È stato uno dei grandi latitanti italiani, Pier Luigi Pizzaballa, ma solo in figurina Panini, un vero paradosso: il ruolo di portiere – dell’Atalanta – lo obbligava a stare fermo in porta, mentre la figurina sfuggiva a tutti. Oggi uomo, ruolo e figurina (anche se è venuta dopo) hanno 82 anni.
Pizzaballa ma lei si trovava?
«No, mi mancavo pure io. Quella figurina sfuggiva a tutti anche a me, aveva qualcosa di diabolico».
È mai stato invidioso che la figurina fosse più popolare di lei?
«Confesso che quando giocavo sì, lo sono stato, pensavo che il clamore del gioco mettesse in ombra le mie gesta, ma smettendo è diventato il motivo che costringeva tutti a ricordarmi e poi a scavare, i più curiosi hanno trovato anche un buon portiere».
Sicuro che non l’ha mai aiutata essere nei desideri di tutti?
«È probabile che abbia pesato l’evocazione, ero diventato come una opera d’arte, c’era una caccia al tesoro, ma poi in campo andavo io e non è mai stato facile. Ha presente le misure della porta? Allora capirà il disagio per uno come me alto 1,78. Bene. Esordisco in serie B a 18 anni, mi faccio due anni di panchina, poi vado militare e lì comincia la storia della figurina, ma se non si faceva male Zaccaria Cometti, mica tornavo in porta».
Però lei era bravo sulle uscite e molto agile tra i pali.
«Perché seguivo l’azione e cercavo di anticipare la traiettoria del tiro, come oggi fa Valentino Rossi quando taglia le curve. Ero piccolo, felino e calcolatore».
La sua migliore parata?
«Il mio maestro Carlo Ceresoli, campione del mondo con l’Italia del 1938, diceva che la migliore parata è quando non prendi nessun gol».
Ne avrà una speciale.
«Sì, su Roberto Pruzzo, spareggio per andare in A tra noi dell’Atalanta e il Genoa, più che una parata fu un duello da film di Sergio Leone, sguardi, intuizioni, esitazioni, poi lui schiaccia di testa angolandola sul palo e io ci arrivo perché non mi ero perso nessuna delle sue intenzioni».
Invece quella mancata?
«Ma tante, succede sempre che ti si buchino le mani, si sono i cinque gol che mi fece Kurt Hamrin, ma ho avuto tante amarezze: dall’annullamento della convocazione per le Olimpiadi del ’64 perché ero professionista alla sconfitta ai Mondiali ’66 con la Corea del Nord».
Il giorno più bello?
«Quando sono stato nominato miglior portiere della stagione 1964-’65. E anche la convocazione in Nazionale».
Grande soddisfazione per un ragazzino che veniva dall’oratorio.
«Mi ricordo ancora la tonaca di Don Antonio Andreoletti, parroco di Verdello, che si apriva a coprirci tipo coperta, mentre con la sua Moto Guzzi andavamo a Milano alla Bicocca per le prime rappresentative».
Quanto è lontano quel calcio?
«Non esiste più, non si possono fare paragoni, non c’erano sponsor, procuratori, diritti televisivi. Ma c’erano valori e molta ingenuità, quella che salva il gioco».
E quali figurine salverebbe?
«Yashin e Zamora».
E tra i nuovi portieri italiani?
«Spero rinasca un Buffon, ma ce ne vuole. Spero che il nostro Pierluigi Gollini cresca e cresca ancora. Aspetto che Donnarumma, Meret e Perin mi diano conferme. Ma non vedo costanza».
I bambini che allena le chiedono se è quello della figu?
«Quando li vedo incollare le figurine ci penso, ma loro non lo sanno ancora, lo sanno padri e nonni che mi chiedono se sono proprio io, qualcuno ha la figurina sul telefonino, ma rispondo che quello lì non sono io, dico che è mio figlio».
Marco Ciriello