La storia di Raffaele Jaffe, il preside che portò lo scudetto a Casale Monferrato e che morì ad Auschwitz
L’industriale tessile Giorgio Ascarelli, personaggio di spicco del rinascimento ebraico napoletano, fu il primo presidente del Napoli Calcio. A Renato Sacerdoti si deve lo storico scudetto della Roma nella stagione 1941-’42, perché fu lui a porre le basi organizzative e soprattutto tecniche della squadra. Raffaele Jaffe è a tutti gli effetti il padre nobile del football a Casale Monferrato. Tre uomini, tre storie, un’unica passione – quella della palla di cuoio -, un unico denominatore comune – l’origine ebraica – e un destino identico, quello della persecuzione e dell’oblìo scaturiti in uno dei momenti più bui e vergognosi della storia italiana.
Quando il fascismo introdusse le leggi razziali nel 1938 Ascarelli era già morto, ma ciò non evitò alla sua famiglia di finire nel mirino del pregiudizio e delle violenza del regime. Sacerdoti e Jaffe si convertirono al cristianesimo; il primo riuscì a salvarsi entrando in clandestinità, il secondo non scampò ad un destino ingiusto e crudele: arrestato finì i suoi giorni ad Auschwitz.
In Piemonte, precisamente nel Monferrato, gli ebrei hanno sempre fatto registrare una presenza significativa. Ai tempi degli Aleramici, dei Paleologi e dei Gonzaga sono numerose le famiglie ebree, nella Casale dei Savoia i giudei arrivano ad essere il cinque per cento della popolazione.
Ai giorni nostri questa preziosa eredità culturale è tenuta in vita da una comunità piccola ma molto attiva. A Casale Monferrato c’è uno dei migliori esempi di sinagoga barocca piemontese con annesso il museo. Nel vicolo dedicato al rabbino Salomone Olper si percepisce in maniera profonda la presenza degli ebrei nella storia casalese, attestata per la prima volta nel 1438 dalla richiesta al Vescovo per la costruzione di un cimitero dedicato. Se si passeggia in via Roma, si può immaginare lo stretto percorso che dai retrobottega dei negozi permetteva di raggiungere il ghetto senza uscire dai suoi confini.
Si dice che anche i prelibati biscotti casalesi, i krumiri, abbiano un’origine ebraica (il nome deriverebbe dalla radice yiddish e tedesca, krumm, ritorto o storto. Inoltre c’è traccia di una variante kasher, senza lievito), furono anche le famiglie ebraiche a contribuire economicamente alla costruzione della statua di Carlo Alberto. Ci sono stati personaggi entrati a pieno titolo nella storia di Casale, come il preside del liceo classico Giuseppe Ottolenghi, l’amministratore comunale Giuseppe Pavia che promosse la costruzione del foro boario, ed anche Felice Pretti e sua moglie Giuseppina Gusmano. Quest’ultima, domestica presso la Comunità ebraica, quando il 29 settembre 1943 giunse la notizia di un massiccio rastrellamento, mise in salvo dalla deportazione, nascondendoli nella propria casa, sedici bambini ebrei, che erano già stati costretti a fuggire dall’orfanotrofio ebraico di Torino. Per la sua azione, nell’ ottobre del 2000 lo Stato d’Israele ha conferito a lei e al marito, l’onorificenza di Giusti tra le Nazioni.
Fu nel contesto di quella Casale ampiamente caratterizzata dalla presenza ebraica, che si affermò la figura di Raffaele Jaffe, nato nella vicina Asti l’11 ottobre 1887. Laureato in Scienze naturali e Chimica, insegnò all’Istituto tecnico Leardi di Casale Monferrato, di cui divenne successivamente preside.
Lo scenografo Max Ramezzana, figlio di Giancarlo, il principale cultore della storia calcistica casalese, attraverso i suoi disegni ha saputo cogliere il lato più umano di Jaffe, quello di essere stato un ostinato sognatore. Che alla fine ha avuto ragione, perché il sogno si è trasformato in splendida realtà.
A Casale, al Valentino, gli spettatori accorrono numerosi ad assistere alle partite del pallone col bracciale, mentre nella vicina Vercelli la gente si entusiasma per il calcio, grazie alle imprese delle Bianche Casacche della Pro.
Un giorno a Jaffe, vedendo alcuni ragazzini che giocavano con un pallone, venne l’idea di fondare anche a Casale una squadra in grado – chi lo sa? – di arrivare un giorno a competere proprio con la Pro Vercelli.
Nel capoluogo monferrino, siamo nel 1905, esiste già una squadra di calcio, la Robur, che però due anni dopo cessa l’attività.
All’oratorio del Valentino c’è poi anche lo Sparta, in cui muove i primi passi un certo Umberto Caligaris, il talentuso difensore che diventerà famoso nel Casale per poi consacrasi nella Juventus del Quinquennio d’oro e laurearsi campione del mondo nel 1934 con gli Azzurri di Vittorio Pozzo.
Nel 1909, in un’aula dell’Istituto Leardi di cui è preside, Jaffe dà vita al Casale Football Club assumendone la presidenza. In lui, divenuto casalese in tutto e per tutto e non solo d’adozione, è sempre forte la contrapposizione con Vercelli, che affonda le radici nella storia, in quel 1215 in cui le milizie del Vescovo eusebiano assediarono Casale e la misero a ferro e fuoco. Se la Pro gioca con la casacca bianca, allora il Casale deve adottare quella nera, e così fu, con l’aggiunta di una stella bianca a cinque punte sul petto.
Barbesino, Gallina, Rosa e Bertinetti… sin da subito nel Casale si formò quello zoccolo di ottimi giocatori destinati a portare in alto i colori nerostellati e a dar vita alla scuola calcistica casalese.
Nella stagione 1911-’12 il Casale partecipa per la prima volta al campionato di Prima Categoria, l’attuale Serie A, che viene vinta dalla Pro Vercelli, che si fregia così del quarto scudetto, mentre il Casale, che perse entrambi gli scontri diretti, si classifica al sesto posto.
Il 14 maggio 1913 Jaffe ottiene il suo primo grande risultato, sconfiggendo i maestri inglesi del Reading, in tournée in Italia. Dopo aver battuto Genoa, Milan e Pro Vercelli (il Corriere della Sera li definì “senza dubbio la più forte delle squadre straniere viste in Italia”) il Reading deve alzare la bandiera bianca al campo del Priocco di Casale, dove viene letteralmente preso d’assalto da giocatori che sembrano diavoli. Diavoli nerostellati. 2-1 il risultato finale, con Varese e Garasso che segnano le due reti casalesi.
Fu in quel momento che Jaffe intuì che il Casale avrebbe potuto lottare per lo scudetto.
Campionato 1913-’14, Girone ligure-piemontese: il Casale e il Genoa riescono a qualificarsi, la Pro Vercelli no. Nel successivo Raggruppamento Nord-Italia lo stesso Genoa, Inter, Juventus, Vicenza e Hellas Verona non riescono a tenere il passo di uno scatenato Casale che, forte di 8 vittorie su 10 partite, raggiunge la finalissima per il titolo italiano, dove deve vedersela con la Lazio.
L’atto conclusivo è su due partite: il 5 luglio 1914, sul rettangolo amico del Priocco il Casale vince per 7 a 1, poi si impone a Roma per 2 a 0.
Il sogno del lungimirante Jaffe, a soli cinque anni dalla fondazione del Casale F.b.c., diventa realtà. Ha avuto pienamente ragione.
Il Casale ha tutte le carte in regola per dare vita ad un ciclo vincente, ma dopo sole due settimane l’Austria dichiara guerra alla Serbia. La Grande Guerra è iniziata e anche il calcio finisce nel tritacarne.
Nel 1919 Jaffe lascia il Casale e nel 1927 si sposa con una donna di religione cattolica e inizia il percorso di conversione che lo porta al battesimo.
La conversione non gli fu sufficiente ad evitare la discriminazione delle leggi razziali fasciste prima e la persecuzione nazifascista della Repubblica di Salò poi. Il 16 febbraio 1944 viene tratto in arresto e condotto al campo di internamento di Fossoli in Emilia, dove rimane rinchiuso per circa cinque mesi. Le leggi fasciste non prevedono la deportazione per gli ebrei convertiti, ma in fondo comandano i tedeschi e Jaffe, alla fine, viene stipato su un treno con destinazione la fabbrica della morte di Auschwitz. Viene ucciso lo stesso giorno del suo arrivo, il 6 agosto 1944.
Casale, a ricordo di quel miracolo sportivo che ha fatto conoscere la capitale del Monferrato in tutto il mondo, ha dedicato a Jaffe i giardini della stazione ferroviaria.
Inoltre, al lungimirante presidente dei Nerostellati, lo scorso anno è stata riservata una pietra d’inciampo, uno dei sampietrini che l’artista tedesco Gunter Demnig ha ideato per preservare la memoria delle vittime della Shoah, collocandoli di fronte all’ultimo luogo dove viveva il deportato. Jaffe era residente in corso Indipendenza, ma si è optato per lo stadio Natal Palli, che dal 1 921 ospita le partite del Casale, sostituendo il Priocco, quel campo romantico che era stato teatro delle imprese di quel glorioso Casale.
Ascarelli, Sacerdoti e Jaffe: Adam Smulevich, giornalista che lavora presso l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, li ricorda nel libro intitolato Presidenti. Le storie scomode dei fondatori delle squadre di calcio di Casale, Napoli e Roma, edito nel 2017 da Giuntina.
Afferma Smulevich: “Dalla Storia di Jaffe sono rimasto colpito dalla sua formidabile intuizione: un professore che un giorno, vedendo alcuni ragazzi che giocano a pallone concepisce la risposta allo strapotere di una squadra vicina come la Pro Vercelli. È affascinante vedere come, anche nel sobrio Piemonte, il calcio incarnasse un campanilismo tipico italiano che però in quell’epoca si trasformava in un elemento gioioso e sportivo”.
La vita di Raffaele Jaffe è anche una storia di calcio all’interno della più vasta e tragica storia dell’Olocausto e nel contempo dà la misura di come lo stesso calcio abbia fornito un utile contributo alla società.
Mario Bocchio
Fonti:
“Il Nobile Calcio”; Convegno “Storie di sport al tempo delle leggi razziali e del nazismo”, Firenze, 22 gennaio 2010; Marco Aimo, “Neri… Neri… Quel grido che mette i brividi dentro”, storia del Casale Calcio, Mariposa Editrice, 2000; “Il Quadrilatero del Pallone”; “Moked/מוקד”, il portale dell’ebraismo italiano; “Comunità ebraica di Casale Monferrato”; “La stella di cartone”, podcast per raccontare il mitico scudetto del Casale, La Repubblica; Marco Aimo, “Firmamento nerostellato”, 1998, Editrice Monferrato; archivi Il Monferrato, La Vita Casalese e Giancarlo Ramezzana; Adam Smulevich, “Presidenti”, 2017, Edizioni Giuntina.
Foto:
archivio Giancarlo Ramezzana; Comunità ebraica di Casale Monferrato; “Il Quadrilatero del Pallone”