Siamo a Torino, quartiere Vanchiglietta. Sollier entra a Scienze politiche proprio nel ’68, un anno che non ha bisogno di contestualizzazioni storiche, ma ne esce dopo appena una sessione d’esami: lo stipendio del padre non basta più e Paolo entra nella Fiat. Siamo a Torino negli anni ’70. Facile, quasi scontato.
Sollier sfoglia il “Quotidiano dei lavoratori” a metà degli anni 1970, con il collega Giancarlo Raffaeli.
Parallelamente a questa vita, Paolo ne ha altre due. Quella di calciatore e quella di comunista, come ha bene illustrato Alessandro Colombini su “Minutosessantotto”.
Sollier e i libri.
La seconda avrà il picco massimo in un periodo particolarmente felice della prima, quindi tanto vale andare per ordine: fin da ragazzino passava la domenica pomeriggio con la casacca amaranto del Vanchiglia, squadra dilettantistica del quartiere, ma pian piano da quei campi senza pretese ne esce un centrocampista importante, che presto attira le attenzioni di squadre più blasonate degli amici del quartiere. Dopo una piccola parentesi al Cinzano Paolo arriva in Serie C, prima all’Ezio Abate di Cossato e poi alla Pro Vercelli.
Dopo una stagione a Vercelli attira le attenzioni del Perugia, in B. Ora è meglio parlare di rivoluzione.
Nel 1976 a “San Siro” contro l’Inter di Facchetti.
Sempre nel 1976, mentre cerca di sottrarre la palla a Tardelli in Juventus-Perugia.
Fin da giovane nella sua Vanchiglietta Paolo aveva bazzicato Mani Tese, Ong che punta alla fine dello squilibrio economico e soprattutto alimentare tra Nord e Sud del pianeta, ma con la maturità e con l’avvento del 1968 Sollier sviluppa una coscienza politica più forte e militante e rifiuta in ogni modo di lasciarla fuori dai campi da calcio.
“La critica principale che mi è stata rivolta è come si conciliava la mia militanza a sinistra con i guadagni da calciatore, ma il mio era lo stipendio di un buon impiegato. Se mi sentivo un privilegiato era per un altro motivo, perché facevo il lavoro dei miei sogni, il calciatore. Una fortuna che capita a pochi”.
Con la maglia del Perugia inaugura un rito prepartita che lo consegnerà alla storia del calcio. Del nostro calcio. Squadre al centro del campo, saluto ai tifosi, mani che sventolano, palmi che applaudono, un pugno chiuso. Un pugno chiuso? Era Paolo quel pugno, ogni santa volta. “Un gesto di solidarietà“, come lo chiamerà lui poi.
Come nacque il pugno chiuso in campo?
“Lo facevo nei dilettanti e una volta arrivato in Serie A, mi interrogai se fosse o no il caso di continuare. Decisi di sì in nome della coerenza. Oggi quel gesto diventerebbe, come si dice…, virale sui social, ma non avrebbe seguito in campo. Mi piacerebbe che qualcuno lo rifacesse, ma temo che i giocatori moderni non se lo possano permettere. Il calcio di oggi allontana dalla realtà, poi magari qualcuno nel privato agisce in altra maniera. Ma l’impegno politico è uscire allo scoperto, prendere posizione. Ecco, non vedo niente di tutto questo, pugno o non pugno”.
Aveva la tessera di Alternativa Operaia, leggeva il “Quotidiano dei lavoratori”: un marziano?
“A Perugia non ho mai cercato di fare proselitismo, difficile si parlasse di politica. Solo più tardi a Rimini, cercai con qualche compagno di dar vita a un collettivo dei calciatori di sinistra”.
Febbraio 1979, Terni: la riunione dei dissidenti. Nella foto, da sinistra verso destra: Galasso, Belforte, Sollier e Montesi.
Con chi e come andò?
“Ricordo Montesi, Pagliari, Ratti, Galasso. Andò che dopo due riunioni ci sciogliemmo. Scrissi anche all’Associazione calciatori chiedendo loro di schierarsi politicamente proprio come gli altri sindacati, mi rispose l’avvocato Pasqualin dicendomi che tra gli impegni dell’Aic non c’era la politica”.
Oggi non si rivede in nessuno?
“È un altro mondo. Solo, mi piacerebbe che Damiano Tommasi diventasse presidente della Federcalcio. Mi sembra una persona seria: per questo non vincerà mai”.
Campionato di Serie B 1974-’75, Sollier in Perugia-Catanzaro.
Portando il pugno chiuso in giro per tutta la penisola accolto da, a seconda della città, altri pugni chiusi o braccia tese, Sollier arriva a quello che con tutta probabilità è il punto di non ritorno, l’orgasmo puro della sua carriera. A Roma si gioca Lazio-Perugia e Sollier il giorno prima di concede a un giornalista de “Il messaggero”.
“Parliamo di tutto: della condizione mentale del Perugia, del mister Castagner, dello schema che adotteremo a Roma, del mio stato fisico e così via, solo che prima di congedarci gli faccio una battuta stupida riferita alla Lazio: gli avrò detto un qualcosa tipo ‘Spero con tutto il cuore di battere la squadra di Mussolini’ e lui ovviamente ci fa un titolo a nove colonne sul suo giornale”.
Lo striscione dei tifosi laziali: “Sollier boia”.
Ad accogliere le squadre in campo c’è tutto uno stadio contro Sollier. La partita non contava più niente, l’importante era dare una lezione a quel comunista. Partita nervosissima, perugini presi d’assalto sugli spalti, striscioni contro Sollier, Wilson che la mette dentro a dieci dalla fine e Lazio che si porta a casa i due punti.
Sollier sulle figurine.
Sempre di quegli anni è il libro “Calci e sputi e colpi di testa“, nel quale racconta e concilia la militanza in Avanguardia operaia e l’essere un calciatore professionista che gli costò un deferimento da parte della Figc. Sennò, diciamocela tutta, che gusto c’era?
Fu mai emarginato per la sua posizione politica?
“Non diciamo balle. Ho fatto una buona carriera da calciatore e una deludente da allenatore ma solo per colpa mia. Tecnicamente ero scarso, tatticamente un anarchico, ma correvo”.
Vorrebbe giocare oggi?
“No. Si cresce in batteria, è brutto dirlo ma è così. Non mi piacciono le scuole calcio, come nemmeno quelle di scrittura. Magari ti danno qualcosa in più, ma ti tolgono la fantasia”.
Ritorniamo al suo libro. perchè lo scrisse?
“Vinsi un premio per un racconto e l’editore mi contattò. Voleva una cosa sociologica, che palle gli dissi. Se vuole le racconto la mia carriera, dai Dilettanti alla serie A. Avevo già tutto pronto, nel Vanchiglia ogni giocatore teneva un diario. Ce li scambiavamo e li commentavamo: praticamente Facebook”.
Campionato 1974-’75, Serie B. Sollier tenta di aggirare il portiere crociato Luciano Bertoni nel corso della sfida tra Perugia e Parma 0-0.
È vero che lei era solito regalare dei libri?
«Vero. Era Natale e c’era l’usanza di scambiarsi i regali. Io non sapevo davvero che fare e allora presi un libro per ogni giocatore, tutti con dedica. A Castagner, il nostro allenatore, scrissi non ricordo più su quale libro, non si vive di solo calcio. La prese bene”.
In un Perugia-Torino, con Pulici e Berni.
Dal suo pugno chiuso al braccio teso di Di Canio: differenze al di là dei fronti opposti?
“Quel pugno era la conseguenza del mio percorso, di uno che ha iniziato nei movimenti cattolici del dissenso e poi è passato alla militanza politica. Se il suo gesto aveva la stessa genesi, allora, pur rimanendo agli opposti, non ho nulla da dire. Diverso, invece, se lo ha fatto per accattivarsi consensi da parte dei tifosi”.
Dopo aver lasciato l’esperienza in A e il Perugia si rifugia a Rimini in B e poi un’altra serie di esperienze in Serie C con Vercelli, Biellese e Cossatese dando vita ad una carriera quasi a ritroso.
Helenio Herrera che le presta la casa di Parigi per un weekend romantico è leggenda o verità?
“È verità, poi non ci andai, a casa sua non a Parigi, ma era pronto a darmi le chiavi. Che personaggio, aveva pause craxiane quando parlava, era l’unica autorità che mi metteva soggezione”.
Con il “Mago” Hererra a Rimini.
Paolo Brusorio, che lo ha intervistato per “La Stampa”, gli ha chiesto: è nato a Chiomonte, Val di Susa, cuore dei NoTav: sabato fa settant’anni, il Sessantotto timbra i cinquanta. Sollier, chi è invecchiato meglio?
“Dura da dire. Io sono certo di un fatto però, la vecchiaia è bruttissima ma io voglio viverla con lo spirito degli anni Settanta. Avete in mente le degenerazioni, il terrorismo, la violenza, ma la contestazione ha influito sul lavoro, la scuola, la famiglia. Ha creato un futuro migliore”.
Sollier e Gaio Fratini.
Sollier oggi.
Paolo Sollier, il trequartista militante. La nostra intervista (CLICCA)
Idee o ideali, che cosa è sopravvissuto?
“In casa ho la foto del Che. Ma il neo liberismo ha sconfitto le idee, la solitudine competitiva ha cambiato il modo di vivere. Io mi nutro ancora di ideali. Alle idee ci pensino i giovani, tocca a loro prendere in mano il mondo. Io ho già dato”.