“Balon, ah Balon!!” con questa frase intrisa di nostalgia gli anziani alessandrini che avevano avuto la fortuna di vederlo giocare,ricordavano le gesta del grande Adolfo Baloncieri,il capostipite della rinomata scuola alessandrina.
Nacque nell’estate del 1897 a Castelceriolo, un piccolo sobborgo nei pressi di Alessandria, e nel 1907 si trasferì con la famiglia in Argentina in cerca di fortuna.
In Sudamerica apprese i primi rudimenti calcistici. Amava raccontare: “i primi calci ad un pallone li ho tirati ad Arequito, città della provincia di Santa Fé. Ebbi come maestro lo stesso della terza elementare. Quel brav’uomo si era provveduto di una palla abbastanza simile al football, nonché di un regolamento di giuoco ed ogni giovedì ci faceva un corso pratico e teorico di calcistica…. argentina”.
Nel 1912 la famiglia Baloncieri fece ritorno nella terra d’origine, pare che la madre sentisse troppa nostalgia per l’Italia. Nonostante l’ostracismo familiare, la passione per il calcio non scemò nemmeno in Italia, e così parlava dei suoi approcci nel circuito calcistico alessandrino: “l’antica Piazza D’armi a Porta Marengo, l’attuale Piazza Genova, delimitava con una traballante staccionata di tavole in legno, il recinto entro il quale si trovava il tracciato del rettangolo di gioco. Là si davano convegno, impegnati in una quotidiana disputa, ragazzi di ogni età, grado e condizione, attratti dal fascino che lo sport calcistico andava diffondendo. Un distinto signore, l’inglese Smith, si mescolava tra noi dispensando consigli e suggerimenti, fu un esemplare educatore oltreché un eccellente istruttore. Quando mi presentai a lui timidamente, avevo 14 anni ed ero esile e mingherlino: Smith mi squadrò da cima a fondo e mi mise alla prova. Avuta via libera incominciai a fare il diavolo a quattro e a spopolare fra quanti mi si paravano davanti. Soddisfatto della prova volle sapere da dove venivo. Dissi che venivo dall’Argentina. Da allora mi soprannominarono l’americano”.
Il ragazzino tornato dal Sudamerica proseguì il percorso di maturazione, il giornalista Alberto Fasano scrisse: “Quando Baloncieri cominciò a farsi notare era un giovane smilzo,con una faccia da cinese, l’occhio furbo,un sorriso a mezzo labbro. Le doti che fecero subito stacco furono l’intelligenza tattica, l’intuizione personale,la prontezza di riflessi”.
L’esordio in Prima Categoria avvenne il 6 dicembre 1914 ad appena 17 anni: fu mandato in campo per sostituire l’indisponibile Della Casa contro l’Andrea Doria (2-2) e secondo il giornale “Osservatore” “si impressionò troppo”.
In quella stagione giocò un altro incontro, Alessandria-Milan (0-0) del 28 marzo 1915 , era la partita decisiva per entrare nel girone finale e i Grigi mancarono l’obbiettivo.
Si ritrovò titolare in sostituzione di Bosio il quale, proveniente da Torino, sbagliò la coincidenza dei treni ritrovandosi ad Asti. Secondo la “lega liberale” la sua prova fu insufficiente.
Nel frattempo scoppiò la Prima Guerra Mondiale, Baloncieri giocò tre partite nella Coppa Brezzi e così descrisse quel periodo: “vi fu la guerra con i suoi orrori, i suoi lutti e le sue miserie. Molti giovani erano stati chiamati alle armi: parecchi non fecero più ritorno alle loro case. I reduci, induriti dalle fatiche, dalle privazioni e dai disagi sentirono prepotente il bisogno di ritemprare fisico e nervi dedicandosi ad uno svago libero e salutare come il calcio. Quel ritorno di fiamma segnò la rigogliosa rinascita del calcio alessandrino”.
Nell’immediato dopoguerra avvenne la definitiva consacrazione di “Balon” sia in maglia grigia che in nazionale: colui che meglio aveva assimilato gli insegnamenti dell’inglese Smith contribuì ad alzare il livello generale dell’Alessandria, grazie anche all’apporto di gente come Carcano, Ticozzelli e tanti altri.
In breve diventò l’idolo del “Campo degli Orti”, il trascinatore i cui tifosi invocavano “Balon, all’anello, all’anello!!!…” per incoraggiare i suoi proverbiali tiri all’incrocio dei pali. Celebre un suo gol al Bologna con i complimenti finali del giovane Angelo Schiavio.
Nell’estate del 1925 il presidente del Torino Marone Cinzano gli fece una corte serrata, la trattativa andò in porto con l’enorme cifra di 70 mila lire a favore dell’Alessandria.
Così ricordava a distanza di anni il suo passaggio in maglia granata: “il nostro divorzio avvenne quando avevo 28 anni, dopo 11 di appartenenza ai colori grigi. Le ragioni? Molte e nessuna. Dopo molti anni di ininterrrotte generose prestazioni era spiegabilissimo che una mia fiacca o scadente esibizione desse motivo ad apprezzamenti poco lusinghieri nei miei confronti. Non mi sentivo di sopportare da solo il peso e la responsabilità che mi si attribuivano senza le garanzie di una adeguata collaborazione collettiva. Perciò decisi di cambiare aria. Si scatenò il finimondo. Ingiurie, insulti, disprezzo: tutto ciò che si può dire di spregevole ad una persona mi fu urlato senza ritegno. Da idolo ero diventato di colpo l’uomo più odiato”.
Fu etichettato come “vecchio ronzino”, ma tutti coloro che pensavano che fosse sul viale del tramonto dovettero ricredersi.
Lui stesso raccontava: “l’ammirazione per le mie prodezze e la mia tenacia ebbe ragione sul dispetto originato dal mio trasferimento. Dal 1920 al 1925 avevo all’attivo 22 presenze in maglia azzurra, dopo il mio passaggio al Torino, dal 1925 al 1930 ne collezionai ancora 25”.
Effettivamente gli anni nel Torino furono ricchi di vittorie, anche in maglia azzurra. Con l’oriundo Libonatti e lo spezzino Rossetti formò un trio formidabile, e soprattutto prolifico in zona goal.
Vinse lo scudetto del 1928, dopo che quello del 1927 era stato revocato a causa dello,”scandalo Allemandi”.
In nazionale collezionò 47 gettoni, partecipò a tre Olimpiadi conquistando il bronzo ad Amsterdam nel 1928, e soprattutto contribuì da par suo alla conquista della Coppa Internazionale edizione 1927-‘30 con il favoloso epilogo di Budapest.
Con la nazionale chiuse nel 1930,due anni dopo terminò la carriera in maglia granata. Curiosamente, giocò un incontro nel campionato di guerra 1943-’44, all’età di 46 anni, con l’Alessandria, causa i forfait di alcuni giocatori di cui era allenatore.
Concludiamo con alcuni giudizi di illustri giornalisti.
Renato Casalbore: “Aveva il senso della manovra, la percezione del movimento, l’intuito della posizione e la rapidità del tiro”.
Giglio Panza: “Grande giocatore, antesignano del ruolo di regista che interpretava con larghezza di vedute, dribblando in corsa con velocità progressiva, segnando quando e come voleva gol decisivi. Tecnicamente dotatissimo, scaltro e duro se occorreva, era già allora un modello di come si gioca senza pallone. Lo ritengo l’uomo base del Torino della seconda metà degli anni Venti, nel quale era arrivato nel pieno della maturità tecnica e tattica”.
Alberto Fasano: “I compagni facevano gioco esclusivamente su di lui, ipnotizzati dal suo valore, gli avversari non avevano occhi e calci che per lui. Fermato ‘Balon’ bloccata tutta la squadra: questo era diventato il credo delle compagini rivali. Aveva uno stile inimitabile. Lo definirono il cervello ed il tessitore della linea d’attacco, nel Torino e nella nazionale. L’intelligenza: ecco la virtù più eletta di Baloncieri. È stato sicuramente uno dei cervelli più fini come speculazione tecnica del gioco che siano apparsi sui campi di calcio italiani. Un atleta di schietto tipo provinciale, resistente alla fatica, tetragono ai colpi, dalla volontà caparbia. Raramente doti tecniche e fisiche si sono fuse così armoniosamente come nella mezz’ala granata. Non era un solista: si teneva anzi lontano da ogni atteggiamento che significasse frattura dell’azione collettiva”.
Adolfo Baloncieri è morto nel 1986.
Antonio Priore
Si ringraziano Alberto Ravetti per i numerosi aneddoti, e Fabrizio Schmid per i dati statistici