L’avevano sognata per anni, per decenni. L’avevano sognata, desiderata, sfiorata, ma mai, in una rincorsa durata quasi settant’anni, erano riusciti a toccarla, a sentirne sotto le dita i dolci lineamenti. Ma in quella sera di luglio del ’98 quel sogno era diventato realtà. Mentre il sole scendeva a riposarsi dietro i tetti di Montmartre, dopo essersi specchiato nella Senna, la Francia si addormentava guardando tutti dall’alto verso il basso. Ma stavolta non si trattava di “grandeur”, no, stavolta la Francia ce l’aveva fatta davvero: era il 12 luglio del 1998, e allo stadio di Saint Denis i ragazzi di Jacquet avevano sconfitto il Brasile nella finale dei Mondiali casalinghi. Campioni del mondo. Finalmente.
Là dove aveva fallito gente del calibro di Kopa, Fontaine e Platini, erano riusciti Zidane e compagni. Tra le 80 mila anime radunate sulle tribune di Saint Denis, quella sera, si intrecciavano storie, umori ed emozioni di tutti i tipi. C’erano i brasiliani che si chiedevano che cosa diavolo fosse successo, in quella maledetta notte, a Ronaldo, il fantasma di sé stesso nei 90 minuti finali.
Se lo sarebbero chiesti per anni, di risposte non ne avrebbero avute mai. C’erano i francesi che avevano vissuto gli anni di crisi del calcio Bleus e che ora si godevano la rinascita, quelli che avevano esultato per l’Europeo dell’84 e che si chiedevano se la generazione di giocatori in campo quella sera, quella dei Deschamps, dei Blanc, dei Barthez, avrebbe saputo ripetere le gesta di Platini, Giresse e Tigana. E poi – come sottolinea “Libero Pallone” – c’era un signore anziano, quasi novantunenne, che quella vittoria, in quella sera di luglio del ’98, la sentiva sua, sua per davvero. Ma non nella maniera in cui ogni francese, mentre Didier Deschamps alzava la Coppa verso il cielo di Parigi, si sentiva parte di quell’impresa. No, quel signore nato novantuno anni prima a Saint Maur des Fosses, sobborgo a sud est di Parigi, quella Coppa tanto desiderata la sentiva sua per davvero.
Sì perchè a compiere il primo passo di quella rincorsa che si concludeva quella sera, quella della Francia verso quel trofeo troppe volte sfuggito, era stato proprio lui, quel signore di 91 anni. La doppietta di Zidane ed il terzo sigillo di Petit avevano in qualche modo chiuso un cerchio che lui stesso, 68 anni prima, aveva iniziato a tracciare. Lui, Lucien Laurent, il 13 luglio del 1930 a Montevideo, aveva messo a segno il primo gol della Francia in un Mondiale di calcio. Di più: quello segnato da Laurent contro il Messico era in assoluto il primo gol nella storia dei Mondiali. Nato il 10 dicembre 1907 in Val de Marne, Laurent, centrocampista brevilineo, – alto appena un metro e 62 – tra il 1921 e il 1930 aveva militato tra le fila dei semiprofessionisti del Cercle Athletique de Paris, per poi passare al Sochaux, espressione calcistica della Peugeot, per la quale lavorava.
Nel 1930 la spedizione mondiale: la Francia, insieme a Belgio, Jugoslavia e Romania, era una delle quattro rappresentati chiamate a difendere i colori del Vecchio Continente nell’edizione inaugurale del torneo pensato e voluto proprio da un transalpino, Jules Rimet. Ottenuto il permesso dalla Peugeot, Laurent solcò l’Atlantico insieme ai compagni – tra di loro anche il fratello Jean – a bordo del Conte Verde, piroscafo italiano salpato dal porto di Genova: partita il 21 giugno, l’imbarcazione raggiunse l’Uruguay il 4 luglio 1930.
“Trascorremmo 15 giorni sul Conte Verde. Gli esercizi di base li facevamo di sotto, poi ci allenavamo sulla coperta della nave. Il nostro allenatore non ci parlò mai di tattica…” . In un calcio che muoveva i suoi primi passi verso lo status di sport più amato, seguito e praticato del mondo, l’appuntamento con la storia, per Lucien e per la Francia, era fissato per il 12 giugno 1930 a Montevideo, due giorni prima delle celebrazioni per l’anniversario della presa della Bastiglia. Toccava ai transalpini e al Messico, sul prato del piccolo stadio Pocitos, – il “Centenario”, costruito appositamente per il torneo, sarebbe stato ultimato solo alcuni giorni dopo – di fronte a poco più di 4 mila spettatori e sotto una lieve nevicata, inaugurare la storia dei Mondiali di calcio.
Storia che si mise definitivamente in moto al 19′ della partita: cross dell’ala destra Liberati, Laurent irrompe a centro area, colpisce di destro al volo e mette dentro. È la prima rete di una lunga serie, è la prima riga di una storia favolosa, quella dei Mondiali di calcio. La Francia vince la partita per 4-1, ma all’indomani, su “L’Auto”, antesignano de “L’Equipe”, l’apertura è dedicata all’abbandono del Tour de France da parte di Alfredo Binda. Per le gesta di Laurent e dei suoi compagni poco spazio, appena un trafiletto: il calcio, anno dopo anno, crescerà fino a diventare un fenomeno di portata planetaria, ma nella Francia del 1930 l’esplosione della sua fama è ancora lontana. Pensarci, oggi, fa quasi sorridere, pensando al monopolio che il pallone ha conquistato sulle pagine dei quotidiani sportivi, delle riviste, o sui siti internet, pensando alla condizione di star planetaria che si assume segnando in un Mondiale. “Io ed i miei compagni eravamo felici, ma non festeggiammo con troppa enfasi. Nessuno di noi, in quel momento, realizzava il fatto di aver scritto una pagina di storia. Non sapevamo nemmeno se quel tipo di competizione avrebbe mai avuto una seconda edizione”.
Laurent scende in campo da titolare anche nella seconda partita, contro l’Argentina, ma è costretto ad alzare bandiera bianca dopo un brutale scontro con Luisito Monti, futuro azzurro, uno che di certo, in campo, non andava per il sottile. La Francia perde 1-0 – segna proprio Monti – poi cade anche contro il Cile, altro 1-0, e saluta il primo Mondiale di calcio della storia.
Per prendersi un posto importante in questa storia, però, è bastata la partita contro il Messico: il primo gol “mondiale” della storia è francese, è di Lucien Laurent. Laurent che verrà convocato anche per i Mondiali italiani del ’34, senza però scendere mai in campo. La sua esperienza in Bleus si chiuderà con 10 presenze e 2 reti. La sua carriera con i club, invece, continua fino alle soglie dei 40 anni: dopo aver vestito le maglie, tra le altre, di Rennes e Strasburgo, Lucien chiude nel 1946, dopo tre anni al Besançon.
Nel mezzo, dal ’40 al ’43, anche tre terribili anni di prigionia in Sassonia: arruolato nell’esercito francese, Laurent viene catturato dalle truppe tedesche. “Al mio ritorno trovai la mia casa saccheggiata. Avevano rubato tutto, anche la mia divisa da gioco del 1930. Per fortuna con me avevo i miei ricordi: quelli non potrà mai rubarli nessuno”. Ma giocare a calcio in Francia, negli anni Trenta, non regala fama, né tantomeno denaro: la vita dopo il pallone, per Lucien, trascorre tranquilla in una birreria a Besançon, che apre e gestisce fino al 1972, anno in cui va in pensione.
Una vita ordinaria, da persona qualunque: nessuno lo riconosce, nessuno lo ferma per strada, anche se Lucien giocava a calcio nella nazionale francese, anche se nel 1930 è stato il primo marcatore nella decennale e leggendaria storia dei Mondiali di calcio. Ogni tanto, in birreria, di fronte a qualche boccale, Lucien racconta la sua storia, ma non vuole esagerare, non vuole mettersi troppo in mostra, non vuole correre il rischio di essere preso per un vecchio mitomane. Così, il più delle volte i suoi ricordi rimangono custoditi nella sua memoria. Gelosamente, come ciò che di più prezioso Lucien possiede al mondo.
Poi, nel 1990, a pochi mesi dal Mondiale italiano, a casa di Lucien si presenta un giornalista della Gazzetta dello Sport. Lui quasi non ci crede, eppure è tutto vero: a quasi 60 anni da quel pomeriggio nevoso di Montevideo, gli chiede di raccontare la sua storia, quella partita, quel gol. Poi lo invita al Gran Galà di Milano che precederà la rassegna iridata, dove sfileranno tutte le stelle della storia dei Mondiali: la prima sarà lui, Lucien Laurent, colui che con un destro al volo allo stadio Pocitos aveva dato il là ad una storia meravigliosa. Per una sera Lucien smette i panni dell’ordinario pensionato di Besançon e torna a vestire quelli dell’ex calciatore, dell’ex stella del pallone francese. Accanto a lui, uno dopo l’altro, sfilano fuoriclasse come Pelè, Bobby Charlton, Paolo Rossi, Diego Armando Maradona. Lucien scopre che il mondo del calcio non s’è dimenticato di lui, nonostante la sua vita tranquilla, lontano dai riflettori, dietro al bancone della sua birreria. Rispolverata da un italiano, la storia di Lucien viene poi raccolta dai francesi in occasione dei Mondiali del ’98.
Con la consueta “grandeur”: interviste, servizi televisivi, inviti. Tutti vogliono ascoltare la storia di Laurent, e lui non si tira mai indietro, riservando per ogni appuntamento nuovi aneddoti, nuovi ricordi, nuovi dettagli ripescati da quell’estate da pioniere. Addirittura, Lucien Laurent viene definito “Tresor National”, riconoscimento in genere attribuito a beni di valore culturale, artistico o storico. Lucien riceve in un colpo solo sessant’anni di fama arretrati. Per lui, per il primo marcatore della storia dei Mondiali di calcio, non può mancare l’invito per la finalissima di Saint Denis. E lui si presenta puntuale, la sera del 12 luglio 1998. Puntuale, come fu su quel cross di Liberati nel 1930, per vedere finalmente quella Coppa alzata da mani francesi.
Per chiudere il cerchio. Di quella spedizione del 1930, la sera di Saint Denis, Lucien è l’unico superstite, l’unico testimone di un’epoca che sembra lontana molto più di quanto i 58 anni trascorsi potrebbero fare intuire. Il calcio è diventato un fenomeno di portata planetaria, i calciatori divi strapagati di fama internazionale, si gioca in stadi ultra moderni e le trasferte si fanno in aereo. A pensarci, il “Conte Verde” sembra appartenere alla preistoria. Lucien, sulle tribune di Saint Denis, è l’unico anello che collega due epoche infinitamente diverse, infinitamente lontane. Ci pensa, Lucien, pensa a quell’esperienza incredibile, a quelle settimane da pioniere. Chiude gli occhi e manda indietro il tempo, ripercorre i suoi ricordi, straordinariamente lucidi per essere quelli di un ultranovantenne: vede Liberati che controlla sulla destra, lo vede mentre si coordina per il cross, attende la sfera che plana verso l’area, sente il dolce rumore della rete che si gonfia, sente l’abbraccio dei compagni. Poi la sera scende su Parigi, c’è una finale da giocare, c’è l’ultimo capitolo di una storia iniziata quasi sessant’anni prima da scrivere, c’è un cerchio da chiudere. Zidane segna. Poi segna ancora. Petit la chiude. La Francia è Campione del Mondo. Lucien Laurent è Campione del Mondo. Lucien muore l’11 aprile del 2005 a Besançon.