Il campione del mondo dimenticato
Dic 21, 2021

Nato a Castellammare Adriatico (Pescara), Mario Pizziolo si mise in luce nella Pistoiese come mediano destro. Nel 1929, quando sembrava sul punto di passare all’Ambrosiana, ci fu l’opposizione dei genitori per via dei suoi studi, preferendo la destinazione Fiorentina. Studi che effettivamente proseguirono conseguendo ben due lauree in Scienze politiche ed Economia e Commercio. In maglia viola vinse il campionato cadetto 1930-‘31,e negli anni successivi divenne un beniamino della tifoseria gigliata.

La Fiorentina 1931-‘32. In alto: Vignolini, Ballanti, Gazzari, Pizziolo, Bigogno, Pitto. In basso: Gregar, Baldinotti, Prendato, Bonesini, Busini, Rivolo, allenatore Hermann Felsner

Al grande talento abbinava l’abilità nel rilancio, bravo in marcatura e col temperamento da vendere. Vittorio Pozzo non si fece sfuggire tanta bravura, lo convocò in azzurro nel 1933 garantendogli il posto da titolare ai Mondiali del 1934.

La prestanza fisica di Pizziolo

Il quarto di finale contro la Spagna risulta essere una delle partite più spigolose della storia dei Mondiali, e in quel frangente, purtroppo, Pizziolo subì un serio infortunio al ginocchio sinistro.

Firenze, 7 maggio 1933, Italia-Cecoslovacchia 2-2. La nazionale italiana di calcio schierata in campo prima dell’inizio dell’incontro. In prima fila, da sinistra: Luigi Bertolini, Mario Pizziolo, Luis Monti; In piedi, da sinistra: Umberto Caligaris, Raffaele Costantino, Pietro Serantoni, Angelo Schiavio, Giovanni Ferrari, Raimundo Bibiani Orsi, Virginio Rosetta e Gianpiero Combi (foto Farabola)

Dopo molti anni, sul libro “Azzurri 1990. Storia della Nazionale” così viene ricordato l’episodio attraverso una sua diretta testimonianza: “Pozzo mi chiese se me la sentivo di rientrare in campo. Risposi di sì, anche se in ogni momento avvertivo un dolore lancinante. La partita durò 120 minuti invece di 90… Mi sarebbe sembrato un mezzo tradimento se avessi lasciato la squadra in dieci, a quei tempi non potevano esserci sostituzioni”.

Dopo quell’infortunio andò sotto i ferri, riuscì a giocare altre due volte in azzurro. Poi, nell’agosto del 1936, in una partita pre-campionato a Rapallo lo stesso ginocchio si ruppe ancora costringendolo al ritiro definitivo.

Il Pescara 1940-’41 che ha conquistato per la prima volta la serie B. In piedi da sinistra Pizziolo (allenatore), Costantini, Di Santo, De Angelis, Maturo, Mincarelli, Brandimarte. Accosciati da sinistra: Tontodonati, Piccinini, Paludi, Candeloro, Fabiani

Ma la vicenda che lascia allibiti fu proprio lui a raccontarla pochi giorni prima di morire: “Alle sofferenze fisiche si aggiunsero quelle morali. La squadra azzurra conquistò il titolo mondiale e Pozzo si battè perché anche io potessi partecipare ai festeggiamenti ufficiali. Quell’invito non mi arrivò mai e non so chi ringraziare, se il governo dell’epoca oppure i dirigenti della federazione. Non mi arrivò nemmeno la medaglia d’oro che mi spettava di diritto per aver giocato due partite della fase finale. Mi sono battuto per anni e anni perché l’ingiustizia fosse cancellata. Alla fine ho ricevuto una copia di quella medaglia. È stata una soddisfazione, ma il trascorrere del tempo non ha cancellato l’amarezza per non aver potuto gioire del trionfo insieme ai miei compagni”.

Giuseppe Bigogno e Mario Pizziolo nel 1932. Le pubblicità del tempo

Come detto, Pizziolo morì pochi giorni dopo questa testimonianza. Era malato da tempo, viveva in miseria al punto tale che lo stato gli aveva concesso i benefici della legge Bacchelli per meriti sportivi.

Antonio Priore

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