Incantò Enzo Bearzot, che lo avrebbe voluto nella Nazionale azzurra, prima che si accasasse in quella belga. Michel Platini lo definì il suo unico possibile erede in Europa. Ma Vincenzino Scifo con la maglia della “Beneamata”, più che brillare, “brillantinò”, con capelli sempre scolpiti ed ingelatinati al punto giusto, a dispetto di prestazioni spesso opache e scialbe. Meglio andò la sua seconda esperienza nel campionato italiano, con la maglia del Torino. Ma questa è una altra storia. Tornando all’Inter, Giovanni Trapattoni gli affidò nella stagione 1987-’88 il numero 8, cercando di creare maggior fosforo al centrocampo nerazzurro (orfano di Brady e di Tardelli) con lui e il sorprendente Gianfranco Matteoli.
L’esperimento non andò bene e si replicò per certi versi quel che era successo anni prima con il dualismo tra Hansi Müller ed Evaristo Beccalossi. I due si pestavano sistematicamente i piedi, anche se in teoria Matteoli sarebbe dovuto partire più arretrato e Scifo più avanzato per andare più facilmente alla conclusione. 28 presenze e 4 goal furono uno score troppo basso per guadagnarsi la riconferma in nerazzurro.
Colpa anche della spietata legge dei tre stranieri (che anzi, nella stagione 87’-88’, erano addirittura ancora due, con Scifo e Passarella come tesserati esteri) che all’epoca imponeva scelte ben precise. L’Inter aveva virato su un certo Lothar Matthäus (icona assoluta a partire da quel momento), aveva comprato “il cavallo pazzo” Nicolino Berti, Matteoli si meritò la riconferma e inizialmente Andreas Brehme, prima di essere dirottato sulla fascia sinistra (infatti all’inizio lì giocò Beppe Baresi), era stato acquistato come mediano.
Troppo affollamento e troppo poco spazio per emergere del tutto. Del resto, non era ancora il momento delle panchine lunghe. Altri tempi veramente. Così il buon Vincenzino, tutto classe senza troppa grinta, dovette fare le valigie verso la Francia, in direzione Bordeaux prima ed Auxerre dopo. Prima di essere richiamato, come detto, al Toro, dove visse una seconda giovinezza, costellata di ben 16 reti in 62 presenze.
Che a diversi estimatori interisti fecero storcere la bocca. Forse si poteva concedere una seconda chance a quel campioncino mai sbocciato del tutto? Rivedendo l’Inter dei record e quella vittoriosa degli anni successivi quel pensiero non durò che pochi secondi. Per alcuni ultras Vincenzino, più che Scifo, rimase sempre colui al cui cognome una H tra quella C e quella I non avrebbe guastato.
Christian Montanaro