Fuggire al controllo della Stasi, nella Germania dell’Est, non era di certo cosa facile. Non si muoveva foglia, ad est di Berlino, senza che il Ministero per la Sicurezza di Stato – Ministerium für Staatssicherheit in tedesco– comunemente conosciuto, per l’appunto, come Stasi, ne fosse a conoscenza. Un’organizzazione capillare costituita da una fitta rete di funzionari, collaboratori ed informatori: si dice che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso circa un tedesco orientale ogni sessanta fosse al soldo della Stasi. Fuggire all’occhio vigile del Ministero per la Sicurezza della Ddr, insomma, era quasi impossibile. Una rete che aveva allungato le sue maglie inserendo spie e informatori anche all’interno della totalità delle società calcistiche della parte orientale della Germania. Il partito socialista non teneva in grande considerazione il calcio – posizionato infatti appena al quattordicesimo posto nelle discipline sovvenzionate dallo Stato – ma era perfettamente consapevole della sua rilevanza popolare, motivo per il quale si riteneva necessario mantenervi un certo controllo. I calciatori, anche in Germania Est, erano considerati dei privilegiati, economicamente, rispetto al resto della popolazione “normale”.
Nulla di paragonabile, però, a quanto accadeva nel resto d’Europa (o per lo meno nei principali campionati), dove la figura del calciatore si stava progressivamente trasformando in quella di divo multimilionario. Uno status, quest’ultimo, che faceva gola a molte delle stelle del calcio della Germania Est, allettate dall’idea di poter moltiplicare quel che era il loro compenso “solo” trasferendosi ad ovest della Cortina di Ferro. “Solo”, con quelle virgolette bene evidenti, sì, perchè oltrepassarlo, quel muro, non era impresa facile. Il caso più celebre, in questo senso, è quello di Lutz Eigendorf, centrocampista della Dynamo Berlino che riuscì a fuggire ad ovest nel 1979 per giocare prima nel Kaiserslautern e poi nell’Eintracht Braunschweig.
Morì nel 1983, in un incidente stradale dalle circostanze misteriose: dietro alla sua morte, secondo l’inchiesta del giornalista Jochen Doring, potrebbe esserci proprio la mano della Stasi, che avrebbe insomma punito il centrocampista per la sua fuga. Di fatto, agli occhi del partito socialista e di Erich Mielke, capo del Ministero della Sicurezza, un vero e proprio tradimento. Tradimento doppio, considerato che Eigendorf era tesserato proprio per la Dynamo Berlino, la squadra sotto l’ègida della Stasi. Una fuga, quella di Eigendorf, dopo la quale la rete della Stasi diventò ancor più vigile: l’ordine era quello di evitare altri “tradimenti”.
Se ne resero conto – come racconta “Libero Pallone”, il 23 gennaio del 1981 Gerd Weber, Matthias Müller e Peter Kotte. Centrocampisti i primi due, rispettivamente nati nel ’56 e nel ’54, attaccante il terzo, anche lui del ’54, militavano nella Dynamo Dresda, formazione che ormai da tre anni assisteva al dominio della Dynamo Berlino in Oberliga, la massima serie calcistica in Germania dell’Est. Un dominio, quello della squadra della Stasi, sul quale restano tante, tantissime ombre: tra arbitraggi accomodanti e il sistematico “saccheggio” dei migliori calciatori delle altre squadre con metodi più o meno leciti, ad ogni modo, i berlinesi dell’est conquistarono, dal ’79 all’88, ben dieci titoli consecutivi. Weber, Müller e Kotte ne avevano probabilmente abbastanza di partecipare ad un campionato dal vincitore già scritto, ad un torneo sempre più simile ad una farsa. Fu probabilmente anche per questo, oltre che per i sogni di ricchezza che li attendevano ad ovest del muro, che i tre iniziarono a progettare una fuga, seguendo l’esempio di Eigendorf, oltre che di tanti altri calciatori e sportivi della Germania Est.
Riuscirono a stringere contatti con la dirigenza del Colonia, che promise un contratto da 200 mila marchi a testa a tutti e tre i calciatori: cifre impensabili per chi giocava a calcio ad est della Cortina di Ferro, cifre che, come si dice, non si potevano rifiutare. Il piano, però, arrivò alle orecchie delle spie della Stasi. La quale presentò ai tre il conto il 23 gennaio del 1981, quando si trovavano con la nazionale, pronti a partire per una tournèe in Sud America, all’aeroporto Schoenenfeld a Berlino. I servizi segreti avevano intercettato i contatti con il Colonia, Weber, Müller e Kotte furono arrestati. “Tentativo di fuga dalla Repubblica e tradimento dello Stato” l’accusa mossa nei confronti dei tre fuggitivi, che non solo videro svanire il sogno di sbarcare in Bundesliga, ma che allo stesso tempo si ritrovarono costretti a chiudere anzitempo, alla soglia dei 25 anni, le loro giovani carriere. Le pene, infatti, furono severissime. Weber, individuato dalla Stasi come la mente del piano, fu condannato a 7 anni e 6 mesi di carcere e squalificato a vita dai campi di tutta la Germania Est, anche quelli amatoriali.
Müller e Kotte, dal canto loro, furono banditi dall’Oberliga, condanna che di fatto chiuse anche le loro carriere in nazionale, e furono costretti a lasciare rispettivamente il lavoro in Polizia e gli studi all’Università. Esclusi, chiaramente, dalla Dynamo Dresda, ai tre fu inoltre interdetto ogni tipo di contatto con gli ormai ex compagni di squadra. Weber tornò ad essere un uomo libero solamente il 12 agosto del 1989, giorno in cui fu scarcerato, dopodichè riuscì finalmente a mettere in atto il suo piano, con sette anni di ritardo, fuggendo nella parte occidentale della Germania. Müller e Kotte, come detto squalificati dalla massima serie, proseguirono le loro carriere nel Fortschritt Neustadt, formazione dilettantistica della Sassonia. Müller, nel ’90, coronò effettivamente il sogno di giocare ad ovest, venendo tesserato, a 36 anni, dal Tennis Borussia Berlino, società che oggi langue in quinta serie: i suoi anni migliori, tuttavia, erano ormai passati.
Una storia che colpisce, quella di Weber, Müller e Kotte, una storia che sembra provenire da un altro mondo, un altro calcio. Ed effettivamente lo era, la Germania Est, un altro mondo. Un mondo in cui tre calciatori vennero sacrificati sull’altare della fedeltà ad uno stato che prima aveva promesso libertà e poi l’aveva negata, facendo nascere nei cuori di tanti, tantissimi giovani, propositi di fuga. E non erano tre calciatori qualunque, quelli. Gerd Weber, nel ’76, aveva fatto parte della rosa della selezione olimpica che era tornata da Montreal con la medaglia d’oro, Müller era invece parte della Ddr che conquistò l’argento a Mosca, quattro anni dopo. I tre mettevano insieme 58 presenze e 8 reti in nazionale, rappresentando un patrimonio calcistico importante per la Germania Est: non abbastanza importante, però, da permettere loro di avere salva la carriera (e la libertà).