Dal trionfo allo sconforto, figlio di una doppia sconfitta, seppur maturata su campi differenti. L’Argentina che nel 1978 aveva conquistato il suo primo mondiale al Monumental di Buenos Aires si presentò a Spagna ‘82 da grande favorita insieme al Brasile. Tuttavia, nonostante una squadra estremamente valida dal punto di vista tecnico, arricchita dallo straordinario talento di Diego Maradona, si intuì in fretta che i risultati dell’Albiceleste sarebbero stati differenti.
Senza la compiacenza di arbitri e talvolta di avversari (nota la vicenda del portiere argentino Quiroga, naturalizzato peruviano, che si fece sommergere di gol nel 6-0 che consentì ai padroni di casa di approdare in finale a spese del Brasile grazie alla differenza reti) che si piegarono al regime dittatoriale del generale Videla fu tutta un’altra musica, sia per i giocatori e poi in seguito per i governanti del paese, autori di un’autentica pulizia etnica che causò ben 30.000 desaparecidos.
Videla quattro anni prima aveva indebitato il paese fino all’inverosimile pur di ospitare il Mondiale con l’intento di vincerlo al fine di distrarre una popolazione rabbiosa e disperata. Quella volta gli andò bene perché “El Flaco” Menotti compattò attorno a sé la squadra che seppur aiutata da eventi esterni ci mise l’anima per conquistare la Coppa del Mondo; una coppa da dedicare esclusivamente al popolo, pur sapendo che il successo avrebbe accresciuto la popolarità e il potere dei feroci dittatori.
Quattro anni dopo – come racconta Storie di Calcio – la storia venne capovolta, nonostante i protagonisti fossero più o meno gli stessi. Il generale Galtieri, l’allora presidente della Repubblica, convocò i vari Videla (a capo dell’Esercito), Massera (a capo della Marina) e il ferocissimo Astiz, giustiziere di oppositori e giornalisti, reduce dall’uccisione di due suore francesi e di una cittadina svedese, dichiarando guerra agli inglesi per la riconquista delle isole Malvinas, o Falklands secondo i britannici, al centro di una contesa nata nel lontano 1833.
Da una parte si preparava la guerra e dall’altra il Mondiale con lo stesso tecnico Menotti e con ben nove undicesimi della squadra vittoriosa nel 1978. I volti nuovi erano quelli di Ramón Ángel Díaz e soprattutto di Diego Armando Maradona, scartato all’ultimo momento quattro anni prima. I due nel 1979 erano stati i principali artefici del titolo mondiale giovanile conquistato in Giappone col 2-0 sull’Urss. Due fuoriclasse: Diaz, un bomber che aveva tolto il posto a Luque anche nel River e Maradona, un genio già capace di estrarre dal cilindro qualsiasi meraviglia magica.
Il popolo, ingannato dai cinici generali, si riversò di nuovo in strada, questa volta non per festeggiare la conquista del mondiale ma per brindare anticipatamente alla riconquista delle Malvinas, isole che valevano appena più di nulla. Una guerra che poteva nascere soltanto dalla follia di militari senza scrupoli e senza raziocinio. Una follia che li aveva indotti a pensare di poter vincere con facilità, dando per scontato che il governo di Margareth Thatcher, in quel momento impegnato contro un lungo sciopero dei minatori, non sarebbe sceso in campo per difendere 1.500 kelpers, la comunità di origine inglese e gallese che abitava le Falklands e che era rimasta fedele alle proprie tradizioni.
Non fu così. A 12.000 chilometri di distanza, a poche centinaia di chilometri dall’Antartide gli inglesi infersero al nemico una dura lezione. L’epilogo avvenne il 14 giugno, quando 10.000 argentini si arresero contando 649 morti e 1.000 feriti contro i 255 morti e 800 feriti tra gli inglesi.
Nel frattempo in Spagna la Selección perdeva la partita d’esordio contro il Belgio e dopo aver passato il turno grazie ai successi su El Salvador e Ungheria veniva eliminata nella seconda fase dopo aver perso contro l’Italia (rigenerata proprio da quella gara) e contro il Brasile, con Maradona, il protagonista più atteso, espulso a cinque minuti dalla fine dopo un brutale fallo su Batista. Fu la fine di una squadra tanto forte quanto fragile di nervi, inghiottita dalle tensioni che si respiravano nello spogliatoio dove alcuni, come Ramón Díaz, era in preda al terrore di chi aveva familiari al fronte.
Il sanguinario regime nato con un golpe militare il 24 marzo del 1976 cadde definitivamente nell’ottobre del 1983, quando le prime elezioni libere portarono alla presidenza della Repubblica il radicale Raúl Alfonsín. L’Argentina per tornare a gioire dovette aspettare il 1986, quando un maestoso Maradona riscattò nel migliore dei modi la delusione patita quattro anni prima portando sé stesso e il suo popolo sul gradino più alto. Una gioia che non fece dimenticare i 30.000 desaparecidos. Un fardello che l’Argentina si porterà dietro in eterno.