La storia del calcio italiano è piena di grandi talenti, di numeri 10 dai piedi fatati. Alcuni sono diventati leggende, da Baggio a Zola, da Del Piero a Totti. Altri sono arrivati ai massimi livelli ma hanno fallito l’appuntamento col grande, grandissimo calcio. Benito Carbone è uno di quelli.
Numeri sopraffini, un piede fatato, genio sopra la media ma poca costanza, in campo e nelle scelte, come confermerà lui stesso e un pizzico di sfortuna. Dal Toro al Napoli, poi l’Inter e l’avventura in Premier prima del ritorno in Italia.Nato a Reggio Calabria il 14 agosto 1971 Carbone è stato il più classico dei numeri 10 tutto talento e grandi giocate, dribbling alle punizioni.
Si è messo in evidenza nel Torino, dove ha cominciato le giovanili nel mitico Filadelfia, a 11 anni per poi arrivare, con la maglia granata a esordire in serie A. Ne vestirà 22 di maglie diverse in 25 anni di carriera. Uno “zingaro del calcio” a tutti gli effetti. Nel suo excursus maglie importanti, la 10 di Maradona al Napoli, quella di Bergkamp che poi sarà di Baggio all’Inter. Arrivato forse troppo giovane, dirà lui stesso, nel calcio dei grandi, Carbone, ha poi trovato la sua dimensione in Premier League con le maglie di Sheffield e Aston Villa.
Poi il ritorno in Italia nella parabola discendente della sua carriera. Con qualche rimpianto qua e là per quello che poteva essere e non è stato fino in fondo. Dopo l’esordio in granata, Carbone di fa le ossa in provincia (Reggina, Casertana e Ascoli) dove si mette in buona evidenza.
Così torna a Torino per mettersi in gioco con i granata. La stagione non può di certo essere definita negativa: 26 gare di campionato, 3 reti.
Napoli resterà nel suo cuore, farà un duetto con Gigi D’Alessio e successivamente un cameo nella soap Un Posto al Sole insieme ad altri ex Napoli. Per 6 miliari di allora Benny passa dal Napoli all’Inter.
Anche qui alterna grandi giocate a momenti di impasse ì. L’allenatore di allora in nerazzurro, Roy Hodgson gli chiede di avere compiti più difensivi relegandolo più spostato a sinistra sul campo. Carbone non gradisce e di fatto decide di chiudere la sua esperienza nerazzurra, anche qui, dopo un solo anno.
Se ne pentirà: “Dei miei tanti errori, quello che non mi perdonerò mai è stato aver forzato la mano per andare via dall’Inter a 24 anni – ha raccontato poi a Il Posticipo – perché non andavo d’accordo con l’allenatore Roy Hodgson che mi faceva fare un ruolo diverso dal mio. A distanza di anni dico che lo avrei dovuto fare perché è inconcepibile andare via dall’Inter a 24 anni: giocavo titolare. Avrei dovuto avere pazienza perché 6 mesi dopo sono arrivati Gigi Simoni e Ronaldo ed è cambiato tutto. Ho commesso un grande errore, quello di cui mi pento di più”.
Carbone decide di attraversare la Manica e in Premier troverà la sua dimensione. Soprattutto allo Sheffield Wednesday conquista il pubblico inglese con le sue giocate, come quella contro il Manchester United: beffa Neville con una finta, e con il destro a giro perfetto fa secco Schmeichel.
L’anno dopo arriva l’altro talento puro di Paolo Di Canio. Storica la foto con cui li immortalarono alla presentazione, con tanto di pizza e un po’ di sano luogo comune sugli italiani che non muore mai. Formeranno un tandem splendido: 22 gol in due quell’anno ma anche qualche incomprensione con lo spogliatoio che si rompe l’anno seguente con tanto di retrocessione. In Inghilterra Carbone veste le maglie anche di Aston Villa, Bradford City, Derby County e Middlesbrough.
Nell’estate 2002 torna in Italia firmando per il Como neopromosso in A. Stagione balorda con il patron Preziosi con la testa già al Genoa e una retrocessione decisa già a Natale. L’anno dopo a Parma invece con Prandelli l’ultimo sussulto: si fa trovare pronto quando viene chiamato in causa, 4 gol in 19 gare e qualificazione Uefa nonostante l’incombente crac della Parmalat. Ormai 33enne, Benny scende in Serie B a Catanzaro, poi a Vicenza, quindi tenta l’avventura in Australia e infine chiude la carriera a Pavia.
“Quando qualcuno rilegge la mia carriera – sottolinea Carbone – vede che ho giocato per 22 squadre in 25 anni e magari pensa che io non sono stato bene da nessuna parte, ma non è andata così. I problemi societari mi hanno costretto a cambiare spesso”. Chiusa la carriera da giocatore resta al Pavia in qualità di allenatore delle giovanili ma subito prende le redini della prima squadra. Per qualche anno gioca anche a beach soccer.
Parallelamente consegue tutti i titoli di allenatore a Coverciano. La sua carriera da allenatore annovera le panchine del Varese, della Pro Sesto e della Ternana. Poi al Crotone e al Venezia come vice di Walter Zenga. Non segue l’Uomo Ragno al Cagliari e diventa collaboratore di Gianni De Biasi nello staff della nazionale dell’Azerbaigian.