Tutti a casa di “Sciaurino”. Al secolo Dante Gronchi, o Granchi secondo altri, che in un pomeriggio dell’aprile 1919, a Piombino, mette a disposizione la sua abitazione per una riunione sul giuoco del calcio. I pionieri piombinesi del pallone sono studenti e operai e giocano le prime partite in un campo concesso da un ingegnere di cui oggi si conosce solo il cognome (Lanza): sono sfide con gli equipaggi dei piroscafi inglesi e la prima vittoria è quella per 4 a 1 contro i pompieri del cantiere navale “Venezia”. Comincia così la storia del calcio a Piombino, che attraverserà un secolo intrecciandosi in modo inestricabile con quella delle industrie siderurgiche della città, tanto che per i giocatori piombinesi – che ad inizio anni Cinquanta arriveranno in Serie B respirando per alcune settimane anche il profumo della A – sarà coniato l’aggettivo “acciaiati”.
Ma fermiamoci al 1919. La prima guerra mondiale è finita da pochi mesi e grande è la voglia di ritornare a una vita normale: il calcio, dopo aver attratto una minoranza, inizia ad essere seguito da “masse entusiaste, anche se digiune di competenza e talora di fair play”. A Piombino però la situazione è ben diversa, almeno inizialmente. Malgrado siano passati già 21 anni dal primo campionato nazionale di football e dalla nascita della primissima società toscana, il calcio in città è ancora materia per iniziati.
Così i pionieri di casa “Sciaurino” vengono guardati con sorrisi un po’ stupiti e un po’ canzonatori: “in giro si parlava appena e con ironia del nuovo sport del pallone considerandolo una trovata eccentrica per ingannare il tempo e per beccarsi un bel raffreddore, un divertimento da matti”. Bisogna poi considerare che, proprio in quegli anni, la città è agitata dai grandi scontri del “biennio rosso”. Sono manifestazioni, contrapposizioni e violenze che in quel periodo avvengono in tutta Italia, ma che in una città-fabbrica di piccole-medie dimensioni hanno probabilmente un’intensità del tutto specifica.
E poi, e poi, sulla città scende il gelo:chiude l’Ilva, la Fabbrica. La situazione occupazionale in città è già gravemente compromessa da diversi mesi, quando la minaccia della serrata degli altiforni diventa realtà. Pochi mesi dopo anche la Magona e il Cantiere Navale aprono ufficialmente la crisi, che nel primo caso porterà alla sospensione dal lavoro di 1.300 operai. Non c’è dunque da meravigliarsi se il gioco del pallone, pur arrivando a Piombino “già adulto”, non viene “salutato con gli osanna del caso” ma osservato a distanza con una certa sufficienza.
A rafforzare le ironie sulla nuova passione di quel gruppo di giovani c’è poi il fatto che il campetto degli esordi viene chiuso non molto tempo dopo la sua apertura. Tuttavia i calciatori non demordono e continuano a giocare: a volte “nel padule, a Pontedoro, altre volte sui campi prospicienti l’attuale mercato”, terreni di fortuna le cui condizioni sono tali “da scoraggiare anche il più accesso e entusiasta di loro”. Ma la passione è più forte di tutto e nel 1921 viene ufficialmente fondata l’Unione Sportiva Piombino.
Non solo. La tenacia dei pionieri riesce a bucare “il muro di scetticismo e di sfiducia” che li circonda e così nello stesso anno il Comune, nell’ambito del nuovo Piano regolatore, decide di concedere alla società lo spazio allora chiamato “il campo di Sansone”, nell’attuale piazza Dante. Qui nasce il primo vero campo sportivo di Piombino.
E a realizzarlo sono i giocatori stessi. In Cinquant’anni in nerazzurro, storia del primo mezzo secolo del Piombino, Gianfranco Benedettini descrive con efficacia quei momenti:“Ci voleva ben poco a fare un campo a quei tempi. Erano gli stessi giocatori a spalare la terra, riempire le buche, levare i sassi, con le mani degli studenti che conoscono i primi calli, con le colorite bestemmie degli operai che continuano a sudare dopo ‘la fabbrica’. Dopo qualche mese il campo era là, il più bello di tutti. Non importò se mancavano gli spogliatoi, ci si spogliava nelle aule delle scuole. Mancavano le porte, ci pensò il signor Esilio Moretti. Ora non mancava proprio più nulla. C’era anche il pallone, il mastodontico ‘scrum’ gelosamente custodito come una reliquia per molti mesi: servirà per la prima partita”. In occasione di ogni partita, i calciatori sono in campo ben prima del fischio d’inizio.
Devono mettere le reti, segnare il campo, sistemare le corde che hanno l’obiettivo di tenere distante il pubblico. Non che accorrano le folle, al campo di Sansone: “solo i parenti e qualche amico” dei pionieri si tolgono lo sfizio di “andare a vedere quei bei tipi di scavezzacolli in mutandoni, con le casacche ampie e cascanti, con i calzettoni riempiti di chissà che cosa”. Ma i protagonisti in campo vivono comunque con grande emozione e orgoglio quelle primissime partite. “Non è un sogno, è una bella realtà; la vostra giovinezza, la vostra costanza, il vostro amore allo sport, vi ha dato la vittoria. Andate, correte su quel campo. È vostro, è vostro perché lo avete fortissimamente voluto”, scriverà trent’anni più tardi uno dei pionieri, Gustavo Guasconi, ricordando quei momenti. Inizia così una storia di calcio, acciaio e lotte operaie destinata ad arrivare ai giorni nostri.
Paolo Ceccarelli
Fonti:
Gianfranco Benedettini, Cinquant’anni in nerazzurro, società editrice Il Telegrafo, Livorno, 1971
Antonio Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Einaudi, Torino, 1990
Paul Dietschy e Stefano Pivato, Storia dello sport in Italia, il Mulino, Bologna, 2019
Pietro Bianconi, Il movimento operaio a Piombino. La nascita della classe operaia in una città-fabbrica, La Nuova Italia, Firenze, 1970
Ivano Tognarini, Fascismo, antifascismo, Resistenza in una città operaia, Clusf, Firenze, 1980
Piombino ieri. Breve storia per immagini, supplemento al notiziario Acciaierie di Piombino, numero 7-8, agosto 1973