Sidney il figlio del Cunha
Nov 13, 2021

” .. ed era appena decorsa la metà del secondo tempo che la Juventus stessa raddoppiava il suo vantaggio. Si trattava questa volta di una prodezza tecnica personale del brasiliano Cinesinho, su di una punizione eseguita dalla destra dell’attacco bianconero, il Cinesinho stesso imprimeva alla palla un effetto tale che Zoff, pur intervenendo, non poteva evitare che sgusciasse in rete”. Parole e musica di sua maestà Vittorio Pozzo, insigne giornalista sportivo alla pari di inarrivabile mago della panchina Azzurra il grande Pozzo descrive così l’ennesima prodezza (Napoli-Juventus 1-2, 31 marzo 1968) di un brasiliano giunto alla Juventus via Modena-Catania (in realtà lo importò, dal Palmeiras, l’Inter che però, avendo raggiunto il limite massimo degli stranieri tesserabili, lo girò immediatamente in prestito ai canarini; il sodalizio brasileiro, con i soldi della cessione riuscì a completare la parte superiore del proprio stadio e ad acquistare ben 13 giocatori! NdA) dove negli anni precedenti aveva incantato le rispettive plateee… Sidney Cunha Cinesinho!

Cinesinho nel Palmeiras

Il figlio del Cunha quel giorno aveva 7 anni e negli occhi la luce di chi vuole emulare le gesta del suo eroe, papà! Ma è dura emergere quando si porta addosso un cognome “pesante”, e così si parte da una posizione che può apparire di vantaggio allo sprovveduto in materia, ma che in realtà è maledettamente scomoda, ad ogni tocco ti pare di sentire quel “eh, ma suo padre era meglio”, “se non si chiamasse così non farebbe nemmeno la panchina” ecc. ecc.Il piccolo Sidney però non demorde, dal padre ha appreso la dottrina della sfera e la  genialità nel vedere la giocata un attimo prima che l’avversario la immagini, mancano però altre caratteristiche fondamentali, le quali crescendo renderanno il sogno in parte irrealizzato nonostante un cammino giovanile di razza nel quale molti avevano intravisto un futuro campione! I pulcini della Juventus lo introducono nel mondo del calcio, poi segue papà a Vicenza e si incomincia a diventare “grandi”, toccata e fuga all’Inter, ritorno a Vicenza tra i giovani di Gesualdo Albanese, Catania in B e poi biennio in C1 a Forlì dove si chiude troppo presto con un mondo che forse non lo ha aiutato come doveva; Sambenedettese e Cervia sono tappe di cui non resta nulla di ufficiale, la testa era già altrove proiettata alla vita in tutte le sue migliori sfaccettature, cinema, musica, belle donne, ristorazione e chi più ne ha più ne metta. Una vita che pare un riassunto di tante ma è il testo di una sola, una vita felice, magari con qualche rimpianto ma ripartita di slancio ad ogni caduta, una vita da campione insomma, anche se fuori da un campo di calcio. Recuperiamo Sidney in un pomeriggio di fine ottobre a Ferrara, in una delle sue fermate nella continua spola Italia-Brasile, gentile e con la battuta pronta decide di raccontarsi dalle origini ad oggi e ci tiene a precisare che sà bene  dove ha sbagliato, ma capirlo oggi è un po’ più facile.

Cinesinho in azione nel Lanerossi Vicenza

Buongiorno Sidney, in principio fu il padre…che papà era Cinesinho?

“Innanzitutto era un idolo, il mio! Come papà è stato un buon padre un poco severo ma che mi ha passato i valori importanti della vita. Certo, da piccolo non riuscivo ad accettare di vederlo così poco, ci pativo, se si andava al cinema 2-3 volte l’anno era un evento, era sempre impegnato e per un bimbo è difficile capire”.

Hai un primo ricordo con il Pallone?

“L’ho sempre avuto tra i piedi, da subito. Ho iniziato nei pulcini della Juventus, ero piccolissimo..”.

Cognome “pesante” il tuo come affrontasti la questione?

“Essere il figlio di un campione è molto più difficile,vieni guardato con occhi diversi, paragonato continuamente a tuo padre, devi convivere quotidianamente col paragone, ma nel mio percorso non credo abbia pesato”.

Tu che carattere avevi?

“Domanda cruciale, ero molto viziato nel senso che sono cresciuto con tutto e forse è stato un problema; caratterialmente avevo una personalità forte che mal sottostava alle regole gerarchiche, ero un tipo difficile da addomesticare e questo sicuramente l’ho pagato a caro prezzo. Però in campo ero perfetto, non davo problemi”.

E papà? Si narra che dopo uno 0-5 subito col suo L.R.Vicenza fece infuriare il presidente Farina rispondendogli  “Volevano farci il sesto ma abbiamo resistito!”

“Era un tipo simpaticissimo battuta sempre pronta e carattere affabile; gli volevano bene tutti. Con me era un po’ duro, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto calcistico nel quale i complimenti arrivavano col contagocce”.

Chiusa l’avventura Juventina papà si sposta a Vicenza e tu lo segui, che anni hai vissuto in Veneto?

“Stupendi! Città bellissima e squadra che sulle ali dell’entusiasmo arrivò ad essere il Real Vicenza di GB Fabbri. L’ambiente era fantastico, con la coesione quella squadra ha scritto la storia; io ero tra i giovani ma mi allenavo con la prima squadra, si arrivava prima all’allenamento per giocare a calcio tennis, che sfide! Ricordo già allora che GB Fabbri mi diceva ” Ah, se tu avessi la testa ragazzo mio…”.

Allora GB ti “vedeva” davvero…

“Sì credimi, pensa che sfiorai pure l’esordio in serie A! Eravamo in ballottaggio io e Dal Prà, ma la società scelse lui perché oltre che bravo era di proprietà, io invece avevo il cartellino controllato per metà da papà”.

A Vicenza fai così bene che l’Inter ti vuole con sé in Primavera

“Piacevo pure a Mazzola, ebbi qualche problema a Vicenza e decisi di provare con l’Inter. La vecchia società però fece in modo di mettermi i bastoni tra le ruote e non riuscii ad ottenere l’autorizzazione per poter giocare, così ebbi solamente la possibilità di fare le partite fuori dal territorio nazionale, ricordo tornei a Barcellona e Marsiglia. A proposito del cognome e dei figli d’arte anche qui me lo ricordarono…”.

In che modo?

“Mister Cella al primo allenamento, davanti a tutti, mi puntò il dito dicendo “Hey tu, non crederai mica di giocare solo perché sei il figlio di Cinesinho?” Altro che aiuti…”

Un anno gettato alle ortiche?

“Un’esperienza di vita, tornai a Vicenza in Primavera e con mister Albanese raggiungemmo le fasi finali del campionato”.

E poi parti per Catania, dove anni prima papà aveva incantato.

“ In effetti questa cosa mi frenava molto, non volevo andare dove papà era stato un mito, ma all’epoca noi giocatori non venivamo minimamente ascoltati! E poi a Catania, nel mio ruolo c’era gente come Morra e Barlassina da anni colonne della squadra”.

Il papà in allenamento ai tempi del Catania

Non facile come inizio quindi.

“Decisamente in salita, i cosiddetti vecchi capirono che potevo rappresentare un problema e mi fecero un pochino di guerra, col mio carattere ovviamente non potevo starmene zitto e questo lo pagai. Mi proposero poi di giocare in Primavera ma la presi come una bocciatura; volevo misurarmi con i grandi,ero andato lì per quello!”.

E come l’hai risolta?

“Con la testa di un ragazzo impulsivo ed orgoglioso, scappai a Taormina approfittando del flirt nato con una contessa e mi ripresentai al campo molto tempo dopo bruciandomi di fatto ogni possibilità di esordio”.

Rimpianti catanesi?

“Sicuramente poteva andare diversamente, sbagliai ma non solo io. Rimpiango di non aver saputo (me lo dissero solamente molti anni dopo) per tempo che Mariolino Corso mi voleva nel suo Napoli Primavera per affrontare il Torneo di Viareggio”.

La tua storia poi prosegue in C1 a Forlì.

“Successe che in estate papà mi domandò se volevo dare quattro calci con lui (allenava  la squadra dello Jeddah ed era in tournée in Italia, NdA) giocai un’amichevole contro il Forlì e feci un’ottima figura tanto che il presidentissimo Bianchi (detto vulcano!) insistette con papà per avermi in rosa, accettai di buon grado”.

Mica male come squadra, Della Monica, Schincaglia, Piccioni, Mannini…

“Aggiungo Pin, Marronaro e Melotti, ottimo livello quella serie C, mi trovai a mio agio ed iniziai a mettere in mostra i colpi che possedevo, facemmo sicuramente una bella stagione ma a Pasqua ne combinai una delle mie.. Andai a Capri e persi la testa per Cinzia una nota attrice, rientrai un paio di giorni dopo in squadra e mi fecero fuori!”.

Però ti confermano per la stagione successiva anche se ad un certo punto sei sul taccuino di società della massima serie.

“Sì, in quel periodo mi cercò il Verona e per un attimo sembrava potessi finire all’Avellino di patron Sibilia, ma restai. Pensa che nella seconda stagione misi la testa a posto, decisi che era ora di vivere da vero sportivo e sai che successe?”.

Racconta!

“Fu l’unica volta che mi feci male seriamente! All’ultimo di un Forlì-Modena mi procurai uno strappo di 8,5 cm per recuperare una palla. Rimasi fuori molte partite e nel frattempo la squadra scivolò nei bassifondi per poi retrocedere in C2”.

E da lì si perdono le tue tracce, fai brevi apparizioni alla Sambenedettese ed al Cervia ma di ufficiale non resta nulla.

“Ero annoiato, forse nauseato da un mondo in cui non riuscivo ad inserirmi in certi meccanismi; mi fidanzai con una modella e cambiai totalmente vita; feci alcune foto con lei che riscossero successo nell’ambiente, e da lì ho fatto quasi una quindicina di campagne pubblicitarie”.

Un bel cambio senza dubbio, ma sò che hai passione anche per musica e recitazione.

“Certamente, in quegli anni ebbi la fortuna di essere selezionato per frequentare un corso annuale di recitazione, sei mesi con Gassmann e sei con Carmelo Bene; fu un’esperienza bellissima dalla quale uscì un’occasione che colsi a metà sempre per colpa del mio carattere”.

Cinesinho sulle figurine

Hai rifiutato qualche pellicola?

“Non proprio anzi! Ero stato scelto per fare il marito di Ornella Muti in ‘Il futuro è donna’ di Marco Ferreri girammo parte delle scene e poi partii per il Brasile facendo perdere le mie tracce e venendo così sostituito”.

E con la musica invece?

“Mi sono tolto la soddisfazione di incidere un disco che ha pure avuto discreto successo; inoltre ho lavorato per anni come addetto al marketing per le aziende di Berlusconi e mi sono preso pure qualche periodo sabbatico nel quale ho vissuto ad Ibiza”.

E allora come ci sei arrivato ad essere lo chef riconosciuto e specializzato che sei oggi?

“Un’altra ripartenza da zero, sono un tipo che non si piange addosso mai. Successe che dopo la morte di papà mi trovai quasi senza niente, dal lusso e dall’ agiatezza al nulla! Allora invece che disperarmi provai la strada della cucina, riuscii ad aprire otto ristoranti tra Italia, Brasile e Portogallo (precisamente e Lisbona) che oggi mi limito a controllare, sono più un consulente che uno chef oramai, la cucina e’ un’altra grande passione, ma tra quelle che hai citato hai dimenticato la fotografia”.

Cinesinho e la Nazionale brasiliana

Anche fotografia?

“Vado matto per un certo tipo di fotografia, sono stato art director e responsabile di mostre ed eventi dell’archivio fotografico di Marcello Geppetti sulla Dolce Vita Romana, una galleria che abbraccia la capitale dagli anni 50 ai 70”.

“Una vita piena di interessi, ma se guardi indietro cambieresti qualcosa?

“Amavo il calcio, nonno e papà sono stati calciatori, avevo certamente talento ma un carattere difficile… ecco, cambierei quello se potessi tornare indietro. Avrei mille aneddoti da raccontare su ciò che pensavano di me, piacevo a GB Fabbri, a Corso e Liedholm, qualcosa avrò avuto…”.

La classe di Cinesinho

Almeno uno ce lo racconti?

“Te ne racconto due, il primo al Covo di Santa Margherita, metà anni 80; entro con la fidanzata di allora e ad un tavolo ci sono Vialli, Mancini, Bonetti, Renica ed altri. Mi chiama Renica, mio ex compagno a Vicenza, e presentandomi agli altri esclama ‘Questo ragazzi se solo volesse sarebbe un fenomeno!’; mi vengono ancora i brividi ora se ci penso! L’altro invece e’ un siparietto simpatico che mi capitò oltre i 40 nella bassa reggiana, a Rubiera. Un amico mi invitò ad allenarmi con la squadra locale che faceva l’Eccellenza, accettai e dopo poco provarono a tesserarmi; purtroppo sorsero problemi per il mio status di nato a San Paolo e non se ne fece nulla, la federazione infatti dopo cinque anni di inattività ti  cancella, ed essendo già presente uno straniero in rosa non poterono far nulla; sono certo che sarebbe stata una bellissima esperienza, ero ancora integro nonostante gli anni passati lontano dai campi”.

In conclusione, allora il tuo cognome non ha influito più di tanto sul tuo destino?

“Sicuramente i paragoni con papà li hanno fatti, ma non è stato ciò che mi ha portato lontano dal calcio, ripeto che ero un tipo di difficile trattamento. Vabbè, è andata così e lo accetto in fondo è stato comunque un periodo bellissimo della mia vita che mi ha portato ad essere ciò che sono oggi”.

Chiacchierata che si chiude coi ringraziamenti di rito inframmezzati dal gentile dialogo tra Sidney e la signora delle pulizie appena sopraggiunta; è davvero un personaggio incredibile il figlio del Cunha, coi piedi, con le parole o con le mani riesce comunque a dare spettacolo. Complimenti campione!

Fabio Mignone

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