Baggio lo fulmina con uno sguardo: quel pallone è suo, quel rigore è suo
Set 13, 2022

Perché adoriamo il calcio? Per le emozioni dei novanta minuti o della loro somma al termine di una stagione? Sarebbe troppo poco, troppo banale. Amiamo il calcio per le storie che ci offre: quelle grandi, dei trionfi e dei loro protagonisti e quelle delle sconfitte e delle cadute, come il rigore di Baggio ad esempio. Già, ma non solo: anche perché altrimenti rubriche come questa, che racconta storie “piccole”, non avrebbero senso. Quella del rigore di Pasadena – come sottolinea Cristiano Vella – è parte della grande storia di Baggio, forse la più grande e bella storia calcistica italiana: ma il calcio è anche tutto ciò che si muove e si snoda attorno alle grandi storie, con storie più piccole. Come quella di un altro rigore di Baggio: apparentemente anonimo (e segnato) che vale il 4 a 0 della Juve col Genoa, nella serie A 1993-‘94. Apparentemente anonimo perché quel gol, il terzo del Divin Codino in quella partita, è il suo gol numero 100 in Serie A e perché prima di tirarlo ormai sul 3 a 0 Baggio si è trovato a un bivio: tirarlo e segnare il suo centesimo gol in A o lasciarlo a chi quel rigore se l’era conquistato e cercava di scrivere non una storia, non ancora, ma almeno qualche parolina. Zoran Ban.

La “rosa” della Juventus 1993-’94. In alto: Massimo Carrera, Sergio Porrini, Moreno Torricelli, Massimiliano Notari, Dino Baggio, Roberto Baggio (C), Fabrizio Ravanelli, Jürgen Kohler, Júlio César, Gianluca Vialli. Al centro: Francesco Morini (team manager), Antonio Conte, Francesco Baldini, Roberto Galia, Fabio Marchioro, Angelo Peruzzi, Michelangelo Rampulla, Zoran Ban, Giancarlo Marocchi, Giampaolo Boniperti (accompagnatore). Seduti: Giuseppe Bosio (coordinatore staff sanitario) Guido Rumiano (massaggiatore), Andrea Fortunato, Angelo Di Livio, Sergio Brio (vice allenatore), Giovanni Trapattoni (allenatore), Claudio Gaudino (preparatore atletico), Roberto Sorrentino (preparatore portieri) Alessandro Del Piero, Andreas Möller, Valerio Remino (massaggiatore), Pasquale Bergamo (medico sociale)

Già: è l’estate del 1993 e in casa Juve il mercato si divide tra grandi sogni e le esigenze dettate dalla realtà. Con decine di migliaia di operai Fiat in cassa integrazione sarebbe poco indicato fare acquisti miliardari: perciò le trattative per i big (Panucci, Deschamps, Bergkamp e soprattutto Bokšić) non decollano. Si punta sul risparmio e sui giovani: arrivano Sergio Porrini dall’Atalanta, Angelo Di Livio dal Padova e Andrea Fortunato dal Genoa per la prima squadra, più qualche ragazzino di belle speranze come Ciccio Baldini, Gianluca Francesconi, Alessio Tacchinardi, o di bellissime speranze, come Alex Del Piero. E una scommessa come Zoran Ban. Per Bokšić infatti servono almeno venti miliardi, e allora Franco Landri, uno di quegli scopritori di talenti d’altri tempi, silenziosi e mai appariscenti, suggerisce il nome di Ban. Gioca nel Rijeka, la squadra di Fiume, sua città natale, non ha neanche 20 anni e lo chiamano “il nuovo Bokšić”. Landri lo vede segnare una doppietta alla Dinamo Zagabria sotto i suoi occhi e inizia a seguirlo: Zoran è un attaccante dal gran fisico e con un gran bel sinistro, per 1 miliardo e mezzo di lire si può fare.

In azione nella Juventus contro il Lecce

E si può anche mandare in prestito per osservarne l’evoluzione: magari al Lecce o anche al Piacenza. Alla fine però il Trap decide di tenerlo: con campionato, Coppa Italia e Coppa Uefa da giocare e con Platt, Casiraghi e Di Canio in uscita più Vialli non al top fisicamente meglio cautelarsi. D’altronde Ban non pretende di giocare: è un ragazzino, con fidanzata Sanjia al seguito, e considerando che in patria la situazione è disastrosa “girare a Torino in 500 o andare al cinema mi sembrava già il paradiso” dichiarerà. I pochi ingressi in campo sono sempre a contorno di prestazioni opache: Trapattoni al centro preferisce sempre Ravanelli, a sinistra c’è Möller… e se proprio c’è da far giocare un ragazzino, c’è Alex Del Piero. La sua azione più degna di nota, infatti, è il rigore conquistato contro il Genoa, con dribbling di prima sull’avversario che lo stende e il tentativo di strappare a Baggio quello che poi sarebbe diventato il centesimo gol di Roby in Serie A.

Ma Baggio lo fulmina con uno sguardo: quel pallone è suo, quel rigore è suo…ma porterà a cena Ban e Sanjia qualche sera dopo: con i due ventenni in visibilio, ovviamente, per il solo fatto di sedere al ristorante con un Pallone d’Oro. A fine stagione però arriva la bocciatura: la Serie A non è per Zoran, che sarà ceduto al Belenenses, dove gioca 9 volte segnando due gol, poi al Boavista dove di gol ne segna 4 in 16 partite. L’opportunità di rilanciarsi in Italia arriva nel 1996, nel Pescara di Delio Rossi, ma arriva solo un gol all’ultima giornata in 9 presenze. Molto meglio in Belgio: dove tra Mouscron, Genk e Mons segna 46 gol in 7 stagioni. A fine carriera una nuova opportunità di giocare in Italia: col Foggia guidato da Giuseppe Giannini, e inizia benissimo con 2 gol in 5 partite, ma poi segue il cuore, ritirandosi per stare accanto alla sua Sanjia, ormai sua moglie, alle prese con problemi di salute. Oggi è agente di calciatori e ha 49 anni, ed è ancora amico di Baggio: non poteva essere diversamente d’altronde, avendogli regalato il suo centesimo gol in Serie A.

Fonte Il Fatto Quotidiano

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