Eppure, quel mondiale fu conquistato da un calciatore che aveva l’Africa nelle vene.Eusébio da Silva Ferreira, miglior marcatore dell’ottava edizione del campionato del mondo per nazioni, mozambicano di padre angolano, con la maglia del Portogallo per ragioni “coloniali”. L’imperialismo nel calcio ha avuto vita lunga. La Coppa Rimet dell’edizione inglese del 1966 si sistemò all’ombra di un boicottaggio quasi dimenticato. Decine di paesi del continente africano dissero no alla Fifa e al mondo del pallone.
Nel 1964 il massimo organismo internazionale aveva deciso che le sedici partecipanti al mondiale sarebbero state suddivise secondo i seguenti posti: 10 squadre europee, 4 nazionali dell’area latino-americana, una dell’America centrale e un posto per cui si sarebbero sfidate le squadre degli altri tre continenti.
Ohene Djan, importante esponente del calcio ghanese e membro del Comitato Esecutivo della Fifa, scrisse un telegramma inviato proprio alla Fifa con cui si disse sorpreso e scandalizzato da una decisione assurda: “L’Africa avrebbe dovuto avere, nel peggiore dei casi, almeno un posto per una sua nazionale” recitava il testo di reazione alle indicazioni per le assegnazioni, per una decisione “patetica e malsana”. Alla voce grossa di Djan aveva fatto eco quella del presidente del Ghana, Kwame Nkrumah, leader di una nazione che si era contraddistinta per essere stato il primo paese in Africa a conquistare l’indipendenza post coloniale, nel 6 marzo del 1957, con veloce ingresso, due giorni dopo, anche nell’Onu.
Francis Nwia-Kofi Ngonloma, nome anagrafico di Nkrumah, era stato il primo capo di Stato di un paese decolonizzato. Sostenitore del “socialismo africano”, la sua parabola rivoluzionaria e innovativa si sarebbe poi trasformata in un lento declino, colmato in una fine tra molte difficoltà di natura politica, determinate, probabilmente, dall’opposizione ai modelli filo occidentali dei sistemi economici africani. Anche Nkrumah, nei suoi torti e nelle sue ragioni, aveva rivestito a lungo il ruolo di boicottatore. Proprio il Ghana, in quegli anni, si era contraddistinto anche dal punto di vista calcistico. La nazionale ghanese aveva vinto la Coppa d’Africa nel 1963 e nel 1965. I progressi compiuti avrebbero potuto consentire al Ghana di affrontare il mondiale anche con qualche ambizione. Abbrei Osei Kofi era il calciatore più rappresentativo di una squadra di calcio che alcuni osservatori avevano addirittura considerato come una possibile sorpresa del mondiale inglese.
Abbrei Osei Kofi, soprannominato “The Wizard Dribbler”, lo stregone del dribbling, e “One Man Symphony Orchestra”. Di lui Gordon Banks, storico portiere della nazionale inglese campione del mondo, aveva detto che la sua grandezza sarebbe stata come quella di George Best. Un paragone azzardato? Può darsi. Ma forse non così folle se si tiene in considerazione che Carlos Alberto Parreira, tra i più grandi ct della nazionale brasiliana, aveva avuto una tale considerazione di Kofi da ipotizzarne anche un paragone con Pelé. La carriera di Osei Kofi, nonostante i successi con i “Black Stars” del Ghana, non aveva avuto l’opportunità di spingersi oltre la gloria in patria e in un continente forse non ancora del tutto accettato ai piani alti della Fifa e ancora vittima di un colonialismo il cui processo di smantellamento sarebbe stato a lungo in corso soltanto sulla carta.
Il 1966 non sarebbe stato soltanto l’anno del boicottaggio africano nei confronti del mondiale inglese, ma avrebbe anche consolidato malumori e proteste attraverso dinamiche ancora più delicate. I leoni della regina avrebbero ricevuto, nello stesso anno, un altro segnale davanti al mondo, quando, in concomitanza con una situazione internazionale delicata e complessa, anche una visita della corona inglese avrebbe subito la contestazione africana a causa della guerra civile in Rhodesia, iniziata nel 1965 e destinata a durare fino al 1979. Guerra in cui l’oppressione coloniale inglese non sarebbe stata di certo esente da responsabilità.
Nonostante la drastica mossa politica della Caf di boicottare il mondiale del 1966, mossa che era stata escogitata come risposta all’unica soluzione della Fifa di risolvere la difficile situazione africana dei posti disponibili al mondiale, il momento non sortì effetti immediati. La posizione “panafricana”, però, raccolse i primi frutti due anni dopo. Fino al 1970, di fatto, l’unica partecipazione al mondiale di una squadra africana era stata registrata nel 1934, con l’Egitto. Nel 1968, due anni dopo l’effetto della “risoluzione” estrema, la Fifa decise di riservare un posto a una squadra africana e un altro a una squadra asiatica. Fu il primo passo verso un’apertura che poco a poco avrebbe aperto le porte anche a più squadre africane nella massima competizione per nazionali.
Dal 1970 l’Africa non sarebbe stata mai più assente. Le guerre civili e le oppressioni coloniali sarebbero invece continuate. In mezzo a bagni di sangue e a tragedia dimenticate, il calcio “nero” si sarebbe in qualche modo affrancato. Il futbol del “Vecchio Mondo” deve qualcosa di sé anche a quegli anni confinati in una grande rinuncia. Chissà cosa avrebbero avuto modo di mostrare a quello stesso mondo che li aveva in qualche modo messi da parte Osei Kofi e il suo Ghana liberatosi prima di tutti gli altri. Tutto per un mondiale in cui la protesta per un goal avrebbe avuto più attenzione di quella di un continente.