Mercoledì 29 luglio 1981. Sono le 7,30. Nel ritiro di Colle San Marco un’auto della Polizia si presenta al quartier generale dell’Ascoli. Ad Angiolino Gasparini, trentenne stopper che sta per iniziare la sua quarta stagione in bianconero, viene consegnata un’accusa di detenzione e spaccio di droga accompagnata da un mandato di cattura.
Gasparini sale in camera per preparare il bagaglio, chiede un giorno di permesso a Mazzone e si trasferisce nel carcere di Marino del Tronto. Ammetterà di aver acquistato 50 grammi di cocaina per uso personale, ovvero per lenire il dolore che gli procurava la spalla slogata e per prepararsi ad un’operazione chirurgica, programmata per il mese di agosto. Lo “scandalo Gasparini”, con i giornalisti a dividersi tra colpevolisti ed innocentisti, destò sensazione in quel calcio nazionale ancora scosso dai sinistri scricchiolii dello scandalo scommesse.
Gasparini, che attraverso il legale della società chiese la libertà provvisoria, si presentò ai nastri di partenza di quel campionato che coincise con il sesto posto finale del vecchio Ascoli. Il nostro, coi capelli tra il giallo oro ed il castano chiaro, di lunghezza non usuale ai tempi dell’Inter, nasce a Bedizzole, in Brescia, il 22 marzo 1951. Poco più che diciannovenne fa l’esordio in Serie A con la squadra della sua città. 5 aprile 1970, Juventus-Brescia. Gli affidano Pietruzzo Anastasi di Catania e quello segna, al 91′, la rete decisiva.
Cinque stagioni al Brescia, quattro in cadetteria, una al Verona, pure in B, e poi tre stagioni all’Inter, prima di passare all’Ascoli nell’estate del 1978. Lo rivediamo nella vecchia raccolta Panini 1969-’70: un puttino dipinto con modini giusti, ancora imberbe, con capelli corti e ben pettinati.
Un settimanale satirico-sportivo bolognese scrisse nel 1975 di numerose e compiacenti “tifosine” che inseguivano questo bresciano bellissimo. Si parlò persino di una conturbante vedova nella città di Romeo e Giulietta. I fans gialloblù arrivarono a dire che aveva centrato più bersagli Angelo in due mesi che il “Grande Gatsby” in tre anni. Il “Grande Gatsby”, a Verona, era Gianfranco Zigoni. Un collezionista di amplessi era divenuto Angelo Gasparini. Che prima del trasloco da Brescia per andare in un club più di grido aveva dovuto scegliere tra Sampdoria e Verona. Scelse il Verona perchè era in A, ma dopo una settimana dalla firma i gialloblù furono retrocessi a tavolino per illecito e venne ripescata la Sampdoria. Certo è che il fascinoso difensore fu acquistato dall’Internazionale per oltre quattrocento milioni, ed a Verona finirono Moro, già, proprio il grande Adelio-Astaire che successivamente Costantino Rozzi pretese insieme ad un buon gruzzolo di milioni per cedere a quelli Antonio Logozzo. Pure ad Ascoli Angelo fu chiacchierato non poco. Gli toccava il destino dei “troppobelli”, ma lui si era sempre opposto a quei pettegolezzi che lo volevano impenitente seduttore, “uno che faceva impazzire le donne”.
Accadeva invece il contrario. “Erano le donne – ci raccontò una volta Angelo – che lo facevano impazzire”. A lui piaceva stare in giro, particolarmente di notte, perchè quando era solo non riusciva a dormire. Il suo comportamento sul terreno di gioco, però, era irreprensibile. Non aveva piedi da pittore del football, per questo preferiva spassarsela cercando una vita fantasiosa fuori dal calcio. Nessuno schema od imposizione. Carattere chiuso, l’ombrosità dei cavalli di razza, Angelo Gasparini fu più di una volta stoico nella posizione di difensore centrale, in casacca bianconera. 148 presenze, tecnicamente non eccelso, discreto nel gioco aereo, era un marcatore caparbio, concreto su ogni zolla, dai bulloni roventi.
Eppure, tanto gentile e tanto onesto pareva a vederlo fuori dal rettangolo del campo. Domava il centrattacco avversario con ardore immenso, manco fosse una di quelle ragazzine che gli si appiccicavano addosso. Quando i suoi compagni segnavano, Gasparini rimaneva tranquillo, a godersi l’esultanza. Fu un esempio, Angelo, di grande sacrificio nel corso dei novanta minuti di gioco. Confezionava, come scrivevano i grandi inviati di allora: “…una camicia di forza invincibile all’avversario…”. Braccava chiunque, senza concedergli nulla. Il bolognese Civolani gli assegnò una domenica il 7,5 in pagella spiegandolo così: “..E chi gli va via?…”. La sua carriera finì a trentacinque anni, a Monza, dopo 481 partite tra A e B. Nel ’97, dopo essersi tirato fuori dall’azienda di filati del suocero, Angelo Gasparini transita da Pozzolengo senza aver la forza di abbassare lo sguardo. Attraverso un amico, decide di collaborare per la crescita di un centro per recupero di tossicodipendenti. Senza pretendere nulla. “…Per trentacinque anni – disse all’inviato de “La Gazzetta dello Sport” che l’aveva rintracciato a Pozzzolengo – non ho mai lavorato, il calcio non è un impiego, solo uno svago: io non ho mai fatto un sacrificio e non credo ne facciano neppure ora. Nessuno ti costringe a diventare giocatore. E dopo non riesci ad adeguarti a dei canoni seri di fatica…”.
I capelli più radi, la stravaganza di sempre. E quella certa difficoltà ad addormentarsi che non deve essere scomparsa del tutto. Non ci riusciva proprio a dormire, Angelo Gasparini. Soprattutto quando era solo. Aveva una maledettissima paura del buio. Non dormì neppure quella notte che precedette l’arrivo di due poliziotti alle cinque del mattino. Quando svegliò Carlo Mazzone dicendogli: “…Mister, mi stanno portando dentro…Droga…”, il trainer, seppur assonnato gli rispose senza far drammi: “…Stai tranquillo,vedrai che si risolve tutto…”. Angelo Gasparini è stato il più grande stopper della storia dell’Ascoli. Fumava quaranta sigarette al giorno e spesso gli capitava di presentarsi all’allenamento senza aver disfatto il letto, o lasciandolo disfatto. Segnò l’unico gol in bianconero il 30 novembre 1980, Ascoli-Como, 2-1. Calciò in mischia e subito dopo gli arrivò una scarpata nell’occhio. Furono i compagni ad avvertirlo. “…Hai segnato Angelo, proprio tu!…”
Stefano Pellei
Post scriptum di Fiorenzo Baini
Cercando tra i vari archivi di Internet e anche su quello ufficiale dell’Inter non si riesce a trovare un evento del 1978 che però è significativo dell’abisso siderale che ci divide da quegli anni. Si tratta dell’amichevole Inter-Brasile disputata a San Siro in primavera.
L’Inter fu sconfitta 2 a 0, gol di Roberto Dinamite o Dirceu e Nunez, se non ricordiamo male. L’Inter si impegnò notevolmente ma non ricordiamo se riuscì mai ad impegnare il portiere brasiliano. D’altronde, va bene che era un Brasile mediocre ma l’Inter chi gli opponeva? Merlo, Scanziani, Pavone, Gasparini e proprio a quest’ultimo è legato l’indelebile ricordo. Immaginate Gasparini, grintoso e rozzo stopper (pardon, centrale) di una volta coi piedi di ghisa col pallone a centrocampo assaltato da cinque brasiliani in sequenza verso la metà del secondo tempo. Gasparini: qualcosa di simile al terrore e infatti abbiamo sempre avuto il sospetto che perse la palla non tanto per il contrasto degli avversari quanto per paura. Pienamente giustificata però.