solo ai quarti, contro quel Manchester United (quanto mai killer di club italiani) trionfatore della manifestazione grazie ad una finale a dir poco pazza… già, pazza come l’Inter.
Luca Fazi