Amava far segnare piuttosto che segnare
Mag 9, 2022

Piergiorgio Negrisolo, di Viadana, può vantare una lunga carriera in serie A: dodici anni tra Sampdoria, Roma, Verona e Pescara. Centrocampista di qualità, con classe e visione di gioco; tatticamente un giocatore perfetto che stava in campo con grande personalità a dettare i ritmi della squadra.

«Ho iniziato a giocare — inizia Negrisolo — a Viadana, per arrivare al Guastalla in D e l’anno dopo alla Reggiana in B, poi alla Sampdoria. Nel giro di un anno e mezzo mi sono ritrovato in seria A. Una fortuna che ho pagato, perché a Genova mi sono fratturato un dito del piede e poi il piede e per i primi due anni ho giocato poco. In compenso non ho mai più avuto infortuni gravi».

La Samp di quegli anni?

«Una squadra giovane, con Sabatini, Sabadini e Lippi, che puntava alla salvezza. Solo un anno andò meglio del previsto e arrivammo a metà classifica. Era la politica della società: puntare sui giovani e salvarsi. Eravamo un grande gruppo, io ho sempre legato con tutti senza problemi».

Negrisolo nella Sampdoria

Poi arrivò la Roma…

«Sì, anche se nel frattempo ero stato contattato da Inter e Cagliari, ma persi queste opportunità. Scopigno stravedeva per me e quando andò a Roma mi volle a tutti i costi. Arrivare alla Roma fu un salto di qualità. Avevo Morini, Boni, Spadoni, che era la macchietta del gruppo, e Sandreani come compagni e non fu difficile diventare amici. Nel 1974-‘75 sfiorammo lo scudetto e la lotta era tra noi, Torino e Juve. A tre giornate dalla fine eravamo primi, poi perdemmo lo scontro diretto col Torino, che vinse il campionato e finimmo terzi. Per la Roma fu il miglior risultato dal dopoguerra. Era un buon periodo per le romane, e l’anno dopo infatti vinse la Lazio».

Annata 1974-’75, con la maglia della Roma

Altra tappa a Verona.

«Il presidente della Roma era Anzalone e la società aveva bisogno di soldi, io ero l’unico giocatore richiesto. Così cedette alle insistenze di Valcareggi e passai al Verona. Andai via malvolentieri. Poi nel ’79 Liedholm mi voleva al Milan e da tifoso milanista, sarebbe stato un sogno giocare con la maglia rossonera al fianco di Rivera. Ricordo che fin da ragazzo era il mio idolo e quando tornavo dagli allenamenti dicevo a mia mamma ‘Vedrai che un giorno giocherò con Rivera’. Non andò così, persi un’altra occasione e proprio quell’anno il Milan vinse lo scudetto, mentre il Verona retrocesse in B. Il presidente del Verona Garonzi non mi mollò e non cedette nemmeno a Torino e a Bologna. Per restare in A accettai il Pescara dove conclusi la mia carriera».

Che giocatore era?

«Ero bravo tatticamente e mi piaceva costruire il gioco, ma mi mancava la velocità. Amavo far segnare piuttosto che segnare anche se nella Roma, nel ‘73-‘74 segnai 3 reti e presi la bellezza di 9 pali».

11 marzo 1979. L’attaccante vicentino Paolo Rossi (a sinistra) tenta il tiro, contrastato dal difensore veronese Piergiorgio Negrisolo (al centro), nel derby veneto tra Verona e Lanerossi Vicenza (0-0) 

Le convocazioni in azzurro.

«Ho fatto la trafila nelle nazionali giovanili, Under 21 e Under 23, collezionando 13 presenze e con un po’ di fortuna avrei potuto fare di più. L’apice lo raggiunsi nel 1970 quando fui tra i 40 convocati per i mondiali del Messico, ma non fui tra i 22 che partirono».

Gli avversari?

«Ho giocato contro grandi giocatori: Rivera, Mazzola, Claudio Sala, Causio e Beccalossi. Rivera fu il più grande, un giocatore straordinario, ma anche Damiani era difficile da marcare, perché molto tecnico e veloce. In un’amichevole giocata a Marassi contro il Santos ho giocato anche contro Pelè. Perdemmo 6 a 1, Pelè fece 2 gol ed il suo modo di giocare mi incanta ancora adesso».

E tra gli allenatori?

«Ognuno mi ha dato qualcosa, ma di Giagnoni ho uno splendido ricordo. Un uomo con una grande umanità con un carattere meraviglioso. Invece Liedholm fu quello che mi lusingò maggiormente. Diceva che non c’era nessuno come me nel gioco senza palla. Magari con un po’ più di velocità, chissà…».

Sulle figurine Panini, giocatore del Pescara

Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, Negrisolo si è fermato a Reggio Emilia. Sposato con Diana, ha due figlie, Elisabetta ed Eleonora.

«Reggio è la mia città. Sono arrivato giovanissimo per giocare, mi sono diplomato in ragioneria ed ho conosciuto mia moglie».

Dopo il calcio agonistico?

«Ho lasciato questo ambiente e dal 1984 mi occupo di promozione finanziaria. Ho solo continuato a giocare nei dilettanti per restare in forma e perché attratto dal ‘fascino’ dello spogliatoio».

Negrisolo ci racconta la sua vita sotto gli sguardi dolci della moglie e della figlia Eleonora. «Ci tiene molto — aggiunge la moglie — a restare in forma. Giorgio è sempre stato molto esigente con se e con gli altri, orgoglioso, rigoroso e puntiglioso. Lo dico con ammirazione e una punta di invidia, perché io non sono così».

Intanto a Negrisolo, gentile e riservato, scappa un sorriso un po’ imbarazzato. Con Viadana ha mantenuto dei contatti?

«No, perché la mia famiglia è di origine veneta e a Viadana abbiamo vissuto solo per qualche anno. Non ho parenti, solo qualche amico d’infanzia. Ogni tanto ci vado, ma solo per motivi di lavoro».

Fonte: “Storie di Calco”

Condividi su: