Quando venne siglato quel goal, Pippo Inzaghi (un altro nove e massimo esponente della rapacità offensiva), militava nei settori giovanili non ancora maggiorenne e coccolato dalla sua Piacenza che nella stagione successiva l’avrebbe fatto esordire fra i professionisti.
Sia chiaro, nessun avventato confronto fra l’eroe di Atene 2007, destinato appunto a trofei e palcoscenici più importanti vissuti da protagonista, e quel Massimo Agostini da Rimini che negli anni non si era certamente sottratto a gavetta e sacrificio. Perché il Condor, come venne prontamente ribattezzato in quel di Cesena, aveva conosciuto sin da subito l’arte di sopportare le decisioni dei vari mister che spesso gli riservavano un posto in panchina…ma lui sapeva sempre farsi trovare pronto.
Ecco forse il nesso fra i due, proprio quel sacro fuoco che pervadeva gli animi di entrambi quando si trattava di esserci, al momento giusto e nel posto giusto.
Massimo aveva costantemente il fiuto del goal (e la battuta sul suo naso aquilino sarebbe fin troppo banale) e alle non eccelse doti tecniche bilanciava con la voglia di mettersi in mostra senza risparmiarsi neanche una goccia di sudore…per questo, indistintamente dal colore della maglia, veniva apprezzato dai propri tifosi e non solo.
Dopo gli inizi con i bianconeri della Romagna ecco spuntare la Roma che nel 1986 lo preleva con la speranza di ritrovare anche grazie a lui i fasti dei primi anni ottanta. L’impegno, si è capito, prende casa nel cuore di Agostini il quale non fa mai mancare il suo contributo malgrado venga utilizzato a tratti da mister Sormani. Due stagioni sotto il cupolone e fa ritorno alla base, ovvero quel Cesena che nel frattempo viaggia stabilmente in A, dopo la scambio con Rizzitelli. Al Manuzzi il buon Massimo non è più un gregario di lusso ma punto fisso degli undici e miglior riferimento per quanto concerne il reparto davanti: due campionati e due volte in doppia cifra!
Arriviamo dunque a quel 1990 che ci vede padroni di casa di un Mondiale dall’alto contenuto emotivo; mentre Totò (Schillaci) da Palermo infiamma le “notti magiche” il Milan, ancora nuovamente campione d’Europa con il bis realizzato dopo il 1989, lavora sottotraccia (ma non troppo) per ingaggiare il bomber riminese: 6 miliardi ed affare fatto!
Con il tecnico Sacchi viene parlata la stessa lingua ed il vate di Fusignano mette subito in chiaro la situazione: “Massimo, non parti con i galloni da titolare, però le partite sono tante e avrai le tue carte da giocare”. Agostini apprezza la trasparenza e si mette subito a lavoro nella speranza che il mazzo si mischi quanto prima ed esca subito un asso a suo favore…eccoci al 9 settembre 1990! Il Milan ospita alla prima di campionato un Genoa di Bagnoli ben consapevole del gap tecnico fra le compagini ma non per questo scoraggiato dal fare l’impresa. San Siro quel giorno nasconde per i padroni di casa più insidie che possibilità e fra un manto erboso ottimo per la coltivazione delle patate, un caldo asfissiante e una preparazione atletica ancora latitante, prende corpo un match più arduo del previsto. Il Genoa si difende come non mai e il suo numero uno, Braglia, è protagonista di qualche intervento miracoloso…neppure l’espulsione di Ruotolo nella ripresa sembra distruggerli. Van Basten non brilla e Gullit (influenzato) si muove tanto ma conclude poco; proprio il tulipano nero viene sostituito al minuto settanta per far spazio al Condor. Tempo due minuti e parte la cavalcata di Donadoni che asfalta la fascia sinistra prima di appoggiare al centro un pallone per Agostini, rapido a depositare in rete.
I quasi ottantamila di San Siro esplodono in un boato di gioia per quel nuovo acquisto entrato da un niente e già protagonista; e decisivo visto che quella rete sarà l’unica del confronto. Per lui però c’erano davanti sempre quei mostri sacri da scavalcare e per il resto della stagione giocò in campionato solo altre quattordici volte, giusto il tempo di insaccare un secondo pallone importantissimo per la classifica finale. Quella stagione lo vedrà campione del mondo per club senza giocare la finale di Tokyo, punto più alto di una carriera ripartita poi da Parma e giocata ancora fra massima serie, cadetteria e C1.
Al limitato bagaglio tecnico rispose nell’ottobre del ’92 con il gol in rovesciata in un 4 a 4 fra Genoa ed Ancona che i veri nostalgici non potranno mai dimenticare. Agostini è riuscito a rialzarsi sempre, anche quando gli “esperti” di calcio lo davano per finito lui puntualmente sputava l’anima pur di non dargli ragione…eccolo capocannoniere in B nel ’94, eccolo tornare in campo a 42 anni a San Marino e vincere due campionati con il Murata.
La fine? Spazio al beach soccer come giocatore ed infine commissario tecnico…perché la sabbia non è in fondo così diversa dal manto erboso presente a San Siro in quel memorabile pomeriggio del 1990.
Luca Fazi