Luca Rossettini, attuale allenatore dell’Under 17 del Padova, è stato il primo difensore della Serie A a marcare Cristiano Ronaldo, il 18 agosto del 2018 in occasione della prima di campionato tra Chievo e Juve. Vinsero i bianconeri ma CR7 non andò a segno, tra lo stupore collettivo. Rossettini è stato intervistato da Sportweek in occasione del ritorno in Italia del portoghese, quando ha sfidato a Bergamo l’Atalanta in Champions League. “Da solo avrei potuto poco. Mi diede una grossa mano il mio compagno di reparto, Mattia Bani, oggi al Genoa, e giocammo una gran partita di squadra, facendo arrivare al portoghese palloni sporchi, difficili da addomesticare. Per conto suo, Cristiano fu forse fregato dall’emozione della sua ‘prima’ in Italia”.
Ha aggiunto Rossettini: “Lui giocò da punta centrale, ma faticò a trovare la posizione. Gli andavamo addosso a turno, ‘scappando’ all’indietro per togliergli profondità. Non ricordo nessuna delle sue caratteristiche azioni, quelle in cui prende palla e corre per venti-trenta metri, puntandoti. Sinceramente alla vigilia ho dormito benissimo. L’arrivo di Ronaldo era stato pompato dalla stampa in maniera perfino esagerata. Alla fine, le attese e le tensioni per quella partita erano palpabili più all’esterno che all’interno della nostra squadra. Noi eravamo il Chievo, un piccolo club, e sapevamo che, prima o dopo, avremmo dovuto affrontarli tutti, gli attaccanti di Juve, Inter, Milan… Che fai, ti dichiari sconfitto prima ancora di giocare? Certo che no. Ecco perché quella sera andai a dormire sereno, senza farmi grossi problemi al pensiero che il giorno dopo mi sarei trovato davanti Ronaldo. C’entrava anche il fatto che ormai fossi a fine carriera. Avevo maturato l’esperienza per gestire un certo tipo di situazioni”.
Aggiunge: “Come sempre ci vennero forniti i video dell’avversario per studiarne i movimenti. La verità è che, quando scendemmo in campo, l’impatto fu meno impressionante di come mi sarei aspettato. Ronaldo era alto come me, con due gambe e due braccia come il sottoscritto. Certo, con la palla tra i piedi dimostrava qualità fuori dal comune, ma, al primo contatto, rimasi più colpito quando mi toccò di marcare Lukaku o Ibrahimovic. Marcare Ibra su calcio d’angolo era complicato assai: la mia spalla arrivava al suo petto. Era inevitabile essere in soggezione nei confronti di un colosso simile. Ma se vestito con la maglia da gioco Ronaldo mi era sembrato uno dei tanti, quando nel dopopartita lo incrociai a torso nudo negli spogliatoi, allora sì che mi fece impressione: era tirato a lucido, pettorali e addominali ben definiti”.
Poi puntualizza: “Mi è sembrato un tipo molto riservato. Non ricordo scambi di battute particolari. Del resto, io non ero quel difensore che ama stuzzicare, anche con una parolaccia, l’attaccante avversario per innervosirlo e provocarne la reazione. Se c’era da dare una botta anche dura, si dava, e via. Diciamo che a ogni contatto si rotolava per terra in modo un po’ troppo plateale. Verso la fine era nervoso, forse perché frustrato per non essere riuscito a segnare all’esordio”. Conclude Rossettini: “Per lui parlano i numeri, i gol segnati. Di giocatori decisivi come Cristiano mi viene in mente Ibrahimovic, che dovunque andava vinceva lo scudetto. Sul parlare l’Italiano, mi viene da rispondere che è arrivato in Italia già dopo i 30 anni, forse pensando di restarci uno o due… È palese. Probabilmente alla Juve lo avevano messo in conto. Ronaldo è una specie di multinazionale, un’azienda a sé che sposta milioni di euro e attira attenzioni planetarie. Da uno così non mi aspetto che faccia un passo indietro per far avanzare gli altri, semmai sempre uno in avanti. È una personalità ingombrante, nel bene e nel male. Ma gioca 60 partite all’anno, è quasi sempre decisivo, che gli vuoi dire?”.