Il calcio jugoslavo mi ha sempre sedotto e affascinato, un piacere per chi ama veder giocare in piena libertà. Lui è nato il 7 ottobre 1957 a Sarajevo, in Jugoslavia ieri, in Bosnia Erzegovina oggi; era un calciatore jugoslavo di origine bosniaca, ruolo libero. Poi è diventato allenatore.
Faruk Hadzibegic
Agli ultimi Mondiali mi sono esaltato nel vedere la Croazia, che mi ha fatto ricordare i talenti di quella Jugoslavia dimenticata. Oggi, insieme al Belgio, la Croazia è senza dubbio una grande squadra. Pazza. Ma una grande squadra.
Si è qualificata più volte dopo i tempi supplementari e i rigori. I rigori sono fucili a colpo singolo.
“Quello che so della moralità è che lo devo al calcio …” disse Albert Camus.
Ricordiamo questo magnifico titolo dell’omonimo romanzo e film dello scrittore austriaco Peter Handke:”L’angoscia del portiere al momento del rigore”. Gigi Riva, nel suo libro “L’ultimo rigore di Faruk” scrive: “Nei Balcani, dire che lo sport è come la guerra non è una metafora. La guerra è la continuazione dello sport con altri mezzi”.
L’ultimo rigore è una grande indagine, è la storia del calcio e della guerra, ci ricorda sempre l’esplosione della Jugoslavia, “un’idea romantica in agonia”, dieci anni dopo il la morte del leader Tito. La federazione socialista fu tenuta a galla solo con illusioni. Faceva molto caldo in una partita tra la Dinamo Zagabria e la Stella Rossa a Belgrado. Nello stadio, i tifosi avevano esposto striscioni con slogan identitari e dato vita ad una vera e propria rivolta. Gigi Riva,caporedattore del settimanale L’Espresso, omonimo di una leggenda del calcio italiano, ha seguito la guerra dei Balcani. Il suo libro racconta come il calcio e la politica si siano incrociati per mezzo secolo, fino al culmine di Firenze nel 1990.
Nel 1990 l’Italia ospitò il Mondiale, il 30 giugno a Firenze, gli jugoslavi affrontarono, nei quarti di finale, gli argentini di Maradona. Al fischio finale il punteggio è zero a zero. Stesso risultato dopo i supplementari. I rigori terminano con quello mancato del capitano Faruk Hadzibegic. Questa fu l’ultima apparizione della squadra nazionale della Jugoslavia. Il rigore fallito di Faruk Hadzibegic divenne improvvisamente una storia di calcio e guerra. Il simbolo, il grilletto per la rottura di un paese.
Croati e serbi hanno giocato nella stessa maglia – quella della Jugoslavia – fu l’ultima volta, una fine anticipata dall’ultimo penalty … Nei mesi seguenti, così tanti sostenitori sono diventati miliziani in una guerra civile. Una guerra durante la quale i nazionalismi si scontrarono nel sangue, sotto i bombardamenti.
La partita contro l’Argentina di Maradona portò all’eliminazione di una squadra dotata di enorme talento ma dilaniata dai rinascenti odi etnici. Leggenda popolare vuole che un’ eventuale vittoria nella competizione avrebbe contribuito al ritorno di un nazionalismo jugoslavista e scongiurato il crollo che si sarebbe prodotto. Proprio per la sua popolarità il calcio è sempre servito al potere come strumento di propaganda. Basti pensare all’uso che Mussolini fece dei trionfi del 1934 e 1938, o a come i generali argentini sfruttarono il Mondiale in casa del 1978, durante la dittatura.
Ma si potrebbe sostenere che in nessun luogo come nella ex Jugoslavia il legame tra politica e sport sia stato così stretto e perverso. Attraverso la vita del protagonista e dei suoi compagni (molti dei quali diventati poi famosi in Italia, da Boban a Mihajlovic, da Savicevic a Boksic, da Jozic a Katanec), si scopre il travaglio di quella rappresentativa nazionale e del suo allenatore Ivica Osim, detto “il Professore”, o “l’Orso”.
Nelle loro gesta si specchia la disgregazione della Jugoslavia e la spregiudicatezza dei suoi leader politici, che vollero utilizzare lo sport e i suoi eroi per costruire il consenso attorno alle idee separatiste. In questo senso il calcio è stato il prologo della guerra con altri mezzi, il rettangolo verde la prova generale di una battaglia.
Mario Bocchio