La storia del calcio nella Libia del Colonnello Gheddafi. Interessantissimo l’articolo scritto nel 2017 da Marco Bagozzi ed intitolato “Calcio e politica nella Libia di Muhammar e Al Saadi Geddafi, tra vittorie e sconfitte”. Mu’ammar Gheddafi scrisse nel 1975 il celeberrimo Libro Verde, vera e propria summa ideologica della sua Rivoluzione, che il 1° settembre del 1969 l’ha portato a ricoprire il ruolo di Guida e Comandante della Rivoluzione della Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare. Nell’ultimo capitolo del Libro (17-Lo sport, l’equitazione e gli spettacoli), la Guida libica, vergò queste parole, certamente non accondiscendenti nel confronto dei tifosi sportivi: “Le migliaia di spettatori che riempiono le gradinate degli stadi per applaudire e ridere sono migliaia stolti incapaci di praticare lo sport di persona: tanto che stanno allineati sui palchi dello stadio apatici e plaudenti a quegli eroi che hanno strappato loro l’iniziativa dominando il campo, e che si sono accaparrati lo sport requisendo tutti i mezzi prestati a loro vantaggio dalle stesse masse” (1). Nonostante questa dura presa di posizione, il calcio, e lo sport in generale, non ha mai perso la cittadinanza libica e il Governo rivoluzionario ha sempre puntato sui successi delle rappresentative nazionali per offrire alla popolazione un motivo di orgoglio e per migliorare nel resto del mondo la sua immagine.
Fin dagli anni pre-rivoluzionari, le formazioni più forti del campionato libico furono le squadre tripoline Al-Ahli e Al-Ittihad, rispettivamente Nazionale e L’Unione, intervallate dalle rivali squadre di Bengasi. Anche sul calcio, infatti, si riversavano le tensioni tra le due principali regioni libiche, la Tripolitania e la Cirenaica, la prima tendenzialmente favorevole a Gheddafi, la seconda da sempre terra fedele al deposto Re Idris al Senussi. Il primo campionato conclusosi sotto l’egida del governo rivoluzionario, quello 1970-’71, è conquistato dall’Al-Ahli di Tripoli, capace di superare di un solo punto l’omonima formazione bengasina. Dopo il 1974 il campionato nazionale viene ristrutturato e il titolo veniva deciso da un girone finale a tre squadre, cioè le vincitrici dei campionati regionali: al sud il Fezzan, a ovest la Tripolitania, ad est la Cirenaica. Nella seconda metà degli anni ottanta il campionato viene nuovamente diviso in due gironi, che causarono non pochi problemi organizzativi. Appena nel 1992 verrà riorganizzato il campionato con un girone unico di 19 squadre, salvo poi ritornare al doppio girone, con finale unica, per far fronte ai problemi economici delle squadre. Nel 2001 verrà ripristinato il girone unico. Le formazioni più titolate sono l’Al Ittihad e l’Al Ahli di Tripoli, rispettivamente con 15 e 10 campionati. La prima formazione bengasina è l’Al Ahli con 4 campionati.
La tredicesima edizione della Coppa delle Nazioni d’Africa fu affidata dalla CAF (Confédération Africaine de Football) alla Libia. La nazionale verde ottenne in questo modo la prima partecipazione alla competizione continentale.Sempre nel 1982 la Libia ospitò anche l’importante vertice dell’Organizzazione dell’Unità Africana e questi due eventi furono incentrati sulla figura di Gheddafi e sul suo pan-africanismo : «un’Africa senza stati e senza divisioni» era il sogno del Colonnello. Durante la cerimonia inaugurale della Coppa, il Colonnello nel suo discorso denunciò la politica francese in Ciad, l’imperialismo statunitense in Africa, l’apartehid in sudafrica e il regime sudanese di Ja’far al-Nimeyri, che ormai aveva abbandonato la politica “socialista”. Passando al campo di gioco,nel girone eliminatorio la squadra di casa incontrò tre avversari di altissimo livello: Ghana (che schiera il diciassettenne Abedi Ayew Pele), Camerun (che di lì a poco parteciperà ai Mondiali spagnoli del 1982) e Tunisia. I libici, che schierano tutti calciatori che militano nel campionato nazionale, sono allenati dall’ungherese Bela Gotl.
L’esordio si gioca nello stadio 11 giugno (data del disarmo americano in Libia, 1970) di Tripoli: contro il Ghana finisce 2-2, dopo l’iniziale vantaggio ghanese, al 28’ con Alhassan, e rimonta libica, con Jaranah (58’) e Al-Issawi (76’), prima della rete del pareggio in extremis, grazie a Opuku Nti, all’89’. Quattro giorni dopo i libici devono assolutamente vincere e impongono un perentorio 2-0 alla Tunisia, grazie all’autorete di Seddik (42’) e alla rete di Al-Bor’osi all’83’.
L’ultima sfida del girone è da “dentro o fuori” contro il Camerun. Il risultato finale a reti bianche premia i padroni di casa che si qualificano alle semifinali, dove trovano lo Zambia, orfana della stella Godfrey Chitalu, realizzatore di 107 nell’anno solare 1972 e record non considerato dalla Fifa, che, per questioni di merchandising ha preferito cancellare questo primato. Contro i Chipolopolo la Libia rimonta lo svantaggio inziale, ad opera di Kaumba (29’), grazie ad una doppietta di Ali Al-Beshari al 38’ e all’84’. La finale si gioca il 19 marzo, sempre allo stadio 11 giugno, di fronte a 50000 spettatori. Di fronte ancora il Ghana. Anche in questo caso sono i Black Stars a passare in vantaggio al 35’ con Alhassan, che finirà capocannoniere della manifestazione con 4 reti. Il pareggio libico è firmato al 70’ da Al-Beshari, difensore con il vizio del gol. Terminati senza reti anche i supplementari, sono i calci di rigore a decidere il campione del Continente nero. Finirà 7-6 per i calciatori di Accra (2). Fawzi Al-Issawi, miglior giocatore della storia libica e stella dell’Al Nasr Bengasi è votato miglior calciatore del torneo. Ma per la Libia è un trionfo. Mai la squadra di Tripoli ha raggiunto un traguardo così importante. E mai lo raggiungerà negli anni successivi, anche se 3 anni dopo sfiorò la qualificazione ai Mondiali messicani del 1986, superata nella sfida finale dal Marocco.
Il calcio libico è però legato anche ad un evento tragico: il 10 marzo, durante un’amichevole tra Libia e Malta, circa al 42esimo minuto crollò una tribuna dello stadio di Tripoli causando un numero di morti che si aggira tra i 20 e i 50. Causa del crollo fu stato un fuggi fuggi causato da non ben precisati motivi (c’è chi ha parlato di uno scherzo di cattivo gusto o di una rissa).Nella capitale libica era in corso un festival sportivo libico-maltese e gli isolani erano giunti a Tripoli con circa 80 atleti e tecnici. Nel 1979 il governo maltese, guidato dal laburista Dominic Mintoff, in un tentativo di approccio al blocco sovietico e di ricerca di una “terza via” firmò una serie di accordi con Libia e Corea Popolare, oltre che con l’Unione Sovietica. Accordi che fecero imbestialire la potenza coloniale del passato, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Proprio l’anno prima della tragedia Mintoff venne sconfitto nelle elezioni dal Partito nazionalista maltese, filo-occidentale. Il festival libico-maltese del 1988 serviva a celebrare i rapporti strategici tra i due paesi. Venezia, Palermo, Catania, Messina nel campionato libico? Se vogliamo vederla sotto un certo punto di vista, il Colonnello Gheddafi, nel periodo più cupo dell’embargo anti-libico, arriva addirittura a proporre l’adesione di queste squadre al campionato di Tripoliico… per poi ripiegare sul Lampedusa Calcio. Chiaramente si tratta di una battuta, visto che Gheddafi non si è mai riferito direttamente al calcio, ma sarebbero state delle ovvie conseguenze nel caso in cui le proverbiali provocazioni linguistiche del Colonnello si fossero realmente avverate: «il popolo di Sicilia, fratello e amico, perché arabo di origine, il quale deve far smantellare le basi americane sull’isola» o «quanti hanno evocato l’eventualità dell’annessione di Venezia alla Libia danno prova di obiettività storica» (3). Il 2 febbraio 1980, presso lo stadio San Paolo, della piccola cittadina di Narni, provincia di Terni, si gioca la prima storica sfida tra una selezione italiana della Lega Dilettanti e la nazionale libica. Finisce 1-0 per gli azzurri, grazie alla rete di Volpini. È il primo contatto calcistico tra le due nazioni, che segna lo sdoganamento ufficiale verso l’Europa occidentale della nazionale verde.Come vedremo, il calcio italiano rappresenterà per Gheddafi una vetrina fondamentale di soft power nei confronti di un paese che rappresenta sia l’ex colonizzatore sia un fondamentale alleato strategico della sua politica estera. L’esordio libico nella serie A italiana è del 1989 sulle maglie dell’Atalanta visto che per 6 stagioni lo sponsor è la Tamoil, compagnia petrolifera olandese acquistata dal governo libico negli anni ottanta.
Il 29 dicembre 1995 ci pensano due squadre italiane a rompere l’isolamento del paese nord-africano. La Lazio di Zdeněk Zeman e l’Inter di Roy Hodgson sono invitate a prendere parte al torneo triangolare “Città di Tripoli”. La terza squadra schierata è una selezione della capitale libica, composta da giocatori dell’Al Ittihad e dell’Al Ahli. Saranno 60000 gli spettatori all’11 Luglio, che hanno sborsato 5 dinari libici per pagare il biglietto con l’incasso devoluto alla costruzione di una casa di cura per tossicodipendenti.La prima sfida, tra Lazio e Tripoli si chiude per 4-2, grazie alle reti di Favalli, Boksic, Fathial Tomi, Aden Bezan, Signori e Iannuzzi. Grazie alle reti di Berti e Fresi l’Inter chiude in vantaggio la seconda partita contro i padroni di casa. Sfida decisiva nel derby italiano, con i capitolini che vincono ai rigori dopo l’1-1 del tempo regolamentare (nei triangolari si gioca un solo tempo da 45 minuti), in seguito alle reti di Branca ed Esposito (2).Successivamente la Libyan Arab Foreign Investment (la Lafico) entrò nel capitale sociale della Juventus, con una quota iniziale del 5,31% per passare al 7,5% nel corso degli anni.Per un breve periodo, dall’inizio della stagione 2002-03, il fondo di investimento possedette anche il 33% della Triestina: «Trieste mi ricorda Tripoli» dichiarò Al Saadi Gheddafi, il tessitore delle trame tra calcio libico e calcio italiano (4).
Al Saadi Gheddafi è il terzogenito della Guida della Rivoluzione libica. Personaggio certamente eccentrico, va detto che il padre non l’ha mai considerato come l’erede ideale. Considerando le carriere e i ruoli occupati degli altri figli di Gheddafi quella di Al Saadi assieme a quella di Muhammad, il primogenito (anch’esso inserito nella gestione dello sport come Presidente del Comitato Olimpico), e Hannibal, il quartogenito, è certamente la meno “brillante”: Saif Al Islam, l’erede designato ha gestito le telecomunicazioni del governo libico ed è stato una sorta di ideologo dell’apertura democratica della Jamāhīriyya.
Mutassim è stato ufficiale dell’Esercito libico e Responsabile della sicurezza del paese; Saif Al Arab è stato nominato dal padre a capo delle truppe che difendevano Tripoli durante la guerra civile; Khamis, il figlio più giovane, comandante della 32ªBrigata, è considerato ancora oggi alla guida della resistenza al governo ribelle. Non è un caso che questi quattro figli sono quelli che hanno accompagnato il padre nelle tragiche giornate della Guerra civile: due di loro sono rimasti uccisi (Mutassim e Saif Al Arab), lo stato di Saif Al Islam è attualmente in divenire, tra amnistia, processo e ritorno alla vita politica, e Khamis è stato uno degli ultimi comandanti delle forze lealiste. Conosciamo inoltre il postulato del “figlio di”, ma se pensiamo che al figlio di Mario Monti è permessa una “carriera lampo” (grazie agli aiuti degli “amici di papà”), al figlio di George Bush, tra una sbronza e l’altra, è stato permesso di diventare niente popò di meno che il presidente degli Stati Uniti, o che agli infiniti eredi della “casta” Kennedy è permesso di ricoprire per grazia ricevuta (e grazie all’eredità miliardaria del capostipite) qualsiasi ruolo disponibile nella politica americana, possiamo concedere ai figli di Gheddafi qualche ruolo operativo nello sport, per i meno “capaci” e di combattere coraggiosamente al fianco del padre per i più “risoluti”.
Al Saadi è stato da più parti considerato come il padre-padrone del calcio libico: grande appassionato di questo sport infatti è nominato dal padre presidente della Federazione calcistica libica e milita per tre stagioni nella Prima divisione, prima con l’Al-Ali e successivamente con Al-Ittihad, prima di tentare la fortuna nel calcio italiano, come vedremo. Molto si è parlato sulle reali capacità sportive del giovane Gheddafi e per quanto abbiamo letto è difficile darne un giudizio esaustivo, al di là di gossip, delle storie folkloristiche e delle notizie faziose. Anzi, giudicandolo dagli “skills” di queso video, pare tutt’altro che un giocatore inadeguato ai ritmi del campionato nordafricano. Dovessimo però basarci sui freddi numeri, notiamo come nella sua migliore stagione, quella 2001-’02, conclusasi con la vittoria del campionato libico, con l’Al-Ittihad, il “rampollo” ha messo a segno 19 reti, primato solamente pareggiato in tre occasioni nel passato (Idris Mikraaz dell’Al-Ahli di Tripoli nel 1993-’94, Mustafa Belhaaj dell’Al-Medina bek 1975-’76 e Ahmed Ben Sawed dell’Al-Alhi Bengasi nel 1963-’64). Certo, qualcuno obietterà che è stato favorito da arbitraggi compiacenti e ben disposti. Certamente, possibile, nessuno lo nega. Ma allora perché negli anni precedenti e in quelli successivi questa compiacenza è venuta meno? Le ricostruzioni, sia favorevoli sia contrarie, non aiutano a sbrogliare la matassa. In nazionale, invece, ha giocato solamente 18 partite, segnando 2 reti, in circa 6 anni: più o meno 3 partite all’anno. Al di là delle capacità tecniche e degli effettivi meriti, non propriamente un “giocattolo” personale.
Ci sono però dei meriti che non possono essere dimenticati: è stato il protagonista principale della restaurazione del calcio libico, sostanzialmente bloccato come risultati e organizzazione dalla fine degli anni ’80. Attraverso l’attenzione di Al Saadi sono giunti in Libia giocatori di prestigio (tra i quali Patrick Mboma e Victor Ikpeba) e tecnici stranieri che hanno contribuito a far crescere la nazionale, da Franco Scoglio ad Eugenio Bersellini, da Ilija Lončarević a Ion Moldovan, da Carlos Biliardo a Danny McLennan. Inoltre ha portato in Libia numerosi eventi, come ad esempio la Supercoppa italiana del 2002 tra Juventus e Parma, vinta per 2-1 dai bianconeri o l’amichevole contro l’Argentina del 30 aprile 2003 (Libia – Argentina 1-3, Saviola, Taib, Riquelme, Aimar).
Mentre era presidente della Federcalcio la nazionale ha centrato inoltre tre risultati importanti: un secondo (2007) e un terzo posto (1999) nei Giochi Pan-Arabi e due terzi posti ai Giochi del Mediterraneo (2005 e 2009). Nel 1999 sulla panchina libica siede Eugenio Bersellini, che definisce il risultato «un’impresa». «Abbiamo perso la semifinale perchè ormai erano appagati. Ma che festa al ritorno: 3000 persone ad accoglierci e la premiazione con il Colonnello» (5) ricordava il tecnico parmigiano (foto sotto).
Nel 2007 invece l’Al Ittihad, squadra che nel frattempo è stata acquisita dalla famiglia Gheddafi, arriverà addirittura alla finale della CAF Champions League, superata solo dagli egiziani dell’Al Alhi. Tra i protagonisti di quella storica cavalcata c’è Salem Rewani, attaccante classe 77, protagonista assoluto degli anni 2000 del calcio nord-africano e autore di una straordinaria rete nella manifestazione contro la squadra Mogas 90 del Benin, con un pallonetto da circa 75 metri (6).
Come abbiamo già accennato Al Saadi cercò l’avventura nel calcio italiano, dopo aver cercato l’ingaggio con i campioni maltesi del Birkirkara. E qui possiamo certificarlo certamente nella categoria dei cosiddetti “bidoni”. D’altronde lo stesso Bersellini attestò che l’Ingegnere «starebbe bene nella nostra serie B», certamente invece fuori luogo nella nostra serie A. Gioca pochi minuti in sole due presenze tra Perugia e Udinese e chiude l’esperienza senza presenze con la Sampdoria. Nel mezzo anche una squalifica di tre mesi per doping. Decisamente più valida è stata la carriere del primo libico impegnato nei nostri campionati: Jehad Abdussalam Muntasser. Nato a Tripoli il 26 luglio 1978, Muntasser giunge da giovanissimo in Italia e a 11 anni gioca nelle giovanili dell’Atalanta, dove viene allenato anche da mister Giovanni Vavassori. Si trasferisce quindi nella Pro Sesto prima di trovare spazio in una delle migliori formazioni inglesi, l’Arsenal, con la quale colleziona solo una presenza in Coppa di Lega. Gioca con più continuità nelle formazioni giovanili e riserve. Passa successivamente al Bristol City, prima di tornare in Italia, a 21 anni, nell’Empoli.
Inizia la sua vera carriera professionistica in Serie C, nell’anno 1999-2000 con la Viterbese, dove gioca 10 partite e conquista una semifinale di playoff. Nei Giochi Panarabi del 1999, di cui abbiamo già parlato sopra, entra nella nazionale libica. Nella manifestazione segna 2 reti, contro Siria ed Emirati Arabi. Entra poi nella storia del calcio mondiale, con un record del tutto particolare, segnando la prima rete del nuovo secolo: in un torneo amichevole (il torneo del Grande Fiume Artificiale), organizzato a Tripoli, il 31 dicembre, alle ore 23.00, è iniziata la gara finale tra Libia e Ghana. Passata da appena 25 minuti la mezzanotte è stato proprio Muntasser ad infilzare il portiere ghanese e a portare la sua squadra alla vittoria finale. Passa successivamente al Catania, squadra controllata da Luciano Gaucci, il presidente che porterà Al Saadi in Italia. Colleziona 16 presenze con una rete e anche in questo caso manca la promozione in B perdendo la finale di playoff. L’anno successivo trova un ingaggio ne L’Aquila, con la quale gioca 12 partite, nelle quali desta un’ottima impressione tanto da guadagnarsi una chiamata dalla serie B: firma infatti per la neopromossa Triestina.Con la squadra giuliana gioca probabilmente le due migliori stagioni della carriera italiana, sfiorando la promozione in serie A il primo anno (con la Triestina campione d’inverno e risultato finale al quinto posto, dopo una serie di “strane manovre” societarie e arbitrali). Il libico entra a meraviglia nello schema di mister Ezio Rossi, un collaudato e spettacolare 4-3-3, e può giostrare su entrambe le fasce e, nel caso di bisogno, anche da trequartista puro. Segna 2 reti contro la Salernitana (finale 2-2) e una nel big match del 6 gennaio contro il Siena, pareggiando l’iniziale vantaggio senese, prima della rete della vittoria alabardata di Dino Fava. L’anno successivo colleziona 24 presenze anche se soffre di qualche problemino fisico.
A Trieste è ancora ricordato con grande affezione, per la signorilità e l’umiltà del ragazzo, e il coro con il quale veniva esaltato dalla Curva Furlan (“Mu Mu Muntasser!”) e ancora tra i più amati dai tifosi. Nel 2004-’05 trova viene acquisito dal Perugia, sempre di Gaucci, con il quale centra un quarto posto in serie B e subisce la sconfitta ai play off, ad opera del Torino (15 presenze nella stagione). Arriva quindi la chiamata in Seria A, richiamato da Ezio Rossi, allenatore del Treviso. Con la squadra veneta le soddisfazioni sono poche, anche a causa della scellerata gestione societaria, e a fine stagione l’ultimo posto in classifica certifica la retrocessione. Per Muntasser sono solo 4 le presenze nella massima serie, anche a causa dell’esonero di Rossi. L’anno successivo gioca altre 9 presenze a Treviso, in serie B. Passa quindi in Qatar, nell’Al Wakra, e successivamente ritorna in patria nell’Al Ittihad. Attualmente è consulente di mercato dell’Al Alhi di Dubai, squadra con la quale ha contrattualizzato Fabio Cannavaro, ex Pallone d’oro. Con la selezione libica ha giocato 34 partite segnando 8 reti. L’”oppositore globale” Mu’ammar Gheddafi nel 2010 non mancò di indirizzare le sue critiche alla Fifa la massima istituzione del calcio mondiale. Nel giorno dell’inaugurazione del primo mondiale africano (Sud Africa 2010), l’11 giugno, data che corrisponde alla già citata commemorazione del 1970, il leader libico denunciò la «politica mafiosa» dell’«organizzazione corrotta che deve essere combattuta». Nel mirino di Gheddafi c’è la «nuova tratta degli schiavi», visto che le formazioni europee «comprano giocatori di paesi poveri per metterli in campi di paesi ricchi e venderli successivamente». Un “surplus commerciale” che secondo Gheddafi dovrebbe essere utilizzato per sviluppare lo sport nei paesi più poveri: «con i miliardi che guadagna dal traffico degli esseri umani, la Fifa dovrebbe aiutare i paesi poveri ad accogliere la Coppa del mondo» in un torneo itinerante (6).Una critica che non possiamo non condividere: secondo l’ex calciatore camerunense Jean Claude Mbvoumin, fondatore dell’associazione Foot Solidarie, attualmente sono più di 20.000 i calciatori minorenni prelevati in Africa con l’inganno con la promessa di sfondare nel calcio che conta, tra documenti falsi e regole non rispettate (con la Fifa che fa finta di non vedere). Secondo un’inchiesta datata 1998, bambini di 8 anni venivano comprati in Nigeria o Ghana per una cifra che si aggirava tra le 300 e le 500 mila lire. Una volta espatriati a questi bambini viene cambiato nome e consegnati documenti falsi, per evitare di dover indennizzare le società d’origine (il cosiddetto “premio di formazione”).
Gli stessi una volta fallito il sogno vengono riutilizzati dalla stessa criminalità come mano d’opera a basso costo (7).Secondo un’indagine dell’Università di Neuchâtel solamente il 13 % degli africani immigrati in Europa per giocare a calcio riesce a migliorare le condizioni economiche (8). Dopo 15 anni da quell’inchiesta, i numeri di questa scandalosa tratta di schiavi sono aumentati radicalmente e la Fifa continua a far finta di nulla, tacendo sul ruolo che le squadre più importanti d’Europa hanno in questa compravendita di bambini. Tra le formazioni più attive nel continente africano, ricordiamo le squadre francesi (non sarà una novità il ruolo di depredazione francese nei confronti del continente nero..corsi e ricorsi della storia…) e l’Ajax, formazione multata recentemente “solo” 10.000 euro dall’Ispettorato del lavoro olandese per aver contrattualizzato calciatori africani con una retribuzione inferiore al minimo salariale (chissà quanti milioni di euro ha guadagnato rivendendo altri africani sottopagati…).
Dopo la morte del Colonnello Gheddafi non sono mancati le reazioni nel mondo del calcio. La maggior parte degli interpellati si sono dimostrati fedeli al mainstream occidentale con in primo piano il festante Claudio Gentile pronto a cannibalizzare la nuova nazionale libica, senza che nessuno l’abbia contattato per il ruolo di allenatore, nonostante la notizia sia stata rilanciata dai “zelanti” giornali italiani che come da modalità ormai consolidata non hanno nemmeno provato a riscontrare la notizia.
Figurarsi poi se nella “nuova” Libia razzista e monarchica, la panchina della nazionale venga affidata ad un “ex colonialista italiano”.Non sono mancate le voci fuori dal coro: il primo caso è quello di Tariq Al Taïb (foto a fianco), capitano di lungo corso della nazionale libica e sostenitore di Gheddafi. Durante la guerra civile, poco prima della Coppa d’Africa 2012, con la Libia impegnata nel girone di qualificazione, ha dichiarato «tutta la squadra sta con il Colonnello. Dedichiamo questa vittoria (contro le Isole Comore, 3-0, nda) al Popolo che sta soffrendo» e ha epitetato come “cani” e “ratti” i ribelli antigovernativi . Risultato: il 2 gennaio 2012 i poliziotti del Cnt sospendono un amichevole e arrestano Tariq. Dopo essere espatriato in Egitto nel Misr El Makasa, ha chiuso la carriera in Oman e Qatar. Sulle spalle del capitano 77 presenze e 23 reti nella nazionale, una lunga carriera tra Libia (Al Alhi Tripoli), Tunisia (CS Sfaxien), Turchia (Gaziantepspor), Kuwait (Al Naser), Arabia Saudita (Al Hilal e Al Shabab) ed Egitto (Misr El-Makasa), oltre che l’attenzione di Arsenal, Newcastle, Valencia e Juventus. Nel 2004 e nel 2005 ha raggiunto rispettivamente il quarto e quinto posto al Pallone d’oro africano. Può vantare anche un amichevole giocata con il West Ham contro l’Arsenal, in cui ha segnato una rete.Un inciso: la sfida contro le Isole Comore è stata giocata, per questioni di sicurezza, a Bamako, capitale del Mali. I 20.000 spettatori dello stadio 26 marzo hanno sostenuto per tutti i 90 minuti la nazionale libica e hanno apertamente manifestato il sostegno a Mu’ammar Gheddafi, amico personale del presidente maliano Ahmed Abdallah Mohamed Sambi.
Anche un’altra stella del calcio africano, il senegalese El Hadji Diouf, attaccante del Leeds, non ha fatto mancare il suo appoggio alla causa gheddafiana: «Gheddafi è un uomo che ho sempre ammirato. Conosco bene il figlio, Saif. Siamo amici. Francamente non so cosa sta succedendo in Libia, ma deve essere veramente dura per Gheddafi e la sua famiglia. La vittoria, Inch’Allah, andrà a chi ha ragione. Ma spiace vedere tante vittime». Quest’ultima frase va interpretata, ovviamente, in senso trascendente, vista anche la presenza della parola Inch’Allah, se Dio vuole, che va a definire quindi una vittoria celeste, ultraterrena, una vittoria della Giustizia, non la vittoria, effimera, sporadica, eterodiretta delle forze terrene.Ma i fatti più “sconcertanti” (secondo il vocabolario dettato dall’”ufficio politico” dell’Ansa) arrivano dall’Algeria, paese da sempre vicino agli ideali pan-arabi (da Ben Bella a Boumedienne…) e in cui ha trovato asilo Aisha la figlia prediletta di Gheddafi.Durante una partita amichevole tra Algeria e Tunisia, allo stadio Mustapha-Tchaker di Blida le due squadre hanno effettuato un minuto di raccoglimento in omaggio al Colonnello appena ucciso. I tifosi algerini hanno poi cantato cori in omaggio al leader, su tutti il famoso slogan “Zenga Zenga” (strada per strada) e la canzone: “Vive l’Algérie et la Libye verte! Abat les traitres et les mercenaires!”. Nelle gare di qualificazioni alla Coppa d’Africa del 2015, le nazionali di Algeria e della nuova Libia si sono incontrate in una sfida di andata a ritorno, rispettivamente a Casablanca, Marocco, e a Blida, Algeria. Il 9 settembre si è giocata la partita di andata e tra i tifosi algerini, sempre inneggianti a Gheddafi, secondo il quotidiano Annahar Al Jadid ha fatto la comparsa anche Aisha Gheddafi, che è stata ripagata dalla nazionale di Algeri, grazie all’1-0 firmato da Soudani.Soudani che si è ripetuto anche nella partita di ritorno, giocata un mese dopo a Blida. Partita, conclusasi poi sul 2-0, caratterizzati dalla protesta del capitano libico Ahmed Saad, che infastidito dal coro “Yahia Gheddafi” (Gheddafi vive) e “jerdhen” (ratti) ha chiesto la sospensione della gara (forse anche perché c’era da distogliere l’attenzione dalla sconfitta). Avesse pianto un po’ di più, una no fly zone su Blida non gliel’avrebbe negata nessuno…
Instabilità politica, guerre civili in ogni regione, milizie islamiste legate ad Al Qaeda che imperversano, sharia integralista applicata in gran parte del paese, governo centrale che comanda a malapena la capitale, continui colpi di stato. Questa è la Libia oggi. Un ritorno ad una anarchia da medioevo dopo 42 anni di progresso sociale, economico e politico. In questa tragica situazione la Libia avrebbe dovuto organizzare la Coppa d’Africa del 2017, dopo che il Sudafrica si era reso disponibile a sostituire il paese mediterraneo per quella assegnata del 2013. Assegnata, è giusto ricordarlo, il 4 settembre 2006, quando il Colonnello Gheddafi era ancora saldo al potere. Il 28 settembre del 2011, cinque anni dopo, in piena aggressione islamista-occidentale a Tripoli, la Caf diede il consenso allo scambio tra i due paesi. Ma a distanza di tre anni (il 22 agosto 2014), la federazione libica ha dovuto rinunciare anche all’edizione del 2017, giocata in Gabon.
Note:
(1) Muhammar Gheddafi, Il Libro verde, cap.Lo Sport
(2) https://www.youtube.com/watch?v=DVr29QkutxM
(3) Citati in Angelo Del Boca, Gheddafi. Una sfida dal deserto, Editori Laterza, 2010, pag. 162 e pag. 229. La seconda è una dichiarazione dell’agenzia di stampa Jana
(3) Laziowiki
(4) Maurizio Cattaruzza, La Triestina. Storie di piccoli tormenti e grandi estasi, Edizioni biblioteca dell’immagine, 2003, Pordenone, pagg. 128-135
(5) Ho lasciato in panchina anche Gheddafi, in Libero quotidiano del 22 aprile 2001
(6) Colonnello Gheddafi: “La Fifa è una mafia mondiale una organizzazione corrotta”, http://qn.quotidiano.net/esteri/2010/06/13/344806-gheddafi_fifa.shtml
(7) Bruno Bartloni, Bimbi calciatori, nuovi schiavi d’Africa, Il Corriere della sera, 23 giugno 1998 e Luca Pisapia, Giovani calciatori africani strappati alle famiglie: la nuova tratta degli schiavi, il Fatto quotidiano, http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/28/giovani-calciatori-africani-strappati-alle-famiglie-nuova-tratta-degli-schiavi/211173
(8) Federico Frigerio, Sognando Eto’o. La carrier di calciatore in Africa? Un mestiere rischioso, Peace Reporter, 11/02/2008, http://it.peacereporter.net/articolo/9899/Sognando+Eto%92o